Translate

mercoledì 30 dicembre 2015

Tutto quello che avreste voluto sapere sui cambiamenti climatici 5

La temperatura globale della Terra è in aumento

Fig. 1. Rete stazioni meteo per la misura della temperatura globale

E' esperienza comune che la temperatura  dell'aria è molto variabile nel tempo  (giorno, notte, estate e inverno...) e nello spazio (altezza sul livello del mare, equatore, poli...).

La temperatura dipende anche dal paesaggio: le città sono sempre più calde delle campagne e dei boschi a loro intorno, sia per la presenza urbana di fonti di calore (automobili, riscaldamento...) sia per la diversa proprietà di assorbire le radiazioni solari dell'asfalto e delle piante.

A fronte di una così elevata variabilità della temperatura è comprensibile la perplessità di fronte alle affermazioni che la temperatura del pianeta Terra sia in aumento.

La risposta a queste perplessità è semplice: sappiamo che la temperatura media del nostro Pianeta sta aumentando in quanto questo è quello che ci dicono le misure, fatte con un vecchio ma affidabile strumento di misura quale è il termometro.

Ovviamente per conoscere la temperatura media del Pianeta, occorrono misure contemporanee effettuate in punti rappresentativi ed un organismo tecnico che le raccolga, le valuti e calcoli, con criteri condivisi, il valore medio, su base annuale, della temperatura terrestre.

La Figura 1 mostra l'attuale distribuzione delle stazioni meteo che forniscono i dati di temperatura utilizzati per calcolare la temperatura media globale.

Si tratta di diverse migliaia di stazioni meteorologiche, collocate a terra e su isole, e il loro colore nella Figura 1 fornisce informazioni sulla durata delle serie storiche di misure messa a disposizione di ognuna di esse.

Chi raccoglie e valuta questa enorme massa di dati sono la NASA  e la National Oceanic and Atmosheric Administration (NOAA).

Le misure sistematiche più antiche risalgono a 160 anni or sono e quindi il 1850 è l'anno dal quale ufficialmente parte il monitoraggio sperimentale del cambiamento della temperatura della Terra.

Poichè è noto che la temperatura della Terra subisce importanti variazioni per motivi non legati all'attività umana (variazione attività solare, eruzioni vulcaniche...) si è stabilito che la temperatura di riferimento sia la temperatura media globale registrata tre il 1961 e il 1990, corrispondente a 14 °C.

Questo valore di riferimento serve a stimare, anno dopo anno, eventuali anomalie ossia temperature medie annuali più basse e più alte della temperatura di riferimento.

La Figura 2 mostra l'andamento più aggiornato delle misure delle anomalie termiche annuali su scala globale, a partire dal 1880 a novembre 2015, con a sinistra la scala delle temperature in gradi centigradi (°C) e a destra in gradi Fahrenheit (°F)

Fig. 2 Anomalie termiche globali dal 1880 al 2015

La Figura 2 mostra come rispetto alla temperatura media del periodo di riferimento (1961-1990), corrispondente al valore zero, tra il 1880 e il 1940 si sono sempre registrati valori medi più bassi (in blu) con i valori più bassi intorno al 1910.

A partire dalla fine degli anni '70 tutte le anomalie ( in rosso) sono dovute a temperature più alte del valore di riferimento e in costante aumento.

Il 2015, il più caldo in assoluto fino ad oggi misurato, fa registrare una temperatura media globale che è circa un grado centigrado maggiore della temperatura media del pianeta del 1880, anni in cui l'Umanità avviava la sua rivoluzione industriale con la macchina a vapore, le ferrovie, le acciaierie alimentate da quantità crescenti di carbone (carbonio organico) estratto dalle viscere della terra, dopo milioni di anni di sequestro dall'atmosfera ad opera di antiche felci.

E visto che, a Parigi, COP 21 si è conclusa con l'auspicio che la temperatura globale non superi 1,5 °C, rispetto al periodo preindustriale (1850), questo grafico ci mostra che ci siamo già giocato un grado di aumento.

Ma la storia delle civiltà umane, da 10.000 anni a questa parte con quali temperature medie ha avuto a che fare?

La Figura 3, grazie all'analisi di particolari isotopi dell'ossigeno, intrappolati insieme alla CO2 nei ghiacci antartici, ci  fornisce una ragionevole risposta.

Rispetto ai 14 °C  dei 30 anni di riferimento (media 1961- 1990 ), le più antiche civiltà (Egizia, Minoica, Assiro-Babilonese) hanno goduto temperature medie relativamente miti, più elevate di circa 0,4 °C.

A partire da 5.000 anni fa ( 3.000 AC) le temperature si sono lentamente abbassate, fino a risultare inferiori al valore di riferimento.

L'Alto medievo ha sperimentato un aumento della temperatura, seguito da un raffreddamento relativamente veloce, culminato nella piccola glaciazione verso la fine del 1600 e poi, come abbiamo visto e misurato direttamente, con la rivoluzione industriale la temperatura media globale del Pianeta si innalza velocemente e oggi (fine 2015) fa registrare valori che le civiltà che ci hanno preceduto non hanno mai sperimentato.


Fig 3 Stima della temperatura globale e margini di incertezza da 10.000 anni or sono ad oggi.

Per chi vuol studiare in maggiore dettaglio l'andamento delle anaomalie della temperatura globale, rinvio alla visione della Figura 4 che mostra in rosso le misure sperimentali riportate nella Fig 2 e le stime delle temperature globali nell'emisfero nord, effettuate da diversi autori.

I grafici mostrano in maggior dettaglio la lunga  "primavera" registrata dopo il 1000 dC , la piccola glaciazione alla fine del 1500 e il lungo "inverno"alla fine del 1800, a seguito della catastrofica eruzione del vulcano Krakatoa, nel 1883.

Tutti questi studi confermano che, da 1.000 anni ad oggi, la temperatura globale del pianeta non è stata mai così alta.

Fig. 4 Andamento delle anomalie della temperatura nell'emisfero Nord dall'anno 200 dC al 2000 dC. Nella figura in basso un maggiore dettaglio dall'anno 1000 dc al 2000  dC


Se avete ancora qualche dubbio che l'aumento di CO2 in atmosfera possa avere un ruolo determinante sulle anomali termiche del nostro Pianeta, saranno certamente fugati dalla Figura 5
che mostra l'andamento, sovrapponibile, della concentrazione di CO2 in atmosfera e le anomalie termiche dal 1900 dC ai giorni nostri, parametri che, come abbiamo visto, derivano da misure sperimentali.
 

Fig. 5 Andamento delle concentrazioni di CO2 e delle anomalie della temperatura globale (1900-2008)

Quanto abbiamo illustrato in questi cinque capitoli può essere così sintetizzato:
la storia dell'umanità non ha mai sperimentato concentrazioni in atmosfera di anidride carbonica e temperature medie globali come quelle attuali, parametri in inevitabile crescita se non si adottano subito e su scala globale nuovi modelli di sviluppo meno consumistici e non più basati su fonti di energia fossile.

In base a questi dati, la Conferenza di Parigi di CO21 ha mandato un messaggio forte e chiaro:
"POPOLO DELLA TERRA, ABBIAMO UN PROBLEMA!"

Nessuna persona responsabile ha dubbi a riguardo, ma a giudicare dalle scelte politiche dei governanti del mondo, temo che da Parigi sia arrivato anche un' altro messaggio:
"E ORA ARRAGGIATEVI !"

E nel prossimo ed ultimo capitolo vedremo cosa, ognuno dei sette milardi di umani che oggi popola la Terra, potrebbe e dovrebbe fare!

Sullo stesso argomento:

- Anidride carbonica e effetto serra

- Da dove viene l'anidride carbonica?

- Non c'è più l'anidride carbonica di una volta

- Anidride carbonica e civiltà del passato 

- Il Decreto "Sblocca Italia" è un attacco al clima, ma Renzi non lo sa

martedì 29 dicembre 2015

Tutto quello che avreste voluto sapere sui cambiamenti climatici 4


Anidride carbonica e effetto serra.

Fig 1. Flussi globali di calore sulla superfice terrestre.

Nell'aria che stiamo respirando in questo momento l'anidride carbonica rappresenta solo lo 0,04 per cento, a fronte del 78% dell'azoto e il 21% di ossigeno.

Nonostante la sua piccola quantità, la presenza di anidride carbonica è di vitale importanza per noi e per tutti gli esseri viventi con i quali condividiamo il pianeta Terra.

