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sabato 23 gennaio 2010

Vetro al Bando

Mi è stata segnalata questa nota, comparsa recentemente sulla rivista della Coop,  che promuove come ecologici gli imballaggi tetrapack e boccia , come clima-alteranti, gli imballaggi in vetro.

Segue il mio commento.



Coop, novità anche sugli imballaggi

di redazione - 14 Gennaio 2010 -



La strategia di Coop sull’ambiente si snoda lungo due direttrici strategiche: la riduzione a monte del consumo di risorse (materiale, energia) e quindi la riduzione di C0²; e la riduzione a valle della produzione di rifiuti.

tetrarecart.jpg



In questo contesto il quesito su cui Coop sta lavorando e` se il vetro sia (ancora) il sistema di imballaggio piu` “ecologico”. Per rispondere a questa domanda, Coop ha deciso di studiare gli impatti ambientali di alcuni prodotti in vetro quali i succhi di frutta e i sughi pronti, in modo da confrontare tra le varie fasi produttive, anche l’utilizzo dei tradizionali contenitori in vetro con quelli, piu` moderni, costituiti da poliaccoppiati a base di cartoncino, ovvero materiali differenti (ad esempio carta e plastica) con differenti funzioni, accoppiati tra loro.



Lo studio e` stato condotto con la metodologia dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment) che permette di quantificare gli impatti di tutte le fasi di un tipo di imballaggio: la produzione, il trasporto e lo smaltimento. I risultati dimostrano che, per questi prodotti, uno degli aspetti ambientali piu` significativi, la CO2, i poliaccoppiati permettono una cospicua riduzione delle emissioni complessive. Questo e` dovuto a due aspetti: da un lato i consumi energetici nella produzione del vetro, per la quale e` necessario raggiungere altissime temperature nei forni di fusione, dall’altro la massa dei contenitori che rendono molto piu` onerosa anche la fase di trasporto.



Ad esempio un vasetto in vetro di sugo da 400 g pesa circa 250 g contro i 18 g della stessa confezione in Tetra Recart, il che significa che per trasportare un camion di sughi col vetro si trasportano 25 quintali di imballaggio nell’altro 10 volte di meno. Nel passato, lo smaltimento “incerto” dei poliaccoppiati costituiva un punto di attenzione soprattutto se paragonato con filiera di riciclo del vetro, molto piu` consolidata.



Ad oggi, invece, e` importante osservare come molte municipalizzate abbiano migliorato la gestione dei poliaccoppiati avviando sistemi di raccolta specifica finalizzate al recupero attraverso la filiera della carta da macero. Per i succhi di frutta ed i sughi pronti a marchio Coop, il passaggio da vetro a poliaccoppiati ha permesso un risparmio di circa 800 t di CO2 annue



Ed ecco il mio commento:

Le Analisi del Ciclo di Vita (LCA) sono un utile strumento per fare scelte complesse come quella di decidere se, come imballaggio, è preferibile il vetro o materiali poliaccopiati come il tetrapack.

Tuttavia in questi studi occorre impostare correttamente i termini dell'analisi, se si vuole una risposta corretta.

Ad esempio, confrontare le emissioni di anidride carbonica nel ciclo di vita del vetro e dei poliaccoppiati e decidere che è meglio il secondo,  in quanto fa consumare meno energia nel trasporto e richiede meno energia  di quella utilizzata nella produzione del vetro è una analisi troppo limitata e per questo scorretta nelle conclusioni.

Ovviamente è vero che a parità di prodotto confezionato, l'imballaggio in vetro pesa di più e richiede più energia per il trasporto ed è anche possibile che l'energia per fare una bottiglia, partendo da materia prima vergine, sia maggiore di quella che serve per produrre imballaggi in poliaccoppiati.

Ma è sul riuso e il riciclaggio che il vetro è vincente, rispetto ai poliaccoppiati.

Una bottiglia in vetro può essere riusata decine di volte dopo lavaggio e sterilizzazione e questa pratica è impossibile per i poliaccoppiati.

