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domenica 21 dicembre 2014

La Liguria sottoscrive l'Accordo sul Clima?

Da Genova, Lima e le conclusioni della ventesima conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici tenutasi in questa città, appaiono decisamente lontani.

Eppure le decisioni prese nella capitale peruviana riguardano anche noi liguri e ancor più il nostro prossimo governatore regionale.

L'Unione Europea è tra i paesi che ha riconosciuto la necessità che tutte le nazioni si debbano impegnare con forza, ognuno per la sua parte e le sue possibilità, a contribuire alla riduzione di almeno il 40% di tutte le emissioni di anidride carbonica, entro il 2050.

Se ci riusciamo, l'aumento di temperatura del nostro Pianeta non dovrebbe superare i 2 gradi centigradi, il che vuol dire che avremo, in ogni caso, un bel pò di casini (vedi nubifragi in Liguria) ma forse potremo evitare  il collasso della nostra civiltà, collasso inevitabile se i modelli di produzione e consumo continueranno ad essere quelli soliti, sperimentati e fortemente voluti, negli ultimi 60 anni.

Accordo Lima 2014: in verde i paesi che hanno ratificato l'accordo, in marrone i contrari.

L'anidride carbonica (CO2 è la sua formula chimica)  è il gas che si produce in qualunque combustione (legna, benzina, metano, carbone...) e che, dall'inizio della rivoluzione industriale (fine del 1700 dc) è in costante aumento nell'atmosfera del nostro Pianeta, a causa dei crescenti consumi di energia da fonti fossili.

Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Australia hanno ratificato l'accordo di Lima.
Anche Cina, India, Brasile, Sud Africa hanno aderito, ma con riserva ( in verde chiaro nella figura)
Contrari (in marrone), gran parte dei paesi africani e i maggiori produttori di petrolio (Venezuela, Emirati arabi... ).

Al momento non c'è nessun obbligo sulle scelte da adottare, ma non c'è nemmeno chi nega che i cambiamenti climatici in atto siano dovuti a fattori umani e che le temperature medie del nostro Pianeta stiano aumentando, insieme alla frequenza ed intensità di fenomeni meteorici estremi e conseguenti effetti su sicurezza e produzione alimentare.

Se vogliamo, la "ricetta" proposta a Lima è semplice: minor consumo di combustibili fossili (in particolare carbone), crescente ricorso alle fonti di energia rinnovabile, maggiore efficenza energetica, scelte per sottrarre l'anidride carbonica all'atmosfera ( carbon sink), politiche di adattamento ai cambiamenti climati, al fine di limitarne i danni.

 A ben vedere tutto questo dovrebbe essere il programma, l'agenda di lavoro, del prossimo presidente della nostra Liguria.

Senza se e senza ma è in assoluta sintonia con gli accordi definiti a Lima, la chiusura delle centrali a carbone di Savona, Genova e la Spezia e  loro totale riconversione a metano o ancor meglio a biometano, prodotto con la digestione anaerobica dei nostri scarti organici.

Anche la rinuncia a realizzare grandi opere di pesante impatto sul territorio, quali la "gronda autostradale" e il "terzo valico", a favore di mobilità collettiva locale su ferro e di un adeguamento degli attuali valichi a servizio dei porti liguri, potrebbe dare un significativo contributo alla riduzione di gas serra, ma anche ad una nuova mobilità, in sintonia con le nuove esigenze.

Se poi la "grande opera" fosse la messa in sicurezza e il recupero e riutilizzo dei 40.000 chilometri della "grande muraglia" dei muri a secco dei suoi terrazzamenti che, se utilizzati e ben mantenuti,  stanno letteralmente tenendo in piedi i monti liguri, si attuerebbero le necessarie politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, indispensabili a mitigare gli effetti negativi delle devastanti "bombe d'acqua"che continueranno a colpire la nostra regione.

La Liguria richiede anche una adeguata politica di gestione dei suoi boschi, oggi in abbandono, con un corretto uso a fini energetici per i paesi non ancora serviti dalla rete di distribuzione del metano, ma ancor più come riserva di carbonio organico utile anche a contrastare il dissesto idrogeologico ed elemento qualificante del paesaggio dell'entroterra ligure.

La ristrutturazione del "costruito male", al fine di migliorarne l'efficenza energetica, con un diffuso utilizzo attivo e passivo dell'energia solare,  potrebbe essere la migliore risposta alla crisi dell'edilizia, al miglioramento della qualità dell'aria e al contenimento delle emissioni di gas serra.

E infine, se il nuovo "governatore" della Liguria, mettesse al primo posto delle sue scelte una moderna gestione dei materiali post consumo, finalizzato al loro massimo riciclaggio e al riuso, anche tramite il compostaggio, in questo modo, oltre a creare nuove e qualificate opportunità di lavoro, la Liguria potrebbe anche ridurre significativamente le proprie emissioni di gas clima-alteranti.

Siamo in attesa di conoscere i candidati governatori e i loro programmi, ma nel frattempo il piano "sblocca italia" del Governo Renzi, non promette proprio niente di buono ed è in pieno contrasto con gli accordi di Lima: trivellazioni in tutt' Italia per cavare quel po di gas e di petrolio che abbiamo sotto i piedi, inceneritori di rifiuti promossi ad opere di interesse  strategico, ancora e sempre la crescita e il consumo, come bandiera.


  



domenica 30 novembre 2014

ROM e Mercatini dell'Usato

Mi sembra interessante riproporre questo post scritto nel 2007 alla luce di quello che sta avvenendo a Roma e a Napoli i cui Sindaci cercano di contrastare la vendita di materiali raccolti nei cassonetti .

E' il comunicato stampa redatto da rappresentanti della comunità ROM e di estremo interesse in quanto le loro proposte potrebbero realizzare forme di coesistenza e collaborazione tra questa comunità e la nostra senza che nessuna rinunci alle proprie peculiarità culturali.



COMUNICATO STAMPA

GLI OPERATORI DELL’USATO ROM MANIFESTANO SOTTO LE SCALINATE DEL CAMPIDOGLIO PER DIRITTO AL LAVORO ED EMERSIONE DELLA FILIERA

Mercoledì 28 Novembre, a un mese preciso dalla prima mobilitazione a Lungotevere Dante, gli operatori dell’usato rom tornano a manifestare per la regolarizzazione del loro lavoro.

A Roma l’attività della maggior parte dei mercatini dell’usato rom è stata sospesa. Nonostante il settore dell’usato rom sia florido e potenzialmente in espansione, la politica delle chiusure ha prodotto centinaia di disoccupati a oggi disperati e senza nessun mezzo di sussistenza.

Commerciare merci usate non può essere considerato alla stregua di un crimine: il riuso è una priorità ambientale, e chi toglie materiale dai cassonetti sottraendolo allo smaltimento offre un importante servizio a tutta la città.