L'anidride carbonica ha la caratteristica di essere trasparente alle radiazioni solari, mentre assorbe le radiazioni infrarosse emesse dai corpi caldi, in questo caso terre emerse e mari riscaldati dal Sole.

A seguito dell'assorbimento di radiazioni infrarosse, l'atmosfera che contiene anidride carbonica si riscalda e, a sua volta, emette radiazioni infrarosse che in parte sono disperse nello spazio, in parte riflesse verso la Terra.

E' il cosidetto "effetto serra", dal nome delle strutture in vetro utilizzate per coltivazioni calde, in ambienti protetti.

Un fenomeno che è facile sperimentare quando si entra in un'automobile che d'inverno è stata parcheggiata per qualche tempo sotto il Sole.
In questa situazione, anche con rigide temperature esterne, l'abitacolo è sempre più caldo, grazie ai raggi solari che sono penetrati nell'abitacolo attraverso parabrezza e finestrini, trasparenti alla luce, ma opachi nei confronti delle radiazioni infrarosse emesse dagli oggetti riscaldati  all'interno dell'abitacolo.
In questo caso è la lastra di vetro che provoca l'effetto serra.

Pertanto un'atmosfera che contiene anidride carbonica, a parità di esposizione a radiazioni solari, risulta essere più calda di una atmosfera senza questo gas.

La proprietà di assorbire radiazioni infrarosse è posseduta anche dall'acqua, sotto forma di vapore e da altri gas presenti in atmosfera a concentrazione minore quali il metano e l'ozono tutti  classificati come gas clima alteranti.

Tra i gas clima alteranti, l'anidride carbonica è quella che ci preoccupa di più in quanto, una volta entrata nell'atmosfera, ci resta molto a lungo, in quanto chimicamente è molto stabile.

Questo significa che le attuali alterazioni nella composizione chimica dell'atmosfera sono destinate a rimanere a lungo anche dopo che avremo smesso di emettere anidride carbonica fossile in atmosfera.

Questa caratteristica dei gas clima alteranti, denominato effetto serra, riduce la dispersione del calore nello spazio e fa si che la temperatura della Terra sia mediamente intorno a 15 gradi centigradi.

Senza i gas con effetto serra la temperatura media della Terra scenderebbe sotto zero e con l'acqua in forma di ghiaccio la vita sulla Terra non sarebbe più possibile.

Per chi vuole approfondire l'argomento rinviamo la lettura (in inglese) di questo sito da cui è tratta la Figura 1 che schematizza i flussi di energia che la superfice e l'atmosfera  terrestre scambiano  tra il Sole e lo spazio.

A sinistra, in giallo, sono rappresentati i flussi dell'energia solare: dei 342 watt di potenza che mediamente piovono su un metro quadrato di superfice, la Terra ne assorbe 165 watt/m2.

Questo flusso di energia riscalda la terra, l'aria e i mari ed è alla base dei fenomeni climatici (vento,  correnti marine, evaporazione acqua, nuvole, pioggia...)   

Sul lato destro della Figura 1, in rosa i flussi di energia sotto forma di radiazioni infrarosse: un metro quadrato di superfice calda emette 390 watt che, assorbiti dai gas con effetto serra, sono in gran parte ( 334 watt/m2)  riflessi verso la Terra e riassorbiti.

L'effetto medio di questi scambi energetici, grazie ai gas serra è il fatto che la Terra sia, come abbiamo già detto, sostanzialmente un pianeta caldo, ma non troppo.

Il problema è che, come abbiamo visto, da 150 anni a questa parte, la  concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera è in continuo e costante aumento e questo significa che è aumentata, in proporzione la quantità di radiazioni infrarosse che l'anidride carbonica riflette verso la Terra.

Questo fenomeno è stato ampiamente documentato .

In sintesi: test di laboratorio hanno mostrato che la CO2 assorbe le radiazioni infrarosse, misure satellitari confermano che con il passare del tempo meno radiazioni infrarosse si disperdono dalla Terra verso lo spazio, misure effettuate a terra evidenziano un aumento delle radiazioni infrarosse riflesse verso la Terra in corrispondenza delle lunghezze d'onda delle radiazioni infrarosse emesse dalla CO2.

E ovviamente tutto questo ha provocato l'accumulo di calore degli ultimi 40 anni negli oceani, nell'atmosfera e del suolo, come mostrato dalla Figura 2.

Fig 2. Quantità di calore accumulato, a partire dal 1950, negli oceani, nel suolo, nell'atmosfera.

Inevitabile conseguenza di tutto questo l'aumento della temperatura media del nostro Pianeta.


Sullo stesso argomento:

- Da dove viene l'anidride carbonica?

- Non c'è più l'anidride carbonica di una volta

- Anidride carbonica e civiltà del passato 

- Anidride carbonica e effetto serra

- Il Decreto "Sblocca Italia" è un attacco al clima, ma Renzi non lo sa

 





martedì 22 dicembre 2015

Tutto quello che avreste voluto sapere sui cambiamenti climatici 3


Da dove viene l'anidride carbonica?

Carbon Tracker

La prima parte di questo post ci ha mostrato, in base a misure sperimentali, come è cambiata la concentrazione di anidride carbonica negli ultimi 10.000 anni e come, negli ultimi decenni, si sia registrato un suo rapido aumento.

Quali sono le cause di questo fenomeno, in particolari quali sono le fonti che immettono CO2 in atmosfera?

Sappiamo che l'anidride carbonica è presente nelle emissioni vulcaniche, è un metabolita di tutti gli organismi viventi che respirano ossigeno (batteri compresi) e che si libera in atmosfera a seguito della biodegradazione di biomasse vegetali ed animali.

Infine, l'anidride carbonica si forma in ogni tipo di combustione,

Infatti tutti i combustibili (legno, vegetali, oli, carbon fossile, petrolio, gas naturale, benzina, gasolio, biogas...) sono caratterizzati da molecole che contengono carbonio che, ad alte temperature, reagisce con l'ossigeno e si trasforma in anidride carbonica (CO2), con la produzione di elevate quantita di calore.

La Figura 1, che riporta l'andamento dei consumi energetici dell'umanitaà e della popolazione mondiale da metà del 1500 dc al 2000 dc,  mostra come, a partire dalla metà del 1800, i consumi energetici mondiali si siano impennati, insieme al numero di abitanti del Pianeta.

Da notare come la crescita dei consumi di energia sia stata più rapida della popolazione mondiale indice del fatto che una parte della popolazione mondiale ha consumi individuali nettamente maggiore della restante parte. 
A tal riguardo la Figura 1 mostra che anche l'andamento dei consumi energetici procapite evidenzia un  aumento nel corso dell'ultimo secolo, ma da alcuni decenni questo valore è stabile, con una tendenza alla diminuzione negli ultimi anni.

A titolo di esempio, questi sono i consumi pro-capite di petrolio, nel 2012, di alcuni paesi, espressi come barili di petrolio consumati giornalmente  da 1.000 abitanti:
 Arabia 100,  USA 61, Italia  25, Cina 7, Bangladesh  1.



Fig. 1. Andamento della popolazione mondiale (blu), dei consumi totali di energia (rosso) e dell'energia procapite (verde)

L'aumento vertiginoso dei consumi energetici (Figura 2), iniziato nell'immediato dopoguerra, si è basato prevalentemente su combustibili fossili: carbone, petrolio, gas naturale.

Seguono le biomasse, fonte prevalente dei paesi sottosviluppati, utilizzata globalmente, in quantità maggiore dell'energia idroelettrica e di quella nucleare

Fig 2.  Andamento dei consumi energetici mondiali e corrispondenti fonti (1820-2010)

Il rapporto causa effetto, tra crescita di consumi energetici dei combustibili fossili e delle biomasse e crescita della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è evidente, logico e non dovrebbe essere necessario aprire dibattiti sull'argomento ( Fig 3).


Fig.3. Andamento nel tempo (1000 dc-2000 dc) della quantità di CO2 nell' atmosfera ed emessa da attività umane

Per concludere, la Figura 4, sintetizza i flussi annuali di anidride carbonica ( in Giga tonnellate) da fonti naturali e da attività umane nella attuale era industriale.

La Figura 4 evidenzia come i flussi naturali  (in verde) siano molto più grandi di quelli prodotti dall'attività umana, ma esiste una importante differenza: i flussi naturali sono in sostanziale equilibrio tra loro, grazie all'assorbimento delle piante e degli oceani,  mentre i flussi antropogenici, in particolare la combustione di combustibili fossili, sono prevalentemente unidirezionali , con un continuo accumulo in atmosfera, circa 15 giga tonnellate all'anno.