Una LCA corretta avrebbe dovuto mettere a confronto una confezione tetrarecart usa getta  e produci ex novo, con una bottiglia riusata  più volte.

Il riciclaggio del tetrarecart in cui carta, plastica e alluminio sono strettamente uniti a strato, richiede importanti consumi energetici e i prodotti ottenuti sono di bassa qualità e di scarso uso e certamente non si possono usare i materiali recuperati per fare nuovo tetrarecart.

Il vetro invece ha il vantaggio di essere riciclabile numerose volte (si dice, infinite volte) mantenendo sempre  inalterate tutte le sue caratteristiche; inoltre la produzione di imballaggi in vetro, fatta partendo dai rottami di vetro, richiede molto meno energia di quella necessaria per produrre gli stessi contenitori partendo da materie prime vergini.

La LCA commissionata dalla COOP ha tenuto conto di tutto questo?

In particolare ha confrontato i consumi energetici e l'emissione di CO2  di bottiglie in vetro riciclate più volte con i consumi energetici e l'emissione di CO2 di contenitori tetrarecart riciclati una volta sola?

Infine c'è un aspetto che certamente questa LCA non ha valutato, ma che dovrebbe essere di interesse della COOP: la soddisfazione del cliente.

Sarà anche un fattore psicologico, ma latte  e vino di qualità, confezionato nel vetro sembrano più buoni di quelli confezionati con  poliaccoppiati.

E la  maggiore bontà percepita per il vetro è vera, in quanto il vetro è l'imballaggio che garantisce il minor rilascio dei suoi componenti nel prodotto che protegge.

La LCA della COOP ha valutato le possibili modifiche nel tempo della qualità dei prodotti confezionati con i due imballaggi messi a confronto?


giovedì 7 gennaio 2010

Riforestare l'Africa

Il Niger è l'unico paese africano che, negli ultimi 30 ann,i ha aumentato la sua superfice di foreste.

Non è una buona notizia, perchè vuol dire che in tutti gli altri paesi africani la foresta è diminuita; ma è anche una buona notizia perchè significa che esiste la soluzione per invertire questo drammatico andamento.

Per cercare di capire cosa sta succedendo in questo continente, cerco di raccontarvi in sintesi il rapporto dei contadini africani con la loro foresta pluviale. E' un rapporto di atavico odio: gli alberi devono essere abbattuti per far posto alle coltivazioni e al pascolo; gli alberi sono una presenza infestante, al massimo utili come legna da ardere.

Ovviamente semplifico molto, ma questo tipo di sentimenti è alla base della continua deforestazione africana.

E come sapete, deforestazione è sinonimo di numerose altre disgrazie quali desertificazione, siccità, perdita della fertilità e in definitiva, fame e emigrazione forzata e clandestina...

Negli anni '80, in Niger, dopo l'ennesima grave carestia, è successo qualche cosa di rivoluzionario; alcuni contadini hanno pensato che forse era meglio lasciar crescere gli alberi che, in modo spontaneo, nascevano nei fossi che tradizionalmente sono scavati in mezzo ai campi per raccogliere ed utilizzare la scarsa acqua piovana.

Questa pratica, all'inizio fu molto criticata dagli altri contadini, in quanto la tradizione voleva che questi alberi fossero sradicati da piccoli.  ma quando, dopo qualche anno, questi stessi contadini videro che all'ombra degli alberi, o meglio nel concime prodotto con le foglie e grazie al microclima dei boschi, il raccolto era migliore e che dagli alberi, con una attenta potatura, si produceva  e vendeva legna da ardere, la nuova pratica di coltivazione si estese rapidamente nel Niger, ma anche nel Chad, nel Burghina Fasu, in Etiopia, nel Mali.

Oggi, 30.000 chilometri quadrati di Africa hanno visto crescere nuovi alberi grazie a questa tecnica che è stata battezzata " Farmed Managed Natural Regeneration".

La cosa più interessante che questa "scoperta" è la riedizione in chiave africana di una antichissima pratica forestale da millenni applicata con successo in Europa, ovvero la pratica del bosco ceduo.