Ci rendiamo conto che la filiera dell’usato attualmente porta con sé numerosi problemi, principalmente legati all’igiene e all’infiltramento di merci rubate.
Per questa ragione intendiamo rilanciare i mercatini rom a Roma partendo da soluzioni concrete:

· le merci riusabili non devono più essere “pescate” dai cassonetti; grazie al sistema del porta a porta (che già viene sperimentato nei quartieri Decima e Colli Aniene) le stesse merci potrebbero essere selezionate in isole ecologiche fondate sul riuso erivendute a noi operatori rom sotto forma di stock

· il denaro che gli operatori rom sono disposti a fornire per acquistare le merci può essere efficacemente allocato all’assunzione di altri rom da impiegare nelle operazioni di pulizia e igienizzazione dei mercati

· grazie all’acquisto delle merci presso le isole ecologiche gli operatori potranno dotarsi di partita IVA, ricevere fattura al ritiro delle merci e fornire scontrino alla vendita; in questa maniera non sarà più possibile alcun dubbio sulla provenienza degli oggetti

· per garantire la tenuta di tutto il meccanismo, i mercatini dovranno essere dotati di regolari chioschi ad assegnazione nominale

Per discutere produttivamente sulle nostre proposte, chiediamo l’immediata convocazione di un tavolo al quale siano presenti gli Assessori all’Ambiente, al Lavoro, al Commercio e alle Politiche sociali del Comune di Roma

Mercoledì 28 Novembre,ore 11-14
Piazza San Marco - Roma

Shishiri Lavoro
Occhio del Riciclone

Info:
333/5856634
346/080888

Terrazzamenti da adottare: il ritorno alle "terre alte" 4)

Un terrazzamento abbandonato è un danno collettivo.

Con l'abbandono dei terrazzamenti tutti perdiamo identità culturale, paesaggio, cibo di qualità, lavoro, biodiversità.

Ma il costo più grave, che gran parte del Paese sta pagando in questi giorni sotto l'attacco di incessanti nubifragi, è quello che ci fanno pagare frane, smottamenti, colate di fango, inondazioni.

A parità di pioggia, tutti questi eventi avversi potrebbero essere mitigati con la cura dei terrazzamenti realizzati su Appennini e Alpi, nel corso di secoli di duro lavoro.

Numerosi studi concordano che una montagna terrazzata raddoppia  il tempo di ritorno di eventi alluvionali  disastrosi:  se, senza terrazzamenti, si ha una elevata probabilità di registrare un alluvione disastrosa ogni cento anni, con terrazzamenti ben gestiti l'evento disastroso di analoga magnitudine potrebbe avvenire solo dopo duecento anni.

In attesa che un qualche governo si accorga che la vera Grande Opera di cui abbia bisogno il Paese è la manutenzione dei nostri monti, ci sono sempre più cittadini che scoprono, o meglio riscoprono, il valore della terra e della cultura contadina.

Una interessante esperienza è quella in atto nell'area montana del canale di Brenta, nel vicentino,  denominata "Adotta un terrazzamento".

Da un'idea sorta nel corso di una ricerca sul fenomeno del neo-ruralismo, condotta dall'Università di Padova, e' nato il progetto di istituzionalizzare l'adozione, da parte di privati, di terrazzamenti da tempo abbandonati.

Nell'agosto del 2010 rappresentanti delle Istituzioni locali, comunità locale, abitanti urbani e Università hanno costituito il comitato denominato "Adotta un terrazzamento in Canale di Brenta".

Compito principale del Comitato è stato quello di definire le regole del contratto di Comodato d'uso e della gestione degli appezzamenti di terreno da parte degli adottandi.

In sintesi, chi adotta il terreno si impegna a realizzare i lavori per il suo recupero e manutenzione a fronte della concessione gratuita dei terreni per cinque anni.

L'adottante potra utilizzare il legname prodotto con la pulizia dei terrazzamenti e potrà consumare e vendere tutto quello che il terreno potrà produrre.
Il contratto incoraggia il ripristino delle strutture esistenti con le tecniche tradizionali, culture di tipo biologico, l'originaria regimentazione delle acqua e uno specifico comma del Regolamento vieta di piazzare "nanetti" nei terrazzamenti adottati.

Oltre all'odozione diretta è anche possibile un'adozione a distanza  che , grazie al versamento di 15 euro/anno permette la copertura delle spese di lavori ordinari e straordinari di manutenzione e da diritto a visitare periodicamente il terreno adottato a distanza e poterne verificare il buono stato.

Alcuni dei terrazzamenti in affido e adottati a distanza nel 2011
Nel giugno 2013 erano già cento i terrazzamenti affidati a 91 nuovi soci, con una superfice complessiva superiore a 4 ettari.

I nuovi coltivatori arrivano dalla vicina pianura, ma anche da Vicenza, Padova e persino da Venezia; l'età prevalente è tra 50 e 65 anni, e non mancano i giovani con età compresa tra i 18 e i 35 anni.

E' interessante il fatto che il 50% degli affidatari è in possesso di un diploma superiore o di una laurea. E i terrazzamenti adottati producono ortaggi, uva o sono usati per ospitare alveari e prati permanenti.

Sembra che la cosa funzioni e certamente una simile inziativa è esportabile in altre realtà nazionali.

Io, nel frattempo, sto pensando seriamente di adottare a distanza un terrazzamento del Brenta.

Fateci un pensierino anche voi.

Sullo stesso argomento:
I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)
I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata  2)
I terrazzamenti: la tecnologia dimenticata 3) 

venerdì 28 novembre 2014

I terrazzamenti: la tecnologia dimenticata 3)


Basta una passeggiata sui nostri monti e un pò di attenzione per accorgersi che gran parte di essi sono terrazzati: muri in pietra che seguono le curve di livello e si dispiegano paralleli l'uno all'altro, separati da sottili fasce di terra in piano.


Le forme diseguali delle pietre grezze, l'assenza di cemento, l'attuale stato di abbandono possono suggerire che alla base della loro costruzione ci siano rozze tecniche primitive.



Non è così e la principale prova è l'età di questi manufatti: molte di queste opere sono state realizzate nell'alto medievo, millecinquecento anni or sono e da questa era remota sono arrivati sino a noi, ereditate, date in regalo, da una generazione all'altra, di fatto immodificate rispetto al momento della loro realizzazione, se non per l'ordinaria manutenzione.

La principale funzione dei terrazzamenti è di realizzare in zone acclivi, ma ben esposte al Sole,  terreni coltivabili dove far crescere la vite, l'ulivo, il grano, il fieno, gli ortaggi...