E questo è il problema e la causa dell'aumento della temperatura media globale del nostro Pianeta.

Fig. 4. Flussi di anidride carbonica (Giga tonnellate) nell'era pre industriale (verde) e ai giorni nostri (rosso) .




Sullo stesso argomento:

- Non c'è più l'anidride carbonica di una volta

- Anidride carbonica e civiltà del passato 

- Il Decreto "Sblocca Italia" è un attacco al clima, ma Renzi non lo sa


mercoledì 16 dicembre 2015

Tutto quello che avreste voluto sapere sui cambiamenti climatici. 2

 Civiltà del passato e concentrazione di anidride carbonica

A Parigi, le scelte sull'accordo per il clima sono il frutto del compromesso della politica, ma alla loro  base esiste una robusta evidenza scientifica, frutto di un vivace dibattito tra esperti in diverse discipline.

A chi desidera approfondire questo argomento e conosce bene l'inglese,  consiglio questo sito che mette a confronto i miti di chi nega il riscaldamento globale e i dati forniti da studi scientifici che  confermano come queste fenomeno sia reale e diretta conseguenza delle nostre recenti scelte di crescita esponenziale dei consumi mondiali.

Una domanda che mi sono posto riguarda le condizioni ambientali, in particolare la concentrazione di CO2, che hanno accompagnato, fin dai suoi albori, lo sviluppo delle grandi civiltà alla base della nostra storia, a cominciare da quella egizia, quella più antica.

Fig 1. Il trasporto della statua in alabastro del dignitario Djehutihotep, XII dinastia (1932-1842 AC)
La figura 1 mostra come circa 4.000 anni fa i nostri ingegnosi antenati trasportavano una grande statua di alabastro, alta sette metri e pesante 70 tonnellate.

Bastavano centosettantadue operai, distribuiti in gruppi di quarantatre,  distribuiti in coppia lungo quattro funi, e una slitta. Poi un operaio, addetto a versare acqua davanti alla slitta, riduceva l'attrito sulla sabbia di oltre il 50% e la movimentazione era assicurata.

Un buon risultato, ottenuto solo grazie a fonti di energia rinnovabile, quella dei 172 operai (stipendiati dal Faraone) e a tanta ingegnosità.

Un esempio di ingegnosità da tenere presente per affrontare la prossima fine dei combustibili fossili e che, è il caso di ricordare, senza carbone, petrolio e gas, ha permesso la realizzazione di tutti i grandi e meravigliosi monumenti che ancora oggi vediamo ed usiamo, dal David di Michelangelo al duomo di Milano e alla basilica di San Pietro in Vaticano.

La storia dell'antico Egitto e del suo impero risale al 3.500 avanti Cristo, circa 5.500 anni or sono e si conclude con Cleopatra, 2.045 anni fa.

Durante questo lunghissimo periodo, sull'intero pianeta si sono succedute le grandi civiltà che hanno plasmato l'ambiente secondo le loro esigenze: egiziani, assiro babilonesi, micenei, greci, romani, cinesi, maja...

La mia curiosità è di sapere quanta CO2 hanno respirato il primo faraone d' Egitto (3.500 AC) e la bella Cleopatra con il suo Antonio, nel corso dei 3.470 anni di questa lunga storia.

La Figura 2, che riporta le misure  della concentrazione di CO2 negli ultimi 10.000 anni, i piu recenti misurati sulla cima del Mauna Loa e quelli più antichi misurati nei ghiacci antartici, mi permette di soddisfare questa curiosità

Fig 2. La concentrazione di C02 negli ultimi 10.000 anni (8.000 AC -2.000 DC)
Nel 3.500 AC il primo faraone respirava circa 272 ppm di CO2.
Tremilaquattrocento anni dopo, Cleopatra, con il suo ultimo respiro inalava,  più o meno, 278 ppm di CO2.
Pertanto si può affermare che nei primi 5.000 anni della propria storia, l'umanità ha vissuto con una composizione chimica della atmosfera sostanzialmente stabile.

Dal 6.000 AC al 1.000 DC si nota un leggero progressivo aumento della concentrazione di CO2, da 260 ppm a 285 ppm.

E' possibile che questo aumento (25 ppm) possa essere attribuito al disboscamento che tutte le civiltà, tranne quella egizia, hanno esercitato sui propri territori per far spazio alle città, ma ancor più a pascoli e coltivazioni.

Niente a che fare con quello che stiamo vivendo che, a partire dalla  fine del 1.700, con circa 280 ppm di CO2,  ci vede sfondare, in questi giorni, quota 400 ppm.

Un aumento di 120 ppm, in soli 265 anni, e non è ancora finita.

E la causa di questo aumento è sicura: la scoperta e l'uso del carbone e poi del petrolio e del gas naturale.

Il tutto accompagnato dalla crescita esponenziale della popolazione e, per una piccola parte di essa, dei suoi consumi.

Nel prossimo post, vedremo le conseguenze di tutto ciò.

Fig 3. Carota di ghiaccio antartico che contiene bolle d'aria  vecchie di 800.000 anni



lunedì 14 dicembre 2015

Tutto quello che avreste voluto sapere sui cambiamenti climatici 1



 Non c'è piu l'anidride carbonica di una volta

Occorre leggere con calma e meditare le 32 pagine del documento conclusivo di COP21  per valutarne la portata e l'importanza.

Nel frattempo può essere utile ricapitolare i fatti alla base di questo accordo, in quanto chi ha interesse a negare il riscaldamento globale ha già avviato la sua pericolosa contro-offensiva mediatica.

Il pericolo, in questo caso, è che mettendo in discussione il fenomeno stesso e le sue cause si continui a perdere tempo.

E continuare tutti a consumare e sperperare risorse finite è proprio quello che vuole chi, a suo uso e consumo, predica il mantra della crescita infinita dei nostri bisogni e dei nostri desideri.

Cominciamo a chiarire che, con i cambiamenti climatici,  in pericolo non è, come crede il nostro primo ministro, il Pianeta e la Madre Terra.

In pericolo è l'Umanità intera, in particolare i popoli dei paesi più ricchi, intrinsecamente inadatti ad affrontare gli effetti diretti ed indiretti dei cambiamenti climatici: nubifragi, dissesti geologici, desertificazione, guerre, migrazioni di massa...

E, come vedremo, non è un problema di cui si dovranno occupare generazioni di un vago lontano futuro.

Purtroppo è un problema tutto nostro, delle generazioni già presenti: mio, vostro, dei nostri figli e nipoti.

Di tutto questo, la Terra, il Pianeta Vivente, se ne fa un baffo.

Da quando la vita è comparsa, qualche miliardo di anni fa, il Pianeta Vivente ne ha visto di tutti i colori ma la Vita, grazie alla meravigliosa capacità di adattamento della biodiversità, è sempre sopravvisuta.

Chi oggi ha qualche problema, da lui stesso provocato, è proprio l'Homo Sapiens: la nostra specie.

E l'abbiamo fatta veramente grossa.
Da due secoli a questa parte, a nostra insaputa, abbiamo drasticamente modificato la composizione chimica dell'atmosfera del Pianeta, un risultato che i vegetali, una volta comparsi sulla faccia della Terra, assorbendo anidride carbonica ed emettendo ossigeno, hanno realizzato in qualche milione di anni.

E questa non è un'opinione, ma un fatto reale, ben documentato, a partire dalla fine degli anni '60, con l'unica incertezza della precisione (molto elevata) delle misure.

             Fig 1. Andamento della concentrazione di anidride carbonica (1958 - 2011) a Mauna Loa

La Figura 1 mostra l'andamento delle concentrazioni di anidride carbonica misurata, a partire dal 1960, presso l'osservatorio di Mauna Loa, a 4.000 metri di altezza, sulla cima di un vulcano spento nell'arcipelago delle Haway, nel bel mezzo dell'oceano Pacifico.

La linea ondulata in rosso rappresenta l'andamento mensile della concentrazione di anidride carbonica, la linea nera rappresenta l'andamento delle medie annuali.

L'unità di misura della concentrazione di anidride carbonica è riportata come parti per milione, in altre parole quanti centimetri cubi di anidride carbonica si trovano in un volume di un metro cubo di aria.

La figura 1 mostra che alla fine degli anni anni 50 nell'aria si trovavano circa 310 parti per milione di anidride carbonica e che questa concentrazione, anno dopo anno è aumentata.