Nella versione europea, si tagliano gli alberi, ma da alcuni ceppi, adeguatamente distribuiti sul terreno, si lasciano crescere nuovi polloni dai quali, con un utilizzo sostenibile, a densita di biomassa costante, si recupera legname per manufatti e legna da ardere.Insomma, niente di nuovo sotto il Sole, se a prevalere sono intelligenza, sobrietà, rispetto degli equilibri naturali.

Pomodori a Basso Impatto

Mentre nel paese del Sole ci gingilliamo con l'uranio prodotto ed arricchito da altri, nella gelida Albione la "green economy" è già una realtà che toglie mercato e competitività ad una produzione che credevano tutta e solo italiana:i pomodori.

La Pearson and Sons, dalle parti di Alderley Edge, ha cinque ettari di serre  dove ogni anno si producono 33 milioni di pomodori e circa 20 metricubi al giorno di scarti vegetali.

Fino a ieri questi scarti ( le piante di pomodoro, dopo il raccolto) erano inviati in discarica ed erano un costo netto; oggi questi stessi scarti sono diventati una fonte di energia rinnovabile, di fertilizzanti, di forza motrice.

Oggi, vicino alle serre sorge un digestore anaerobico dove, in una serie di tanche, caricate con le piante di pomodoro, un esercito di microorganismi provvede a trasformare, in 12-15 giorni, questi scarti in metano che con diversi gradi di raffinazione è utilizzato per produrre calore ( usato per riscaldare le serre), elettricità  per il digestore e per movimentare gli automezzi dell'azienda, dopo opportuna compressione del metano in bombole. E oggi, letteralmente, non si butta via niente: i sottoprodotti della digestione anaerobica sono 14.000 litri di nutrienti alla settimana che, come fertilizzanti, ritornano nelle serre; e nelle serre, ci va anche l'anidride carbonica estratta dal biogas che, a sua volta,  serve come fertilizzante fogliare dei pomodori che crescono meglio della concorrenza dei paesi del mediterraneo.

In soldoni, con questo investimento  la Pearson and Sons risparmia ogni anni 30.000 sterline e l'impresa va talmente bene che si sta pensando di trattare nell'impianto di digestione anche altri scarti organici e, udite, udite, il governo inglese ha deciso di promuovere questa e simili inizitive  con un programma denominato WRAP ( Waste and Resource Active Programme). Per i produttori di pomodori nostrani la vedo molto male.


sabato 2 gennaio 2010

Solare versus Nucleare

Da un inserto di La Repubblica del 26 novembre 2009 apprendo che per produrre con pannelli fotovoltaici la stessa quantità di elettrictà che produrrà una delle future centrali nucleari da 1600 megawatt, occorre una superfice di 15.000 ettari, pari a quella di 20.000 campi da calcio regolamentari.

Da questo confronto l'impresa vi sembra impossibile?

Vi propongo un altro confronto, più interessante; 15.000 ettari è la superfice del tetto di circa 170.000 condomini di medie dimensioni (base 30x30 metri).

L'ipotesi di usare come collettori solari i tetti di 170.000 case italiane vi sembra  ancora impossibile?

Alla signora Merk,  nonostante il suo paese ( la Germania) non sia il paese del Sole, l'obiettivo di 100.000 tetti fotovoltaici non sembra impossibile , tant'è vero che il suo governo lo ha già approvato ed avviato da tempo.

Peraltro in Europa, nel 2004 , c'erano già impianti fotovoltaici per 1.000 megawatt e le potenze installate sono i forte crescita..

Si è vero, una sola centrale nucleare avrà una potenza installata di 1600 megawatt e funzionerà a pieno regime 10-11 mesi all'anno, mentre un impianto fotovoltaico di notte non produce elettricità. Tuttavia di tetti che si possono convertire a centrali fotovoltaiche in Italia ne abbiamo almeno 12,7 milioni  (censimento 2001) e come tutti sanno, di notte i consumi di elettricità scendono di molto; un problema per le centrali nucleari che non possono smettere di produrre elettricità anche quando non c'è richiesta. E una soluzione è quella di venderla a basso prezzo ai paesi confinanti ...:-)