La realizzazione dei terrazzamenti inizia con il disboscamento, che in dialetto ligure si definisce "runca'", roncare, una parola molto antica.
 Il termine ronco, ormai utilizzato nella lingua corrente con il significato di podere terrazzato o colle, deriva infatti dal verbo latino runcare che significa disboscare, dissodare.  Quindi, tutte le località con il toponimo "Ronco" (Ronco Scrivia, Ronco Longo...) ci ricordano che qui c'erano boschi, appositamente tagliati in epoche remote per realizzare terrazzamenti da coltivare. 
FIG1 Schema della realizzazione di terrazzamenti

Finito il disboscamento,alla base del monte si realizza il primo muro a secco di contenimento, sul quale si appoggia il terreno di riporto scavato a monte (FIG. 1)

Durante questo scavo, che tende ad arrivare fino alla viva roccia, si recuperano i massi che saranno utilizzati per realizzare il secondo muro a secco.

Realizzato il primo terrazzamento, il lavoro prosegue verso l'alto, fino a raggiungere la parte di monte rocciosa non più coltivabile.

Ovviamente tutto questo lavoro è fatto a mano con picconi, pale e mazze per lavorare la pietra. Per il trasporto delle pietre e della terra sono usati animali da soma con appositi basti.

Come già detto, i muri di pietra sono a "secco", ossia realizzati senza l'uso di leganti quale calce o cemento. Questo ovviamente comporta una grande abilità ed esperienza delle maestranze che hanno tirato su questi muri, a volte definibili come ciclopici.
FIG 2  Dettagli costruttivi di un muro a secco

La Figura 2 mostra alcuni dettagli costruttivi dei muri a secco che spiegano la loro durata nel tempo.

Il muro è leggermente inclinato verso monte per meglio rispondere alle spinte verso l'esterno della terra e dell'acqua assorbita.

Le pietre più grandi sono utilizzate come base del muro e altrettanta cura è data alle pietre da porre sulla testa del muro.

 Dietro al paramento murario esterno si pone uno spesso strato di pietre e ciottoli con il compito fondamentale di drenare il flusso d'acqua e di ridurre la perdita di terra.

In questo modo, anche nel caso di forte piogge, i terrazzamenti non si imbibiscono d'acqua e quindi si evita che il peso della terra a monte provochi il crollo dei muri.

Sulla base del muro, per tutta la sua lunghezza, è realizzata una canaletta con lo scopo di raccogliere l'acqua drenata dal muro ed evitare che essa scorra lungo il pendio di terra ed eroda la preziosa terra, portandola via.

I terrazzamenti sono gli elementi più in vista di una complessa opera di trasformazione del territorio che comprende anche scale in pietra di accesso ai campi, canali per la regimentazioni e l'uso dell'acqua, cisterne, strade poderali e mulattiere, costruzioni in pietra per il rimessaggio degli attrezzi e riparo.

FIG. 3 Muro in aree ventose
I terrazzamenti sono anche un interessante esempio di bio architettura.

Ad esempio, in condizioni climatiche particolari, come le isole con forti venti di direzione dominante che potrebbero danneggiare le coltivazioni, i muri sono più alti del piano coltivato, con lo specifico scopo di creare una barriera frangivento.

Gli spessi muri in pietra, di solito orientati verso Sud,  hanno anche la funzione di accumulare energia solare sotto forma di calore e questo crea, lungo tutto il terrazzamento, un microclima utile per la migliore crescita e maturazione del raccolto.

Merita attenzione anche il fatto che i muri a secco offrono ospitalità a rettili, insetti, piccoli mammiferi e questo contribuisce alla tutela della biodiversità, ma anche a forme di lotta biologica.

Nelle zone più acclivi la coltivazione dei terrazzamenti è certamente penalizzata dalla difficoltà dei trasporti, specialmente dei carichi pesanti.

A questo problema l'ingegno contadino ha risposto con slitte da utilizzare d'inverno, ma ancor più con semplici funicolari, con lo sfruttamento della forza di gravità per trasportare a valle il legname e il carbone di legna.

Nelle Cinque Terre questa vecchia tradizione è stata aggiornata e oggi un "trenino" a cremagliera permette il facile trasporto delle ceste d'uva dai terrazzamenti al punto di raccolta.

Insomma, se vogliamo, i terrazzamenti possono continuare ad essere con noi e fornirci sicurezza e cibi di qualità.

Sullo stesso argomento:
I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)
I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata  2)

FIG. 4 Trenino a cremaliera sui terrazzamenti delle Cinque Terre.


martedì 18 novembre 2014

I terrazzamenti liguri: la grande opera dimenticata 2)

Aree montane terrazzate 
La Liguria è il territorio nazionale che ha la maggiore presenza di aree terrazzate che, da oltre un millennio, hanno permesso la coltivazione intensiva di olivi e viti,  in un territorio molto acclive.

In Liguria, la superfice terrazzata è di 373 chilometri quadrati, pari al 6,8% dell'intera superfice della regione e la lunghezza complessiva dei muri a secco liguri è di 40.000 chilometri (proprio così).

Il 25 ottobre del 2011, nel levante ligure (Cinque Terre) un violento nubifragio, in sei ore  ha riversato 542  millimetri di pioggia.

Al conseguente  "bombardamento" di oltre mezza tonnellata d'acqua per metro quadrato, la maggior parte dei terrazzamenti ancora coltivati a vite, hanno resistito.

Al contrario, molte delle frane che hanno contribuito alla distruzione di Vernazza e Monterosso si sono staccate dai terrazzamenti abbandonati.

Anche l'entroterra genovese è interessato da un esteso terrazzamento, sopravvissuto alla intensa urbanizzazione delle aree collinari.

In base a studi condotti nei primi anni 2000  e conclusi nel 2008 (progetto ALPTER ) il 15% dell'intero bacino del Bisagno (96 chilometri quadrati) è coperto da terrazzamenti, in gran parte in abbandono. 

Lo studio evidenziava che, nel 2007, i movimenti franosi interessavano con pari frequenza sia i terrazzamenti abbandonati che quelli ancora in uso.

Quale ruolo abbiano avuto i terrazzamenti della val Bisagno, nelle disastrose alluvioni el 2011 e del 2014 non risulta essere stato oggetto di valutazioni, ma la diversa risposta ai nubifragi dei terrazzamenti in uso nelle  Cinque Terre e nella Val Bisagno, potrebbe avere una spiegazione.

I terrazzamenti delle Cinque Terre sono gestiti prevalentemente da imprese agricole e gli interventi di manutenzione sono presumibilmente effettuati con maggiore perizia di quelli genovesi a gestione famigliare.

E non seguire le precise regole per riparare i muretti, magari ricorrendo al più facile cemento per tenere su i muri, può fare la differenza.

La costruzione e la manutenzione dei muri a secco, utilizzati per creare superfici di terra pianeggianti dove coltivare vite ed ulivo è una vera e propria arte, difficile da imparare e realizzare ma che, una volta messa in atto, testimonia il fatto che la "sostenibilità",  la durata nel tempo in equilibrio con le risorse e con eventi meteoclimatici estremi, sia possibile.

Per chi voglia saperne di più, consiglio la lettura il "Manuale per la costruzione dei muretti a secco" edito a cura del Parco delle Cinque Terre.

Vi renderete conto della grande perizia che è stata applicata nella realizzazione di questa opera ciclopica.