La figura 2 che ci mostra le misure più recenti ( dal 2011 al dicembre 2015), registrate sempre sulla vetta del Mauna Loa ci permette di chiarire meglio il fenomeno.
Fig. 2 Medie mensili e annuali di CO2 a Mauna Loa(2011-2015)
La figura 2 mostra in maggiore dettaglio l'andamento mensile delle concentrazioni (in rosso).
Con regolarità, nel corso di ogni anno, si registra, ogni 6 mesi circa, l'alternanza di valori alti e valori bassi, con una differenza di circa 6 parti per milione (ppm).

La spiegazione di questo andamento è l'effetto delle stagioni sulla vegetazione dell'emisfero nord: l'aumento di anidride carbonica si registra tra l'autunno e l'inverno e corrisponde alla caduta delle foglie e alla morte delle piante erbacee con conseguente emissione di anidride carbonica prodotta dalla biodegradazione batterica.

A partire da maggio, fino a settembre la concentrazione di anidride carbonica diminuisce in quanto assorbita dalle piante con il loro risveglio primaverile.

Pertanto il ciclo vitale di tutti i boschi dell' America del nord, dell'Europa e della Russia è responsabile a livello planetario di una variazione annuale di circa 6 ppm.

Ma le figure 1 e 2 ci mostrano anche che, a fronte di questa variazione stagionale, anno dopo anno, la concentrazione media annuale aumenta e dai 310 ppm della fine degli anni 50', siamo arrivati agli attuali 400 ppm.

La figura 3 ci fa fare un salto a ritroso nel tempo e ci mostra l'andamento della concentrazione di CO2 dai giorni nostri ( 2000 dc) fino all' anno 1000 dopo Cristo, in pieno alto medioevo.
Fig. 3 Concentrazione di anidride carbonica nell' aria intrappolata nei carotaggi dei ghiacci antartici
Queste misure sono state possibili grazie a carotaggi in profondità effettuati in tre siti diversi dell' Antartide 
.Nell' inverno antartico nella neve che si deposita sui ghiacci restano intrappolate bolle d'aria che,
l'anno successivo saranno ricoperte da nuova neve.

Poichè, fino ad ora, l'Antartide è ricoperta da ghiacci perenni, i carotaggi fino ad ora effettuati hanno permesso di riportare in superficie la neve ghiacciata depositata negli ultimi 800.000 anni e, con il ghiaccio, l'aria in esso intrappalata fin da epoche cosi remote e rimasta intatta nella sua composizione originale.

La Figura 3 fornisce importanti informazioni sul clima e sulla composizione chimica dell'atmosfera del passato.  Dall'anno 1.000 fino al 1.500 la concentrazione di anidride carbonica si mantiene costante intorno a 280 ppm.
Intorno ai primi decenni del 1.600  la CO2 fa registrare una netta e rapida diminuzione di una decina di ppm.
Questo evento coincide con la cosidetta "piccola glaciazione" con un netto calo delle temperature del nord Europa, che provocarono anche la frequente formazione di ghiaccio nella laguna veneta.

Ma a partire dal 1750 la concentrazione di CO2 nei ghiacci, pari a circa 280 ppm aumenta progressivamente fino ad 340 ppm nella neve caduta in Antartite alla fine degli anni ' 90, un valore molto simile ( Fig 1) a quello trovato nell'aria di Mauna Loa negli stessi anni.

Ed è nel 1764 che James Watt brevetta la sua macchina a vapore alimentata a carbone, icona della rivoluzione industriale che prende l'avvio in quegli anni

E la concomitanza tra rivoluzione industriale, abbandono della legna a favore di combustibili fossili, crescita dei consumi e della popolazione mondiale e la crescita della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera del Pianeta non è un evento accidentale, ma un ben preciso rapporto tra causa ed effetto.

E' l'inizio dei problemi che dopo soli 250 anni di continua crescita ci tocca riconoscere, affrontare e speriamo, risolvere in tempo utile. 









sabato 5 dicembre 2015

Boschi in cenere o usi più intelligenti di questa risorsa?


La superfice della Liguria è stimata pari a 542.024 ettari e nel 1880 i boschi liguri coprivano 230.000 ettari della regione.

Dopo il pesante disboscamento avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale, per produrre carbone di legna a scopo industriale e legna da ardere per uso domestico, il bosco ha cominciato a rioccupare il territorio.

Nel 2015, in base all'inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (INFC),  la superfice boscata ligure è passata a 397.170 ettari, un aumento del 41% nel corso degli ultimi 70 anni e superiore al valore di 135 anni or sono.

Nell'ultimo decennio, nonostante i frequenti incendi, il bosco ligure è avanzato: 2.270 ettari all'anno, corrispondenti a circa un milione e mezzo di metri cubi di biomassa legnosa, il cui peso (umido) può essere stimato pari ad 1,6 milioni di tonnellate.

Pertanto oggi, con oltre il 71% di territorio coperto da boschi, la Liguria è la regione più verde d'Italia, rispetto alla propria superfice.

Ma questa non è una buona notizia.

L'espansione del bosco ligure è avvenuta spontaneamente e a scapito di aree agricole e di pascolo, abbandonate a causa dell'esodo delle popolazioni verso la costa.

E l'abbandono ha riguardato anche la fitta rete di "bei" per la regimentazione delle acque e le migliaia di chilometri di terrazzamenti, la cui costante manutenzione, nel corso di diversi secoli,  ha garantito la stabilità geologica di questi territori.

Il rinato interesse al paesaggio ligure, compreso quello dell'entroterra, la creazione di parchi regionali e la necessità di contrastare i danni del dissesto idrogeologico, sta riportanto l'attenzione sulla risorsa boschi e sempre più frequentemente si sente parlare di una sua "valorizzazione".

Oggi i boscaioli liguri (387 imprese forestali nel 2012) tagliano annualmente circa 100.000 tonnellate di alberi, con tagliate che interessano mediamente un migliaio di ettari (max: 1.317 ettari nel 2010).

Pertanto questi interventi utilizzano circa il 6% della nuova biomassa e non incidono significamente sull'aumento annuale del carbonio organico stoccato nella vegetazione ligure.

La biomassa legnosa derivante dal disboscamento, nel 70% è utilizzato come legna da ardere, in gran parte per il riscaldamento invernale delle abitazioni dell'entroterra ligure. Segue il legname da triturazione per pannelli in legno (18%) e la produzione di travi e pali (7%).

Ma lo scenario potrebbe presto cambiare.

Il crescente interesse per le fonti di energia rinnovabile, ma ancor di più i generosi incentivi pubblici (Certificati Verdi) regalati all'elettricità prodotta con fonti rinnovabili, sono alla base di un numero crescente di impianti termici (calore e elettricità) alimentati con biomasse legnose.

Ad esempio caldaie a cippato di legno utilizzate per il tele riscaldamento sono già operative a Campoligure (700 kWtermici), Rossiglione (1.100 kWt), Rezzoaglio (150 kWt).

Altri undici impianti alimentati a biomasse legnose risultano operative in Liguria (Rovegno, Arenzano, Saremo, Rocchetta di Vara, Mallare, Calcare, Quigliano, Celle Ligure, Dego, Albenga).

Più problematiche, come abbiamo illustrato in questo blog, sono le centrali termoelettriche alimentate a legna.

A riguardo, in Liguria esiste un progetto che vorrebbe realizzare a Ferrania (SV) una centrale termoelettrica da 11,5  megaWatt elettrici che dovrebbe essere alimentata con 110.000 tonnellate all'anno di cippato di legno ricavato dai boschi intorno all'impianto, ovvero l'attuale, intera produzione di legname realizzata in Liguria.

Dovrebbe bastare questo dato per far nascere sospetti sulla reale sostenibilità ambientale di scelte di questo tipo, anche in considerazione delle oggettive difficoltà di accesso ai boschi liguri.

E la difficoltà di approvviggionamento di legname per coprire il fabbisogno annuale di 35.200 tonnellate di cippato di legno deve essere la causa della chiusura della centrale di Bevera (2,9 megaWatt elettrici), nei pressi di Ventimiglia, motivata da traffico illecito di rifiuti.

Visto quello che sta succedendo in Toscana, in Umbria, nel Trentino Alto Adige, possiamo con facilità prevedere che, in nome della manutenzione dei boschi e delle procedure autorizzative semplificate, anche in Liguria arriveranno decine di richieste di attivare impianti termoelettrici alimentati a legna, di potenza elettrica inferiore ad un megawatt elettrico.

Un impianto da un megawatt (1.000 chilowatt) richiede 10.000 tonnellate/anno di cippato di legno.

La stessa quantità di cippato (10.000 tonnellate) è richiesta, come strutturante, da un impianto di compostaggio per il trattamento di 30.000 tonnellate di scarti organici di origine urbana (scarti da cucina) oppure da un impianto per la digestione anaerobica  di 60.000 tonnellate di frazione organica, con  produzione di biometano e compost.

Una eventuale scelta tra produzione di elettricità oppure di  compost e biometano deve considerare il fatto che, a norma di legge, ognuno di questi tre impianti, annualmente  immette in atmosfera le seguenti quantità di polveri sottili (PM10)
  • 11    tonnellate  PM10  da centrale a biomasse 1 megawatt
  • 0,12 tonnellate  PM10  da combustione 3,6 milioni m3 biometano  
  • nessuna emissione di PM10 da compostaggio 
E' evidente come sia meglio usare la pulizia dei boschi per produrre compost e biometano, tendendo presente che l'inquinamento di quest'ultimo, in ogni caso molto basso, è simile a quello di un pari volume di metano fossile il cui consumo si potrebbe evitare grazie alla digestione anaerobica dei nostri scarti di cucina e all'immissione del biometano nella rete del gas.

Nel 2010 i Liguri e i loro ospiti hanno prodotto 280.000 tonnellate di scarti organici.

Per un loro corretto compostaggio, da effettuare in una decina di impianti di compostaggio distribuiti sul territorio, avremmo bisogno ogni anno di 84.000 tonnellate di cippato.

La regolare pulizia degli alvei dei torrenti e dei versanti dei principali bacini imbriferi liguri potrebbe fornirci queste quantità di legname senza intaccare il patrimonio boschivo che è opportuno che cresca sano anche per aiutarci a contenere le emissioni di gas serra.

Di questo importante ruolo dei nostri boschi parleremo nei prossimi post.





domenica 16 agosto 2015

Il decreto "Sblocca Italia " è un attacco al clima, ma Renzi non lo sa.





Il 12 agosto, una ennesima alluvione lampo ha coperto di fango Corignano Calabro.

Pochi dubbi sulle cause dell'intensità del fenomeno: da 200 a 300 millimetri di pioggia caduti in poche ore.

Il papa Francesco, il presidente Obama, il governo cinese, l'Unione Europea sono ormai sicuri che eventi calamitosi come questo siano dovuti ai  cambiamenti climatici e che questi cambiamenti siano, a loro volta, indotti dall'effetto serra dell'anidride carbonica che si libera in atmosfera con la combustione di rifiuti, carbone, petrolio, gas naturale e loro derivati (plastiche, tessuti sintetici), con la deforestazione, come pure dall'attività di ricerca, estrazione e raffinazione di petrolio e gas.

A riguardo, il presidente Obama  si è spinto ad affermare che, per evitare danni maggiori al suo paese e al mondo intero è opportuno cominciare a pensare che sia molto meglio che i combustibili fossili non ancora sfruttati, in particolare il carbone, continuino a starsene nelle viscere della Terra.

A quanto pare, queste informazioni non fanno parte del bagaglio culturale del nostro primo ministro Renzi e dei membri del suo governo che, approvando il Decreto denominato "Sblocca Italia", di fatto hanno sbloccato contemporaneamente due importanti fonti di emissione di gas serra, quelli prodotti annualmente dalla combustione di 2,5 milioni di tonnellate di  rifiuti in 12 nuovi inceneritori e quelli prodotti dalla messa in funzione di diverse decine di pozzi petroliferi nell'entroterra e lungo i nostri litorali e dal petrolio e gas che questi pozzi estrarranno per una decina di anni.





Il decreto prevede che, a regime, dai nuovi pozzi italiani si possano estrarre 3,3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (petrolio + gas) all'anno.

A parte che, a conti fatti, è ben poca cosa, il 2%,  rispetto ai nostri attuali consumi energetici (172 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio consumati in Italia nel 2010), questa scelta, oltre ad aumentare il rischio di diversi impatti ambientali (subsidenza delle coste, inquinamento da normale attività e da eventi accidentali) aumenterà il rischio di eventi meteorici estremi.

Infatti, durante l'estrazione si liberano in atmosfera gas clima-alteranti.

In base a stime fatte su pozzi europei, ogni tonnellata equivalente di petrolio e gas estratti si immettono in atmosfera, sotto forma di gas serra, l'equivalente di 130 kg di anidride carbonica.

Pertanto l'estrazione, ogni anno,  immetterà in atmosfera  0,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Ovviamente, i combustibili estratti saranno utilizzati a fini energetici e, in questo modo, ogni anno produrranno 8,8 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica.

Complessivamente 9,2 milioni di tonnellate di gas clima-alteranti all'anno, per la decina di anni che si stima come tempo di coltivazione dei nuovi pozzi.

Quindi, dopo solo dieci anni avremo raschiato tutto il fondo del notro "barile" e immesso in atmosfera 9,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica che, per decine di anni a venire (il tempo necessario per la loro progressiva riduzione) contribuiranno ad aumentare la quantità di energia solare trattenuta da aria, acqua, rocce del nostro Pianeta.

Ci sono poi i 12 nuovi inceneritori, una scelta molto più impattante sull'ambiente, rispetto alle scelte veramente strategiche per una innovativa gestione dei rifiuti, rappresentate dal riciclo e il compostaggio.

In base ai fattori di emissione degli inceneritori tedeschi, "termovalorizzando" una tonnellata di scarti urbani si  immettono in atmosfera  circa 1,2  tonnellate di anidride carbonica.

Se i nuovi 12 inceneritori avessero le stesse prestazioni di quelli tedeschi, con la loro entrata in funzione e la combustione di 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti, il nostro Paese aumenterà le sue emissioni di gas clima-alteranti di 3 milioni di tonnellate all'anno di cui, fino al  70% potrebbe essere di origine fossile (plastiche, tessuti sintetici, gomme...).

Con le nuove trivelle e i nuovi inceneritori, complessivamente, il decreto " Sblocca Italia" produrrà un aumento delle nostre emissioni clima-alteranti stimabile intorno a 12 milioni di tonnellate all'anno.

Nel 2012 il nostro Paese ha immesso in atmosfera 460 milioni di tonnellate di gas clima-alteranti.

Quindi il Decreto " Salva Italia" comporterà un aumento del 2% di queste emissioni, in pieno contrasto con il nostro impegno con l' UE  e l'accordo di Kioto di ridurre del 6,5 % le nostre emissioni di CO2, rispetto ai valori del 2008.

Vedremo se e come Renzi si giustificherà con l' Europa, quando ci verranno a chiedere il conto.

Alla UE e agli Italiani piacerebbe sapere per quale motivo questo governo del "fare" non ha considerato strategico per lo sviluppo durevole del Paese l'efficenza energetica di tutti gli edifici pubblici e privati, la diffusione di pannelli solari e fotovoltaici sui tetti, la mobilità collettiva su ferro, la trasformazione degli scarti organici in biometano da immettere nella rete, la riduzione della produzione di rifiuti con l'obbligo del "vuoto a rendere",  la raccolta Porta a Porta dei nostri materiali post consumo e la tariffazione puntuale, il riciclo dei materiali raccolti.

Sullo stesso argomento:

- Trivelle per tutti: il raschia barile dello "sblocca Italia"
- La Svezia costretta ad importare rifiuti per non stare al freddo







martedì 11 agosto 2015

Nel Paese del Sole meglio i pannolini lavabili (II^ parte)

Nella prima parte di questo post abbiamo appurato che i pannolini lavabili permettono un'interessante risparmio di denaro, rispetto a quelli "usa e getta".

Ora andremo a vedere quali sono gli impatti ambientali di questi due diversi sistemi che, per i loro primi 30 mesi di vita, devono aiutarci a tener puliti i nostri neonati.

Grazie agli studi condotti da DEFRA, il ministero dell' ambiente della Gran Bretagna, siano in grado di fornire dati su quanto pesa sull'ambiente  la produzione, l'uso e l' eventuale smaltimento  smaltimento dei pannolini lavabili e di quelli "usa e getta".

Anche se le mamme ( e i papà) sono più interessati a tenere puliti e senza arrossamenti i loro pargoletti, il tema della salvaguardia delle risorse del Pianeta non è secondario nel determinare le loro scelte.

Di questo si sono resi conto anche le ditte che producono pannolini "usa e getta" che, oltre a mettere sul mercato pannolini  in grado di far fronte a pupù liquida e di tenere asciutto il sederino del bebè, hanno investito in studi e ricerche per ridurre il peso dei loro pannolini.
E' evidente l'obiettivo di dare una risposta alla fondata critica che rimarca come i pannolini "usa e getta" siano una importante causa dell'aumento della produzione di rifiuti e di uso di risorse non rinnovabili.