Perizia che sarà opportuno riscoprire per applicarla alla nuova Grandissima Opera: la messa in sicurezza e in produzione dei 40.000 chilometri di "fasce" liguri.

domenica 16 novembre 2014

I terrazzamenti: la grande opera dimenticata 1)


La Liguria è un territorio fatto a terrazze.

Terrazze artificiali, tirate su a forza di braccia, a partire dall'anno mille, con i monaci a lavorare e a dirigere i lavori e con milioni di uomini e donne che, secolo dopo secolo, fino agli anni del primo dopoguerra, hanno garantito la loro manutenzione e il loro utilizzo per produrre vino, olive, grano, ortaggi.

Una grandissima opera, giunta sino a noi praticamente intatta.

E un'opera ciclopica, più grande della Grande Muraglia cinese: nelle sole "Cinque Terre" ci sono 5.729 chilometri di terrazzamenti o "fasce", come si chiamano da queste  parti.

Ma quando i 150.000 agricoltori  ancora presenti ed attivi su monti e colline liguri negli anni '50, si sono ridotti agli attuali 14.000, con l'abbandono è cominciato il dissesto e con esso frane, smottamenti, alluvioni sempre più disastrose, come quelle che ques'anno, ancora una volta, più volte, hanno distrutto e ucciso, colpendo quasi tutta la costa ligure.

E proprio questo abbandono è la causa del fatto che il 98% dei comuni liguri sia ad alta criticità idrogeologica.

Ma su una cosa nessuno ha dubbi: i terrazzamenti sono una salvaguardia del territorio in quanto diminuscono l'acclività dei versanti, riducono l'erosione del terreno, rallentano i flussi di acqua nel corso di eventi meteorologi estremi, assorbono grandi quantità d'acqua ,regolandone il regime.

Invece è l'abbandono dei terrazzamenti, con la crescita spontanea di alberi e la conseguente instabilità dei muri a secco, la causa principale dell'attuale dissesto, come ha dimostrato uno studio effettuato subito dopo i luttuosi eventi dell' ottobre del 2011 che hanno portato morte e distruzione a Monterosso e Vernazza ed attivato ben 88 frane in pochi chilometri quadrati di territorio, colpito dal nubifragio.

FIG. 1: Uso del suolo nelle zone di distacco delle frane avvenute con l'alluvione del nov 2011 nelle Cinque Terre
Lo studio ha verificato che il 48% di queste frane sono avvenute in corrispondenza di terrazzamenti abbandonati e, altrettante (44%), in aree boscate non gestite, anche a causa dell'elevata acclività di queste aree.

Invece, le aree meno interessate da frane (dal 2 al 3 %) sono state quelle in corrispondenza dei terrazzamenti coltivati a vite. E, nelle maggior parte di questi casi, le frane sono partite dal margine dei terrazzamenti, in corrispondenza di aree boscate, a conferma della stabilità al terreno fornita da terrazzamenti coltivati.

Infatti, nei terrazzamenti abbandonati e ricoperti di arbusti, le cui radici rendono instabili i muretti, gli eventi franosi sono risultati di maggiore frequenza, circa triplicati  (11%).

FIG 2. Foto aerea del 2006 e la stessa zona dopo l'alluvione del 2011.
La Figura 2 mostra due eventi franosi (F1 e F2) avvenuti nelle Cinque Terre,  in corrispondenza di terrazzamenti recentemente abbandonati.

Lo studio ha anche verificato che l'8% delle frane sono avvenute per cedimento delle scarpate, a valle delle strade (Figura 3), eventi che sottolineano l'importanza di una buona progettazione ed una altrettantanta buona manutenzione delle vie di accesso dei monti.

FIG 3. Due frane dovute a cedimento della scarpata a valle della strada (Cinque Terre)

Tutto questo ha un significato ben preciso che il popolo ligure deve avere ben chiaro: se la Liguria e Genova in particolare, vorrà evitare o ridurre i danni dei prossimi nubifragi, sarebbe meglio che cominciasse a ritornare con lo sguardo e con le opere, ai suoi monti, alle sue "fasce" da recuperare e far ritornare a dare frutti.

Ne parleremo nel possimo post.

lunedì 10 novembre 2014

La Svezia costretta ad importare rifiuti per non morir di freddo.



La Svezia (nove milioni di abitanti) ha in funzione trentadue  inceneritori alimentati con rifiuti, che producono contemporaneamente calore ed elettricità.

Con il calore prodotto in questo modo, il 20% della popolazione svedese riscalda le proprie case, durante il lungo e freddo inverno che caratterizza le loro latitudini e l'elettricità copre i consumi di 250.000 abitazioni.

Un esempio di successo, una scelta da esportare negli altri paesi d'Europa, compreso il nostro?

Così sembrerebbe, vista la rinnovata euforia degli inceneritoristi nostrani, dopo il regalo che gli  ha fatto il governo Renzi che,  con il decreto "sbloccaitalia", ha promosso i termovalorizzatori a scelta stretegica nazionale.

Ma chi plaude al modello svedese e auspica il proliferare di termovalorizzatori in tutte le regioni italiane, non racconta tutta la storia.

Ad esempio,  quanti sanno che nel 2006, con già trenta inceneritori in funzione, il governo svedese aveva deciso di tassare la termovalorizzazione dei rifiuti urbani?

In base alle dichiarazione del Ministro delle Finanze svedese, questa tassazione a carico della componente "fossile" dei rifiuti (plastiche miste), aveva l'obiettivo di incentivare la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali e i trattamenti biologici degli scarti organici, finalizzati a produrre compost, metodi ritenuti migliori, ai fini della conservazione di risorse e del risparmio energetico.

Nel 2010 la tassa sull'incenerimento è stata abolita in quanto, in base alle dichiarazioni ufficiali,  si è ritenuto che questa scelta non sia stata utile per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal governo, in particolare quella di favorire il riciclo dei materiali. Ma anche questa scelta merita di essere meglio analizzata.

In quell'anno, in realtà, la Svezia riciclava e compostava il 49% dei suoi scarti, un risultato di tutto rispetto, specialmente se confrontato con il 33% di riciclo e compostaggio registrati in Italia.

Inoltre, sempre nel 2010, il governo svedese, per promuovere il riciclo della frazione organica,  introduceva l'esenzione di tasse sulla vendita e l'immissione in rete di biometano prodotto con la raffinazione del biogas (miscela di metano ed anidride carbonica) prodotto dalla fermentazione anaerobica degli scarti organici.

Infine, nel 2012 l'AgenziaSvedese per l'Ambiente elaborava un nuovo piano nazionale per la gestione dei Materiali Post Consumo, in accordo con le indicazioni della Unione Europea.

In questo Piano, il trattamento delle frazioni organiche prevedeva che almeno il 50% degli scarti di cibo fosse trattato con tecniche biologiche (compostaggio) per uso agricolo del compost prodotto e che il 40% di questi scarti fosse utilizzato anche per produrre biometano da usare per l'autotrazione o da immettere nella rete di distribuzione del gas.

Sono importanti scelte politiche che i nostrani amici degli inceneritori si guardano bene di segnalare.

Dal 2005, la quantità di rifiuti che la Svezia incenerisce (49%) e avvia al riciclo (49%) è sostanzialmente costante mentre si è costantemente ridotta la frazione di scarti avviati a discarica, arrivata all'1% della produzione, nel 2010.

I trattamenti biologici delle frazioni organiche, raccolte in modo differenziato nel 60% dei comuni svedesi, sono in costante crescita e, nel 2011, il 15% di tutti i rifiuti svedesi erano trattati con compostaggio e digestione anaerobica, valori confrontabili con quelli italiani.

La Figura 1 mostra l'andamento dei trattamenti adottati in Svezia, a partire dal 1976, per la gestione dei propri scarti.

La Figura evidenzia come il principale risultato delle politiche Svedesi, che fin dal 2000 aveva introdotto pesanti tasse per la messa in discarica di residui con alto potere calorifico e  delle frazioni organiche, abbia fortemente ridotto l'uso della discarica, a favore del recupero energetico tramite combustione, ancora oggi il principale sistema di smaltimento.

Quello che non sembra funzionare in Svezia è il riciclo dei materiali che, nel 2006, smette di crescere e negli anni successivi mostra una tendenza alla riduzione.


FIG 2: gestione dei rifiuti urbani svedesi dal 1975 al 2012


Quest' andamento merita di essere correttamente interpretato.

Infatti ci potrebbe essere anche un altro motivo per spiegare la decisione di abolire, nel 2010, la tassa sull'incenerimento dei rifiuti: gli svedesi stavano riciclando più del previsto e in questo modo lasciavano a "bocca asciutta" i loro inceneritori.

Insomma, un'eccessivo riciclaggio degli scarti con elevato potere calorifico (carta, plastica) avrebbe costretto al freddo molti svedesi, in quanto i 32  inceneritori non avrebbero avuto a disposizione tutto il combustibile necessario per affrontare i freddi inverni del Nord.

Pertanto, a causa delle sue scelte energetiche, avviate negli anni '80, incentrate sulla produzione di calore ed elettricità dai rifiuti, la Svezia, da qualche anno, si trova nella singolare condizione di dover importare rifiuti se vuole continuare a fornire calore ai suoi abitanti.

Attualmente, la Svezia importa 813 mila tonnellate all'anno di rifiuti da utilizzare  nei suo inceneritori con recupero di calore ed energia elettrica.
Il maggiore fornitore di rifiuti è la vicina Norvegia (152.000 ton/anno), ma rifiuti arrivano anche da altri paesi europei, compresa l'Italia.

La Norvegia paga per questo servizio e, in sovrappiù, si accolla lo smaltimento delle ceneri prodotte con i suoi rifiuti. Ceneri tossiche, a causa della loro pesante contaminazione da metalli pesanti e diossine che la Svezia rimanda al mittente, guardandosi bene dal doverle inertizzare e smaltire nel proprio territorio.

E ovvio che anche la Norvegia abbia il suo tornaconto in questo scambio, trovando più economico per lei far fare il lavoro "sporco" e costoso ai suoi vicini, senza accollarsi il pesante costo finanziario della costruzione e gestione di inceneritori.

Per il momento questa gestione funziona e, grazie ai rifiuti propri ed altrui, gli Svedesi stanno al caldo ma i tecnici del settore sanno che non potrà continure così.

Sempre più paesi, insieme alla Unione Europea, stanno scoprendo come sia più conveniente, ambientalmente, ma anche dal punto di vista energetico e occupazionale, riciclare e compostare i propri materiali di scarto e avviarli in nuovi processi produttivi finalizzati all'uso delle materie recuperate.
E obiettivi di riciclo dei materiali superiori al 70% sono tecnicamente ed economicamente praticabili.

Pertanto, prima o dopo, quando gli investimenti dei termovalorizzatori saranno stati ammortizzati, gli Svedesi, per riscaldarsi, dovranno inventarsi qualche altra soluzione.

Riscaldarsi, bruciando "corone svedesi" non è proprio una furbata!

Invece l'Italia, senza la palla al piede di un grande parco di termovalorizzatori da tenere in funzione, può più facilmente  avviare la scelta virtuosa dell'economia circolare, fondata sul riciclo dei materiali.

Nonostante quello che il Governo Renzi pensi, l 'Economia Circolare è la vera scelta strategica, di interesse nazionale, in grado di garantire nuove e stabili opportunità di lavoro, elevati risparmi energetici, bassi impatti ambientali e sanitari.

Una scelta che certamente la Svezia ci invidierà.

Sullo stesso argomento:








mercoledì 5 novembre 2014

L'anidride carbonica sale e l'ossigeno scende. Ci dobbiamo preoccupare?

FIG 1. Andamento della concentrazione di anidride carbonica e di ossigeno nell'atmosfera terrestre dal 1958 al 2007
Poichè la Terra è un sistema chiuso e la Chimica non è un'opinione, bruciare combustibili aumenta la concentrazione di anidride carbonica della atmosfera del nostro Pianeta e inevitabilmente diminuisce la concentrazione di ossigeno. La Figura 1 sintetizza i risultati delle misure sperimentali dei due fenomeni.

La Figura 2 esemplifica la reazione che avviene quando si brucia l'isottano, uno dei tanti  idrocarburi presenti nelle benzine,  e un pezzo (monomero) di cellulosa di un tronco d'albero.

In entrambi i casi gli atomi di carbonio (C) e di idrogeno (H) presenti in questi due combustibili reagiscono con l'ossigeno dell'aria (O) per formare anidride carbonica e acqua. E da queste reazioni si sviluppa calore che sfruttiamo per muovere la macchina e per riscaldare casa.


FIG 2. Reazione di ossidazione di isoottano e cellulosa

Come si può vedere, per ogni molecola di idrocarburo e per ogni monomero di cellulosa, diverse molecole di ossigeno sono sottratte all'atmosfera.


FIG 3 Attuale composizione chimica dell'atmosfera terrestre
 L'aria che respiriamo contiene circa il 21% di ossigeno, il gas più abbondante subito dopo l'azoto,  e questa quantità, da qualche centinaia di milioni di anni, è in equilibrio tra quanto ossigeno producono piante e alghe, a partire dall'acqua, grazie alla sintesi clorifilliana, e quanto ossigeno consumano tutti gli altri esseri viventi e le stesse piante, nelle ore notturne.

Ma non è sempre stato così.

Per miliardi di anni l'atmosfera della Terra non conteneva ossigeno libero (FIG 4) ed era fatta solo di metano, anidride carbonica, azoto.

In queste condizioni, per noi proibitive, c'erano comunque forme di vita batteriche in grado di riprodursi in assenza di ossigeno. 