In sintesi, la fabbricazione e l'utilizzo di un pannolino monouso genera impatti nel corso di estrazione e raffinazione del petrolio, nella sintesi dei polimeri presenti nella confezione, nel trasporto, raccolta e smaltimento finale (discarica, inceneritore). E ovviamente il peso ambientale di un singolo pannolino, così calcolato,  deve essere moltiplicato per tutti i pannolini che servono fino al momento liberatorio in cui i bambini scoprono il vasino ed impararano ad usarlo.

Nel caso dei pannolini lavabili, gli impatti cominciano dalla coltivazione del cotone necessario per confezionare la parte assorbente del pannolino, compresi i relativi consumi di acqua,  proseguono nel stimare quanti inquinanti si immettono nell'ambiente per produrre l'elettricità e i detergenti per lavare ed eventualmente asciugare i pannolini.

Questa complessa valutazione si chiama Analisi del Ciclo di Vita ( in inglese Life Cycle Assesment - LCA).

Vediamo ora i risultati della LCA, con l'avvertenza che questa stima vale per il mondo anglosassone  e si riferisce al tipo di  pannolisi in uso in questo paese nei primi anni del 2000  (lo studio è stato pubblicato nel 2008) come pure al mix di fonti energetiche utilizzate in quel periodo in Inghilterra per produrre elettricità (carbone, gas, nucleare, eolico...).

I dati si riferiscono al periodo che va dalla nascita al trentesimo mese di vita, e comprende  lo smaltimento del pannolino e del suo contenuto (feci ed urine).

 Nel caso dei pannolini lavabili riportiano, per brevità, gli impatti stimati  quando si usa una lavatrice ad alta efficenza energetica, a pieno carico con lavaggio a 60°C, asciugatura con il Sole e riuso dei pannolini per il secondogenito.

Sempre per brevità riportiamo due dei possibili impatti ambientale: l'emissioni di sostanze responsabili dell'acidificazione delle piogge ( anidride solforasa e composti equivalenti e gas responsabili dei cambiamenti climatici ( anidride carbonica e composti equivalenti quali il metano).
                               
                                                                                           Usa e getta                  Lavabili
  • Acidificazione     (kg anidride solforosa eq.)                3,4                            1,3
  • Gas clima alteranti (kg anidride carbonica eq.)            570                           342

Come si può vedere i genitori anglosassoni che hanno optato per i pannolini lavabili e per scelte a favore di risparmi energetici (compreso un secondo figlio) , possono affermare che i loro bimbi hanno cominciato la loro vita con un piede più leggero, rispetto alla loro impronta sulle risorse rinnovabili del Pianeta.

Per i genitori italiani, occorrerebbero stime ad hoc, ma certamente la maggiore facilità nel nostro Paese ad utilizzare l'energia diretta del Sole  per asciugare i pannolini depone a favore di quest'ultimi.




domenica 9 agosto 2015

Nel Paese del Sole meglio i pannolini lavabili (I^ parte)


Per avvicinarci agli obiettivi di raccolta differenziata (65%) e alla riduzione della produzione pro capite di Materiali Post Consumo (dagli attuali 550 chili all'anno ai possibili 100 chili a testa) diversi "comuni virtuosi" hanno attivato lodevoli iniziative quali una sostanziale riduzione sulla Tassa Rifiuti a favore delle famiglie che documentano l'uso di pannolini lavabili a servizio dei loro piccoli.

Sulla rete c'è qualcuno che bolla come demagogici provvedimenti come questi, contestandone il reale valore a favore del risparmio energetico e della qualità ambientale.

Per derimere la questione, con questo post ( e quello successivo)  fornirò alcuni dati provenienti da fonti qualificate e senza conflitti di interesse.

Per cominciare, qualche numero di riferimento è senz'altro necessario.

Nei primi suoi 2,5 anni ( 30 mesi) di vita un bambino ha mediamente bisogno di 4,16 ricambi al  giorno.

Se i genitori scelgono i comodi pannolini "usa e getta", prima che il bambino raggiunga l'autonomia, si dovranno acquistare e smaltire dai 4.500 a 5.000 pannolini che, tutto compreso, avranno il peso di almeno 1.000 chili.

Pannolini a confronto: "usa e getta" versus "lavabili".

Per ridurre significativamente questa enorme quantità di rifiuti, di complessa e non facile gestione, da qualche anno, i neo genitori hanno l'alternativa di scegliere appositi pannolini lavabili.

Ne esistono vari modelli e la figura che segue, spiega il loro funzionamento.

Come si usano i pannolini lavabili
In una mutandina  impermeabile, ma traspirante, si inserisce un pannolino di cotone e una sottile garza fatto di materiale biodegradabile, con il compito di trattenere le feci.

Dopo una cacca o una pipì,  la garza si butta nel water, il  pannolino sporco e , se il caso,  la mutandina, si raccolgono, se si vuole si mettono in ammollo,  e quando il carico per un lavaggio è raggiunto si mette il tutto in lavatrice.

Una volta asciugati, mutandina e pannolini si possono riutilizzare.

Con questo sistema occorre avere a disposizione, e comprare, solo un certo numero (una ventina) di rmutandine e pannolini da usare  tra un lavaggio e l'altro e le garze "usa e getta", con una notevole  riduzione di volume e peso dei rifiuti.

E' evidente che i pannolini lavabili non vanno a pesare sulla raccolta e sullo smaltimento dei rifiuti urbani mentre aumentano il carico di sostanze organiche da trattare nelle acque reflue afferenti ai depuratori.

Per venire incontro alle vostre eventuali curiosità, in base ad alcuni studi, nei suoi primi tre mesi un bambino produce 83 grammi al giorno di cacca che diventano 110 grammi al giorno  nel periodo successivo (da 3 mesi a 2,5 anni ) con una "produzione"  totale, al compimento di 2,5 anni di età di 97,9 chili.

Per quanto riguarda la pipi la produzione complessiva nei primi sei mesi di vita ammonta a 81,8 litri, che diventano complessivamente 633,4 litri, una volta raggiunti i 30 mesi di vita.

A sfavore dei pannolini lavabili c'è  il consumo e i costi di acqua, detersivo ed elettricità per il lavaggio e l'eventuale asciugatura effettuata con aria calda.

E ovviamente c'è da mettere in conto il tempo necessario per caricare la lavatrice e mettere ad asciugare i pannolini.

Cominciamo a mettere a confronto i costi che una famiglia deve sostenere per tenere pulito il proprio  cucciolo, fino a quando sarà in grado di avvisare che pipi e  cacca gli stanno scappando.

Una accurata stima di una istituzione indipendente conclude che per far fronte ai bisogni fisiologici dei primi 30 mesi di un bimbo, la spesa in pannolini usa e getta va da un minimo di 996 € ad un massimo di 1693 € per i pannolini più cari.

Nel caso dei pannolini lavabili si deve mettere in conto l'acquisto iniziale di 25 pannolini e 3 mutandine ( il quantitativo necessario tra una lavaggio e l'altro) per un ammontare, una tantum, di 452 €.
A  questa cifra  occorre aggiungere le spese complessive per il lavaggio, tenendo in conto l'energia elettrica per la lavatrice (50 €), l'acqua  (13 €) e il detersivo (76 €) utilizzati nei 30 mesi di lavaggio dei pannolini.
La spesa complessiva in questo caso va da un minimo di 591 € ad un massimo di 724 €.

In conclusione l'uso di pannolini lavabili comporta un buon risparmio, che aumenta nel caso che dopo qualche tempo arrivi un fratellino o una sorellina per i quali potranno essere riutilizzati pannolini e mutandine acquistati per il primogenito.

Occorre anche osservare che con i pannolini usa e getta esiste un extracosto a carico della comunità, rappresentato dai costi di raccolta e smaltimento che, ai prezzi attuali, può essere stimato pari a 156 €/anno per un totale di 390 € per tutti i 2,5 anni di uso, un costo  che sarà inevitabilmente spalmato sulla tassa rifiuti pagata da tutti gli utenti.



venerdì 31 luglio 2015

E se Genova fosse la prima città a Rifiuti Zero, senza inceneritori?

Con la chiusura della discarica di Scarpino, per il divieto di conferire frazioni organiche e indifferenziato tal quale, Genova, da quasi un anno, non ha impianti dove smaltire sia i suoi scarti indifferenziati che la frazione umida che si comincia a differenziare presso i centri commerciali ed in alcuni quartieri cittadini. 