Poi, circa due miliardi e mezzo di anni fa, sono comparsi i primi organismi, alghe, in grado di trasformare l'energia solare in energia chimica.

Sotto prodotto di questa reazione era ed è l'ossigeno, molecola molto reattiva, un vero e proprio veleno per i vecchi batteri anaerobi, ma una vera pozione magica, una carica energetica per le nuove forme di vita che avevano imparato ad utilizzare l'ossigeno come comburente del loro cibo.

Con il Carbonifero (tra 318 e 359 milioni di anni fa)  e la concomitante esplosione di vegetali a coprire le terre emerse e a popolare i mari,  l'ossigeno in atmosfera raggiunse il suo valore massimo (circa 30%) per poi scendere ai valori attuali, anche grazie al fatto che i movimenti tettonici e catastrofici eventi climatici sottraevano una grande quantità di quei antichi vegetali alla naturale ossidazione di fine vita, da parte dei batteri.

FIG. 4. Pressione parziale di ossigeno nell'atmosfera terrestre da 3,85 miliardi di anni fa ad oggi

Dopo qualche centinaio di milioni di anni di sepoltura nelle viscere della Terra, la specie vivente che si è autodefinita "Homo Sapiens", da circa 200 anni, ha scoperto il valore energetico di carbone, petrolio, metano e con la loro combustione consuma l'ossigeno dell'aria, senza che ci siano nuove piante in fase di crescita, in grado di produrre nuovo ossigeno.

FIG 5 Andamento dei consumi mondiali di energia e fonti dal 1820 ad oggi


E in un battere di ciglia, sulla scala dei tempi geologici, stiamo cambiando la composizione chimica dell'aria del Pianeta che momentaneamente ci ospita.


FIG. 6  Concentrazioni mensili e medie annuali di CO2 a Mauna Loa, dal 2010 a ottobre 2014

Le misure della concentrazione di anidride carbonica effettuate sull'isola di Mauna Loa, sulla cima di un vecchio vulcano, a 4000 metri di altezza sul mare e in pieno Oceano Pacifico, dimostrano senza ombra di dubbio un aumento costante della concentrazione di anidride carbonica (FIG 1-6).

All'inizio delle misurazioni (1958) la concentrazione media annuale di anidride carbonica  era di 316 parti per milione (ppm), nell'ottobre di quest'anno si sono misurati 398 parti per milione.

Quest'aumento è certamente da attribuire all' uso energetico di combustibili fossili e alla deforestazione in atto in Amazzonia e nelle isole del Borneo.

FIG 7. Andamento della concentrazione di ossigeno in atmosfera in Australia e negli USA (1991-2014)


A partire dai primi anni novanta, le misure di ossigeno nell'aria, effettuate in diverse località del Pianeta, mostravano, come l'anidride carbonica, un costante andamento stagionale.
Le massime concentrazioni di ossigeno si registrano durante il periodo estivo (massima attività foto-sintetica dei vegetali) e le concentrazioni minime corrispondono al periodo autunnale in cui diminuisce l'azione fotosintetica delle piante mentre è massima l'attivita degradativa dei batteri a carico della biomassa giunta alla fine del suo ciclo vitale.

Tuttavia, come mostra la Figura 7, le misure di ossigeno registrano anche un costante decremento, anno dopo anno, delle medie annuali, segno che il bilancio dell'ossigeno non è in equilibrio: ogni anno se ne consuma di più di quello che le piante e le alghe immettono in atmosfera.

I conti confermano che l'ossigeno che manca è proprio quello che, nello stesso periodo, si unisce al carbonio e all'idrogeno, quando bruciamo combustibili fossili e foreste.

Indicativamente,  per ogni molecola di anidride carbonica che, a causa delle nostre scelte energetiche e di consumo, si accumula in atmosfera, tre molecole di ossigeno sono sottratte ai polmoni e alle branchie di tutti gli esseri viventi.

In soldoni,  in soli due secoli di crescita (quelli dalla Rivoluzione Industriale di fine '700 ad oggi) la concentrazione di ossigeno del nostro Pianeta si è ridotta dello 0,095%.

Grazie alla grande quantità di ossigeno che le piante ci hanno messo a disposizione nel corso di centinaia  di milioni di anni, non corriamo il rischio di morire asfissiati.

Ma, se ci riflettete bene, è il caso di preoccuparsi seriamente, in quanto è evidente che i nostri destini sono in mano a dei pericolosi apprendisti stregoni che, in nome della crescita continua,  deliberatamente ignorano i delicati equilibri che permettono alla Terra di essere un Pianeta Vivente.












martedì 7 ottobre 2014

TARES o TARI: è sempre una TRUFFA!

La TARES, la nuova Tariffa Rifiuti E Servizi, in base alla quale avremmo dovuto pagare il servizio di Nettezza Urbana (spazzature strade, raccolta dei rifiuti e loro trattamenti) come pure l'illuminazione pubblica, passando da Monti a Letta e infine a Renzi, ha cambiato nome (da TARES a TARI) ma fregatura era prima e fregatura è rimasta.

Infatti la Tares, che era stata introdotta dalle riforme del governo di Mario Monti, calcolava il coefficiente di produzione dei rifiuti in base alla metratura dell’immobile di residenza.
La Tari riprende strettamente quest’ultima impostazione, con l’esclusione delle aree circostanti la residenza, come i giardini.

I tecnici e i non eletti dal popolo messi al governo sono in grado di spiegare agli Italiani cosa centrano i metri quadrati delle nostre abitazioni, negozi, uffici, aziende, con la nostra quota di produzione di Materiali Post Consumo (ex rifiuti)?

Provo a fare un esempio: io e mia moglie abitiamo in 120 metri quadrati. L'anno scorso il Comune di Bogliasco, dove abitiamo, facendo i conti in base alla superfice della nostra abitazione, ci ha chiesto per il nuovo servizio di Igiene Urbana (TARES) , 258 euro all'anno.

Ogni anno il mio nucleo famigliare produce 306 chili di scarti (li abbiamo pesati nell'ambito del progetto " Cittadini in rete per il Riciclo" promosso da Italia Nostra) e ne differenziamo e compostiamo 234 chili.

Quindi la nostra differenziata supera il 74% e ogni anno, inviamo a discarica solo 72 chili dei nostri scarti non riciclabili, quelli che il Comune realmente paga.

Non siamo "super-eroi verdi", siamo informati e motivati a farlo, come tutte le famiglie italiane già servite da servizi Porta a Porta.

Pertanto la nostra Tariffa reale, per tutti i 306 chili di MPC che effettivamente produciamo è stata di 0,84 euro a chili: 840 euro per tonnellata !!! 

Al Comune di Bogliasco la discarica costa 80 euro a tonnellata, a quello di  Napoli, raccogliere i rifiuti e mandarli ad incenerire in Olanda, costa solo 113 euro a tonnellata!

E quest'anno, con la TARI, sarà peggio perchè, in base alle nuove disposizioni, la TARI deve coprire l'intero costo del servizio e il Comune non può piu accollarsi, come faceva, una parte dei costi del servizio di Igiene Urbana.

Questa mia situazione, che accomuna milioni di famiglie italiane, io la definirei una TRUFFA!

C'è qualche bravo avvocato che possa dare un parere su questa ipotesi, in modo da attivare una bella CLASS ACTION, contro il Governo dei Tecnici e quello delle larghe intese?

C'è anche da dire che, visto che sia io che mia moglie facciamo una bella differenziazione, il nostro Comune potrebbe vendere al CONAI la plastica, la carta, i metalli, il vetro  che abbiamo separato e guadagnare un bel pò di soldini.

Facendo i conti, una famiglia tipo con 3 componenti, con servizio Porta a Porta, differenzia circa 450 chili all'anno di materiali preziosi che nelle casse del Comune, con gli attuali e magri contributi CONAI,  farebbero  entrare 47 euro, equivalenti a 104 euro a tonnellata di materiali differenziati. Visti i tempi, non sono certamente soldi da buttar via.


Insomma che sia TIA, che sia TARES, che sia TARI si paga per lavorare (per fare la differenziata) e si versa uno sproposito alle casse del Comune, rispetto al servizio reso.

Il brutto è che il mio Comune ha rinunciato a fare accordi con il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI), come la maggior parte dei Comuni italiani, nonostante una raccolta differenziata, che a Bogliasco supera il 70%.
Quindi, il possibile ricavato del nostro lavoro di differenziazione e di tutti gli altri 5000 bogliaschini, (stimabile intorno ai 70.000 euro all'anno) va alla ditta che effettua la raccolta, alla quale il Comune ha ceduto il diritto di proprietà dei rifiuti raccolti,con il sospetto che, in questo modo, siano super pagati i pochi servizi aggiuntivi chiesti in cambio.

Possiamo sperare in un prossimo governo di persone di buon senso che pongano fine a questo sconcio, ad esempio obbligando tutti i Comuni italiani a fare la raccolta differenziata Porta a Porta e di Prossimità, abbinata alla Tariffazione Puntuale, calcolata in base al numero di sacchetti per la frazione secca non riciclabile conferiti annualmente da ciascuna famiglia, a loro volta  identificata da un codice a barre stampato sui sacchetti assegnati?

mercoledì 1 ottobre 2014

Quanto ci costano i rifiuti inceneriti? Molto più della TARI!

Inceneritore di Acerra

Avete un'idea di quanto pagate, a peso, per liberare la vostra casa dei vostri rifiuti, o per meglio dire, dei vostri materiali materiali post consumo?

Se volete farvi passare questo sfizio e farvi venire un pò di nervoso, per un certo periodo pesate i vostri scarti (sia quelli indifferenziati che quelli che separate per la raccolta differenziata) prima di conferirli nei cassonetti, annotando il numero di giorni che ci sono voluti per la loro produzione.

Calcolate quindi, il numero medio di chili prodotti giornalmente e moltiplicate questo valore per 365: in questo modo avrete la stima della quantità di scarti che la vostra famiglia produce in un anno.

A questo punto prendete il bollettino che vi ha cominicato quanto avete dovuto pagare lo scorso anno per il servizio di nettezza urbana ( ritiro dei vostri rifiuti e loro riciclo e smaltimento, vostra quota di spazzamento strade).

Dividete questa cifra per in numero di chili di MPC che avete stimato produrre in un anno e avrete il vostro costo a chilo. Moltiplicate questo numero per mille e saprete finalmente quanto a voi costa la gestione di una tonnellata di materiali post consumo.

Se non avete pazienza e famigliarità con la matematica vi posso informare che, in base ai risultati di un centinaio di famiglie italiane che per quattro mesi si sono coscienziosamente pesati i loro scarti, avendo aderito ad un progetto di Italia Nostra, il costo medio della tassa/tariffa rifiuti di una famiglia italiana è di 350 € a tonnellata di rifiuto realmente prodotto.

Se la cosa vi può consolare, il costo a carico della mia famiglia (due componenti)  e' di oltre 800 ( sic) euro a tonnellata.

Il problema mio e di tutti gli italiani e' che, conteggiare il costo del servizio in base ai metri quadrati della abitazione e' una emerita sciocchezza.

La mia famiglia (due componenti) abita in un appartamento di 120 metri quadrati ma differenzia oltre il 70% dei propri scarti e adotta numerose strategie per produrne pochi (ad esempio il compostaggio domestico) quindi produce annualmente una quantità estremamente ridotta di rifiuti ( una settantina di chili), in particolare in forma indifferenziata.

Purtroppo per tutti noi non finisce qui l'analisi di quanto ci costa gestire la nostra spazzatura.

Come forse sapete, il 7% della nostra bolletta della luce sovvenziona la produzione di elettricità da fonti di energia rinnovabile e in Italia i rifiuti urbani, per la quota di rifiuto biodegradabile trattato ( carta, cartone, sfalci, scarti di cucina... )  sono stati per legge assimilati a fonte energetica rinnovabile per cui,  gran parte di questa tassa finisce ai cosidetti termovalorizzatori.

In particolare, attualmente, ogni tonnellata dei nostri rifiuti termovalorizzata riceve, per la quota di rifiuto biodegradabile un contributo prelevato dalla nostra bolletta della luce pari a 70 €.
Mi dispiace farvi sapere che non abbiamo ancora finito.

Per ogni imballaggio che serve a contenere, preservare trasportaretutti gli oggetto che compriamo,  paghiamo al momento dell'acquisto, una ecotassa di 70 € a tonnellata pagata dal produttore dell'imballaggio e ovviamente scaricata sul prezzo finale della merce.
Questa cifra dovrebbe essere utilizzata dal Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) per permettere il riciclo degli imballaggi, ma le cose non vanno proprio così e sono ancora numerosi i Comuni che neanche sanno di poter recuperare un bel po' di euro dagli imballaggi differenziati convenzionandosi con il CONAI.

Se infine avete la sfortuna di vivere in una città dotata di inceneritore che distribuisce acqua calda con il teleriscaldamento, come succede a Brescia,  avete anche la beffa di pagare il calore prodotto con il vostro combustibile che avete dovuto pagare per la sua termovalorizzazione.

Insomma, tra tasse palesi e tasse occulte la gestione dei nostri rifiuti ci costa dai 400 ai 500 € a tonnellata prodotta.

Avete una idea idea di quanto costa al gestore la raccolta e la termovalorizzazione di una tonnellata di MPC?

Per raccogliere una tonnellata di MPC il gestore paga  95 € e per termovalorizzarli, lo stesso gestore spende da 90 a 150 €.

Pertanto il costo massimo a carico del gestore è di 245 € a tonnellata e il suo quadagno netto ammonta circa a questa stessa cifra, in un mercato assolutamente assistito, protetto e garantito.