Pertanto è stato giocoforza portare fuori regione queste due frazioni, affinché siano compostati o inceneriti.

Questa scelta ha aggravato i costi del servizio, ma ha permesso di tenere la città sufficientemente pulita, senza reali emergenze rifiuti che qualcuno, nei propri interessi, certamente auspica.

Tuttavia, come a volte succede, questa grave crisi potrebbe diventare un'opportunità. in quanto costringerebbe AMIU a trasformarsi: da azienda capace solo di raccogliere i rifiuti da smaltire  in discarica, diventare una nuova azienda che deve imparare come raccogliere in modo innovativo (Porta a Porta) i Materiali post consumo selezionati dai genovesi, migliorarne la qualità e immetterli in nuovi cicli produttivi.

Dalla Economia Lineare (produci, consuma, smaltisci), AMIU potrebbe diventare la prima azienda italiana della nuova Economia Circolare (produci, usa e ricicli).

Ma i vecchi interessi, compresi quelli malavitosi, che hanno fatto grandi e facili affari con lo smaltimento dei rifiuti tal quale in discarica o negli inceneritori, non hanno alcuna voglia di mollare l'osso.

Nel corso della Tavola rotonda del 29 luglio, organizzata a Genova dalla associazione Gestione Corretta dei Rifiuti, con la partecipazione, tra gli altri,  del presidente AMIU Castagna, dell'assessore Ambiente Porcile e del consigliere Pignone, con delega alla gestione dei materiali post consumo, si è appreso che nel territorio provinciale non si trovano i 40.000 metri quadrati  necessari per l'impianto per il trattamento a freddo delle frazioni indifferenziate (con recupero di materia) e per l'impianto di digestione anaerobica per il trattamento della frazione organica, predisposto per la produzione di
compost e di biometano da utilizzare come combustibile per l'autotrazione.

Questa carenza di spazi, oltre alla orografia ligure, deriva anche dal fatto che, a quanto affermato dal presidente Castagna, la scusa addotta è che le poche aree disponibili a Genova sono già state accaparrate a servizio dei futuri lavori del terzo valico e della "gronda autostradale", grandi opere di dubbia utilità e, a mio avviso, fuori tempo massimo, rispetto ai profondi cambiamenti in atto nelle modalità di trasporto.

Se in questo modo, alcuni "poteri forti" si stanno mettendo  di traverso per impedire, di fatto, il progetto innovativo di realizzare in Liguria una economia circolare, basata sul riutilizzo degli scarti dei genovesi, ci sono anche cinque presidenti dei Municipi genovesi a fare orecchio da mercante rispetto alla pressante richiesta di realizzare nei quartieri di loro competenza le Isole Ecologiche, servizi di estrema utilità per i loro concittadini che, in questo modo, potrebbero conferire i loro scarti ingombranti, quelli pericolosi e le apparecchiature elettriche e elettroniche.




Oggi, su nove Municipi, solo quattro sono dotati di Isole Ecologiche (lungo Bisagno, val Polcevera, Pontedecimo, Pra) e ognuna di loro permette il recupero di 5.000 tonnellate all'anno di scarti, evitandone l'abbandono e lo smaltimento indiffereziato, con pesanti costi a carico della comunità per la bonifica dei siti contaminati e per il pagamento delle ecotasse regionali.

Come ha ricordato Castagna, presidente AMIU, se tutte le isole ecologiche fossero operative, 45.000 tonnellate di rifiuti potrebbero essere riciclati ogni anno, circa il 22% dell'intera produzione genovese di Materiali Post Consumo indifferenziati (205.900 tonnellate nel 2014).


Nella Tavola Rotonda è anche emersa la perplessità della CGIL rispetto al nuovo piano di gestione dei Materiali Post Consumo,  nonostante il fatto documentato che l'introduzione del Porta a Porta aumenti in modo significativo l'occupazione.

Al sindacato, il passaggio al Porta a Porta (unico modo per raggiungere e superare il 65% di raccolta differenziata) non andrebbe bene, in quanto questo servizio potrebbe essere assegnato a basso costo alle coperative sociali e inoltre potrebbe essere un intollerabile aggravio alla salute dei lavoratori.
Posizione miope, non adegatamente documentata, incapacità di governare l'inevitabile cambiamento? 


E invece sicuro che dalla attuali grave crisi Genova può uscire con un vero piano  che adotti la strategia Rifiuti Zero, incentrato sul massimo recupero di materia e su raccolta porta a porta su tutta la città'.

Come brevemente descitto da Federico Valerio, ricercatore esperto in chimica ambientale,  la scelta di gestire la frazione organica con la digestione anaerobica può assecondare gli obiettivi di un elevato recupero di materia con il minimo impatto ambientale se l'impianto, come è possibile, sarà predisposto a produrre e commercializzare compost di qualità prodotto con il compostaggio del digestato e a privilegiare la raffinazione del biogas (miscela anidride carbonica e metano ) per produrre metano ad elevata purezza, materia di alta qualità, ancorché in fase gassosa, utilizzabile per movimentare l'intera  flotta automezzi AMIU e AMT, una volta che questi automezzi pesanti fossero trasformati per essere alimentati a metano.

Grazie a questa rivoluzione, Genova potrebbe diventare la prima grande città italiana a Rifiuti Zero, con raccolta porta a porta estesa a tutto il suo territorio, senza inceneritori e senza produzione di combustibili da rifiuto.

Ci sono le premesse perché questo possa realmente avvenire, in quanto questa è la volontà politica del Comune, in sintonia con le scelte del Presidente AMIU, condivise dal nuovo Direttore Generale e con l'appoggio di una buon numero di genovesi.
 

Per non perdere altro tempo e dar così fiato agli amici dell'incenerimento tal quale (sempre in agguato) Genova, nei prossimi due anni,  deve essere aiutata a trovare le aree per i suoi impianti e per le Isole Ecologiche, a superare l'emergenza della discarica e a far partire la raccolta porta a porta di tutte le frazioni, separate con cura dai cittadini.

E se nel frattempo si studiasse come passare alla Tariffazione Puntuale per far pagare meno a chi differenzia di più, non sarebbe male.

Resta i problema di chi paga questi interventi.

Ieri il Comune ha votato perchè IREN entri a far parte della partita. E' una scelta molto criticata, in quanto potrebbe aprire la via ad una privatizzazione dei servizi di gestione dei materiali post consumo, a danno dei cittadini che comunque dovranno pagare questa operazione.

C'è comunque da sperare che anche IREN abbia capito che oggi e ancor piu nel prossimo futuro i materiali post consumo sono una vera risorsa economica, solo se riciclati.

Se fossi un imprenditore,  non investirei un soldo nei termovalorizzatori e nei combustibili da rifiuto.

Infatti dubito che si possa continuare ad incentivare con denaro pubblico l'incenerimento di rifiuti o di combustibili solidi ricavati dai rifiuti, sistemi che conti alla mano, inquinano, sprecano energia e materia e contribuiscono pesantemente alla emissione di gas clima alteranti.

E senza incentivi questi impianti sono destinati ad un rapido fallimento.

giovedì 7 maggio 2015

Piu occupazione e minor costi con il Porta A Porta.


La prossima volta che sentirete il vostro Sindaco affermare che la raccolta differenziata Porta a Porta non si può fare perché costa troppo, intervenite per ricordargli che è passibile di denuncia per diffusione di notizie false e tendenziose e, in ogni caso, sottolineate il fatto che non è informato e che questo, per chi amministra il bene pubblico, è una grave colpa.

La verità è che la raccolta differenziata Porta a Porta, a conti fatti, costa molto meno della raccolta tradizionale e crea nuova e stabile occupazione.

Ed è anche una leggenda metropolita l'altra litania che il Porta a Porta si possa fare solo nei piccoli comuni, se l'assessore all'Ambiente del Comune di Milano,  Pier Francesco  Maran, ci ha tenuto ad informare il suo collega di Parigi che, con l'introduzione della raccolta della frazione umida su tutta Milano, le casse comunali avevano risparmiato ben 300.000 euro, reinvestiti in nuovi servizi a favore della città.

Conti più precisi vengono dai bilanci di Contarina SpA , una società interamente pubblica che gestisce la raccolta dei materiali post consumo di Treviso (85.000 abitanti) e di altri 49 comuni della provincia trevigiana, per un totale di 554.000 abitanti.

Da alcuni anni tutti questi comuni sono serviti con il Porta a Porta e cittadini e aziende pagano in proporzione alla quantità di materiali non differenziati (tariffazione puntuale).