Ora avete capito perchè Casa delle Libertà, Partito Democratico con Renzi in testa, sono favorevoli a termovalorizzare tutto quello che brucia, quale uso strumentale sia stati fatto della emergenza di Napoli e perché Renzi pensa di sbloccare il Paese dando via  libera alla realizzazione di inceneritori che, in quanto dichiarati di utilità strategica, potranno essere presidiati dall'esercito?

Quale forza politica è disposta a mettere nel suo programma  la liberazione di  tutti gli Italiani da queste tasse odiose e di avviare il Paese verso obiettivi di Rifiuto Zero?

Postato da: federico46 a 15:59 | link | commenti (1)
ambiente e società, vedi napoli, materiali post consumo


Commenti:

#1  19 Febbraio 2008 - 14:52
avevo gia letto di queste cifre, ma non avevo realizzato il collegamento tra Napoli e i termovalorizzatori...
grazie.
adesso ho un'argomentazione in più contro questa casta di delinquenti...
Utente: 1KONAN Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente.

martedì 30 settembre 2014

Tassiamo la termovalorizzazione

Il primo luglio 2006 il governo svedese ha introdotto nuove tasse alla termovalorizzazione dei rifiuti.

Una tassa riguarda l'energia prodotta  da questi impianti ed ammonta a 16,5 € per tonnellata di carbonio fossile presente nei rifiuti. La seconda tassa riguarda la riduzione della produzione di anidride carbonica ed ammonta a 371 € per tonnellata di carbonio fossile termovalorizzato.

In sintesi,  queste tasse vogliono scoraggiare la termovalorizzazione delle plastiche (che contengono solo carbonio fossile) e favorire il riciclo dei materiali post consumo e le tecniche di trattamento biologico.

Il sistema svedese per la gestione dei materiali post consumo sta subendo profonde modifiche.

In questo paese esistono 30 inceneritori con recupero energetico dai rifiuti, ma i nuovi obiettivi  del governo svedese sono "più materiali per il riciclo e di migliore qualità " :  riciclo ( vero) del 55% degli imballaggi entro il 2008 e riciclo del 50%  entro il 2010 dei rifiuti domestici, anche grazie a trattamenti biologici (compostaggio e fermentazione anaerobica).

Questa scelta è una vera rivoluzione per la Svezia. Nonostante il fatto che nei rifiuti svedesi la plastica rappresenta il 14%  in peso, fino al 2006 i rifiuti urbani erano considerati una fonte di energia rinnovabile e quindi esentati dalle tasse applicate ai combustibili fossili. Questa scelta favoriva indebitamente i rifiuti rispetto ad altri  combustibili  usati per  il teleriscaldamento.

Oggi, grazie a queste tasse la concorrenza sleale in Svezia è azzerata.

In Italia, invece si continua a foraggiare l'incenerimento dei rifiuti con soldi tolti dalle tasche degli Italiani sotto forma di tasse pagate sulla bolletta dei rifiuti.  E' la voce A3 della bolletta della luce, tasse che dovrebbero andare ad incentivare le fonti di energia rinnovabile.
E lobby ben agguerrite e ben rappresentate nel Parlamento, sono riuscite a trasformare per legge i rifiuti organici in fonte di energia rinnovabile.
Peccato che, dal punto di vista energetico, sia molto meglio trasformare gli scarti organici in compost piuttosto che trasformarli in cenere tossica.
Ma questo, a Renzi, nessuno lo ha raccontato.

Sullo stesso argomento:


Postato da: federico46 a 18:16 | link | commenti (5)
riciclo, materiali post consumo


Commenti:

#1  30 Aprile 2008 - 08:21
notizia da divulgare ovunque credo.
fonte?
utente anonimo

#2  30 Aprile 2008 - 09:52
In italia finchè chi sta al potere sosterrà i propri interessi e quelli dei suoi amichetti non avremo mai una proposta di legge mirata a migliorare i processi di produzione dell'energia e non si spingerà mai veramente verso una forte riduzione dei rifiuti all'origine ed una conseguente raccolta differenziata spinta.
Finchè in Italia il potere sarà gestito dai grandi interessi economici e non politici (peggio ancora in questo momento i due poteri coicidono) le direzioni intraprese saranno rivolte solo agli interessi dei soliti noti e non del popolo che muore di rifiuti e cancrovalorizzazione.

Che fine faremo?
Utente: GhiaccioRosso Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. GhiaccioRosso

#3  30 Aprile 2008 - 14:04
La fonte è l'articolo di J.Sahil e altri dal titolo
"introduction of a waste incineration tax: effects on the swedish waste flow"
pubblicato su Resources, Conservation and recycling, n 51(2007) pag 827-846
Utente: federico46 Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. federico46

#4  30 Aprile 2008 - 14:42
Buon primo maggio.
Utente: sacchett Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. sacchett

#5  30 Aprile 2008 - 14:55
grazie mille per la referenza, prof. Valerio.

Nel mio piccolo cercherò di divulgare la notizia.

Antonino

lunedì 29 settembre 2014

Hotel campani a basso impatto ambientale: "Tiro al Volo"

Nella mia esperienza napoletana ( 13-16 aprile 2012) per formare nuovi Maestri Compostatori, sono stato ospite di due interessanti alberghi, che potremo definire a "Rifiuti Zero": alberghi che hanno volutamente scelto di ridurre la loro impronta "ecologica" sul territorio che li ospita, come personale contributo alla soluzione dell' "Emergenza Rifiuti" della Campania.
Il primo albergo è  il "Tiro a volo", nei pressi di Pozzuoli.
Accogliente e con un giardino ben curato, potrebbe meritare una medaglia all'onore civile, in quanto, nel pieno dell'emergenza rifiuti, le porte del suo giardino si sono aperte a tutti i Puteolani che non sapevano dove mettere la loro frazione organica.

 In una delle aree di servizio dell'albergo, il proprietario ha realizzato una grande compostiera con materiale di recupero dove, in periodi normali, come l'attuale, si compostano gli scarti organici del giardino e dell'albergo ma, come abbiamo già detto, durante l'emergenza rifiuti di qualche anno fa. questa compostiera fai-da-te ha dato un pò di respiro al vicinato che ha avuto libero accesso all'impianto.





Il compost prodotto è utilizzato per le aiuole del giardino e anche per un piccolo orto, ben curato, gestito dal giardiniere.
In tutto l'albergo si fa raccolta differenziata, che è stimata superiore al 70%.
Acqua in bottiglie di vetro riutilizzabile e erogatori di sapone alla spina in tutte le camere, riducono la produzione di scarti e i bicchieri per gli ospiti, tutti biodegradabili, sono regolarmente compostati.
Un impianto fotoivoltaico sul tetto completa l'equipaggiamento "verde" di questo albergo a tre stelle, che, per i suo basso impatto ambientale ne merita qualcuna in più.
Tutto questo e le meraviglie dei Campi Flegrei che ci sono intorno, meritano un viaggio e un lungo soggiorno.