Nel 2014,  i comuni serviti dal Consorzio hanno differenziato l'85% dei loro scarti e, udite udite, le famiglie hanno pagato questo servizio meno degli altri utenti, sia a livello nazionale che a confronto del nord Italia:  in media solo 179 € all'anno, ,  contro 226 € del nord Italia e i 245 € della media nazionale.

Fig. 1. Tariffe rifiuti 2013 a confronto

 E i costi a carico del Consorzio?


Fig. 2. Costi annuali per abitante del servizio di raccolta e trattamento rifiuti


La Figura 2 mostra come, nel 2011, a fronte di un costo medio nazionale di 195 € ad abitante servito, il costo del Consorzio Contarina è stato  di 102 €,  novantatre euro in meno, decisamente un bel risparmio.

Questo risparmio è stato prodotto dai costi evitati per lo smaltimento e i ricavi ottenuti con la vendita delle frazioni dei materiali raccolti in modo differenziato

E l'occupazione?
Fig. 3 Andamento percentuale dell'occupazione in Italia e dei dipendenti assunti dal Consorzio Contarina (2002-2014)
La Figura 3 mostra come, nel corso degli ultimi 12 anni,  grazie ai risparmi ottenuti con il passaggio alla raccolta porta a porta, il Consorzio abbia progressivamente aumentato i propri addetti (un aumento di oltre il 150%) per poter offrire un servizio adeguato ai propri utenti, a fronte di un drammatico calo dell'occupazione nazionale a partire dal 2008 quando è iniziata la pesante crisi economica che ancora non ci molla.

Sono notizie che i lavoratori delle nostre aziende di Igiene Urbana e i loro sindacati dovrebbero conoscere e meditare.


Sullo stesso argomento:
Quanto si guadagna con la  differenziata
Quanto ci costano i rifiuti inceneriti? Molto più della TARI

sabato 2 maggio 2015

Bruciar legna non fa bene all'aria delle valli del trentino



Fig. 1 Concentrazione giornaliera di benzopirene a Mezzano (Trento)
Il Trentino è giustamente rinomato per la bellezza del suo paesaggio, la cura dei luoghi, l'ospitalità.

Purtroppo, dati alla mano, alcuni suoi paesi di fondovalle hanno una pessima qualità dell'aria, paragonabile addirittura a quella di aree industriali come quelle di Genova, a causa dell'attività di grandi acciaierie a ciclo integrato.

I paesi sono Mezzano in Primiero  e Storo e la fonte dell'informazione è l'Agenzia Provinciale per la Protezione dell'Ambiente (APPA) che, tra il 2013 e 2014, ha condotto un sistematico monitoraggio della qualità dell'aria in queste due località.

Mezzano in Primiero
Storo
Tra i numerosi inquinanti monitorati, quelli che hanno segnalato superamenti dei limiti di Legge a tutela della qualità dell'aria sono state le polveri sottili (PM10) e il benzopirene.

A Mezzano, dal primo maggio 2013 al 30 aprile 2014, sono stati registrati 31 sforamenti del limite della concentrazione giornaliera delle polveri sottili (50 microgrammi/mc) , circa il doppio di quelli registrati, contemporaneamente, nella stazione di Borgo Valsugana (Figura 2).

A Storo, dal 13 agosto 2013 aml 12 agosto 2014,  gli sforamenti annuali delle polveri sottili sono stati 44.  a fronte di un limite consentito di 35 sforamenti all'anno.


Fig 2. Concentrazione media giornaliera invernale a Mezzano e nella Provincia di Trento


Più preoccupanti, in entrambi i paesi, i livelli di inquinamento del benzopirene, un potente cancerogeno.

A fronte di un limite di 1 nanogrammo per metro cubo di aria (ng/mc), calcolato come media giornaliera, su base annuale, a Mezzano ( Figura 1) e a Storo ( Figura 3) si sono registrati valori medi annuali della concentrazione di benzopirene pari, rispettivamente a 4,5  e 4,3 ng/mc, oltre quattro volte il limite di Legge.

Fig 3. Concentrazione media giornaliera di benzopirene a Storo (Trento)
 Le Figure 1 e 2 riportano le concentrazioni giornaliere di benzopirene registrate nei due paesi nel corso dei dodici mesi di monitoraggio e confrontate con il valore obiettivo della media annuale (1 ng/mc) rappresentata da una linea rossa.

Come si può vedere, in entrambi i casi, il maggiore inquinamento si registra nei mesi invernali, con valori massimi che superano i 30 ng/mc di benzopirene.

Sono valori elevatissimi, che normalmente si trovano solo in aree industriali pesantemente inquinate.

A Genova, nell'area industriale di Cornigliano che ospitava le acciaierie ILVA, quando gli impianti erano nella loro piena attività ( fine anni '90) , sul tetto delle abitazioni sottovento agli impianti, a circa 600 metri di distanza dagli impianti, si registravano valori medi di benzopirene  pari a 4,9 ng/mc, 

A fronte di queste misure, prevalentemente attribuibili alle emissioni della cokeria e nettamente superiori ai limiti di legge, e alla maggiore frequenza di danni alla salute riscontrati nella popolazione esposta, la magistratura genovese ha imposto la chiusura dell'impianto.

Dopo questo intervento, nello stesso sito, nonostante il traffico e le emissioni domestiche, la concentrazione media annuale crollò a 0,3 ng/mc, ampiamente al disotto dei limiti di Legge.

E nelle valli del trentino quale fonte è resposabile dell'inquinamento fuori norma nella stessa misura riscontrata a Genova?

I tecnici dell'APPA sono stati in grado di dare la risposta corretta, utilizzando una tecnica che si basa sulla conoscenza di vere e proprie impronte digitali chimiche che caratterizzano le diverse fonti emissive.

A conferma di quanto era noto da tempo, in entrambi i paesi, la fonte prevalente del benzopirene è la combustione della legna.

La combustione della legna è risultata anche responsabile di gran parte delle polveri sottili trovate nelle due valli, in particolare nel periodo invernale.

Fig 4. Contributo delle diverse fonti alla concentrazione invernale di PM10 a Storo

La Figura 4 mostra il contributo percententuale delle diverse fonti emissive presenti a Storo nel periodo invernale: la combustione delle biomasse (legno) è la fonte del 71% delle polveri sottili presenti nell'aria di questo sito, mentre il traffico veicolare è responsabile solo del 18%.

Trascurabile il contributo naturale inferiore all'1%, mentre le cosidette polveri secondarie, quelle che si formano in atmosfera a seguito di reazioni fotochimiche di inquinanti primari quali anidride solforosa ed ossidi di azoto, rappresentano complessivamente il 12% delle cause del fenomeno.

Pertanto tutti i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni giornaliere delle polveri sottili registrate a Storo e a Mezzano nel periodo invernale sono da attribuire alla combustione della legna.

Le relazioni dell'APPA si limitano a registrare il fenomeno, trovare le cause  e a comunicare i loro risultati  a chi di dovere (Comune, ASL, Provincia ?).

Per quanto riguarda il da farsi, resta da chiarire se a Storo e a Mezzano è arrivato o meno il metano e quindi se gli abitanti di questi due paesi siano costretti, senza possibili alternative, ad usare la legna per riscaldarsi oppure se i costi piu bassi del legno possono spiegare l'elevato uso di questo combustibile anche disponendo di un combustibile molto meno inquinante come il metano.

Ci si potrebbe anche domandare se il pesante inquinamento registrato in quese due vallate sia riconducibile a qualcuna delle tante centrali di cogenerazione ( elettricità e calore) alimentate con biomasse legnose e spesso portate ad esempio di scelta "ecologica".

In ogni caso le misure registrate a Mezzano e Storo segnalano che la salute dei valligiani, in particolare anziani e bambini, è a rischio, a causa di norme di Legge non rispettate.



Sullo stesso argomento:
- Impatti ambientali e sanitari dalla combustione di biomasse legnose 
- Centrali a biomasse: tutte illegali 
- Biocombustibili legnosi: il modello trentino 1
- Il crescente uso di biocombustibili preoccupa la UE
- La qualità dell'aria: bene comune disponibile alle leggi del mercato?
- Polveri sottili e caminetti in Baviera e Lombardia.
- La legna peggiora la qualità dell'aria: IPA
- La legna peggiora la qualità dell'aria: polveri sottili
- Uno studio tedesco conferma che bruciare biomasse non è ecologico
- Invito al ministro Orlando di abolire gli incentivi alla combustione delle biomasse