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sabato 13 luglio 2013

Le combustioni producono polveri cancerogene


Un grande studio, che ha coinvolto trecentomila abitanti di nove paesi europei, tra cui l'Italia, ha dimostrato che respirare polveri fini (PM10) e ultrafini (PM2,5), aumenta il rischio di cancro polmonare.

L'articolo pubblicato in questi giorni su Lancet Oncology ha definitivamente confermato, oltre ogni ragionevole dubbio, che le polveri che si sviluppano a seguito di combustioni, caratterizzate da dimensioni molto piccole (diametro inferiori a 10 e 2,5 millesimi di millimetro), possono provocare il cancro al polmone, anche in chi non ha mai fumato sigarette.

Lo studio ha dimostrato che il numero di tumori polmonari che si registrano in una determinata popolazione, aumenta in proporzione alla concentrazione di polveri sottili che quella popolazione ha mediamente respirato.

Ogni 10 microgrammi (milionesimo di grammo) in più, di polveri sottili presenti in un metro cubo d'aria inalato, il rischio di cancro polmonare aumenta del 22%.

Ad esempio, questo significa che, se in una determinata popolazione di non fumatori, esposti a 10 microgrammi di polveri sottili (PM10) per metro cubo d'aria , si registrano 100 casi di tumori polmonari all'anno, nello stesso numero di persone, esposte a 20 microgrammi di polveri per metro cubo, i casi di tumore polmonare sono 122.

I casi di tumore salgono a 144, con un'esposizione media a 30 microgrammi per metro cubo, a 166, se l'esposizione arriva  a 40 microgrammi per metro cubo.

E se la concentrazione di polveri è di 50 microgrammi per metro cubo, i tumori polmonari attesi saranno 189.

Le concentrazioni di polveri sottili riportate in questo esempio ( da 10 a 50 microgrammi per metro cubo)  non sono casuali.

La popolazione norvegese che ha partecipato allo studio era esposta a 13 microgrammi per metro cubo, quella olandese a 25 microgrammi, mentre quella romana faceva registrare una esposizione a 36 microgrammi per metro cubo e quella torinese risultava la più esposta in assoluto: 48 microgrammi per metro cubo.

Tutto questo significa che nelle popolazioni italiane (56 milioni di persone), a causa dell'elevato inquinamento dell'aria ignorato o colpevolmente tollerato, si registrano molti tumori polmonari che potrebbero essere evitati se adeguate scelte politiche riducessero l' elevato inquinamento atmosferico da polveri sottili del nostro Paese,  ai livelli considerati normali nei paesi del nord Europa.

E poichè  le PM10 si producono, inevitabilmente, ogni volta che si brucia qualche cosa, queste politiche, finalizzate alla prevenzione primaria dei tumori polmonari, riguardano tutte le combustioni evitabili o riducibili.

A cominciare, ovviamente,  dal fumo di sigaretta, ma anche quelle della mobilitità urbana (privilegiare il trasporto collettivo su mezzi a trazione elettrica), del trattamento dei rifiuti (riciclo e compostaggio, al posto dell'incenerimento), del condizionamento degli edifici (più isolamento termico e meno combustibili per il loro condizionamento), della produzione di elettricità (più solare eolico, idroelettrico, meno carbone), dell'uso energetico delle biomasse (abolire gli incentivi alla combustione e alla gasificazione di biomasse).

Infine, lo studio pubblicato su Lancet ha confermato che gli attuali limiti di legge per le PM10 (40 microgrammi per metro cubo) non sono sufficenti a tutelare la salute dei cittadini.

Un significativo aumento dei tumori polmonari si sono registrati anche con esposizioni a polveri sottili  inferiori a 40 microgrammi per metro cubo.

Pertanto, ogni scelta che comporta un aumento evitabile delle emissioni di polveri sottili deve essere vietata.

Rientra in questi divieti la sostituzione d'impianti a metano (a bassa emissione di polveri sottili)  con impianti alimentati con rifiuti, cippato di legno e oli vegetali (ad alta emissione di polveri sottili): una scelta che si sta diffondendo nel nostro paese, a causa della "droga" dei certificati verdi regalati a chi produce elettricità bruciando biomasse.




venerdì 5 luglio 2013

Invito al Ministro Orlando di abolire gli incentivi alla combustione di biomasse.


Il Ministro dell'Ambiente Orlando ha dichiarato che il governo, per abbassare il costo dell'energia, vuole rivedere il sistema degli incentivi ai produttori di energia rinnovabile " Sicuramente dobbiamo rimodularli e capire anche esattamente quali settori vanno più incentivati e su quali settori è opportuno fare un primo bilancio".

Visto quello che il governo Letta ha già deciso di continuare ad incentivare la produzione di elettricità bruciando rifiuti nei tanto decantati termovalorizzatori  "in considerazione della particolare utilità sociale di tali impianti" non mi faccio molte illusioni, ma provo ancora una molta a mandare saggi consigli al neo Ministro, con questa lettera aperta.

"Caro Ministro Orlando,

per abbassare veramente il costo dell'energia, occorre intervenire anche sulla voce A3 della bolletta elettrica, tassa introdotta per incentivare le fonti di energia rinnovabile.

Il Governo non può ignorare che con le combustioni di biomasse solide e liquide si produce una significativa emissione di inquinanti tossici (dagli ossidi di azoto, alle diossine, alle polveri sottili) incompatibili con le normative a tutela della salute.
Converrà che questo inquinamento, assolutamente non obbligato, non può essere incentivato con danaro pubblico pagato da famiglie, aziende ed Enti Pubblici.

Inoltre, se nessuno l'ha informata, deve sapere che il meccanismo legislativo che incentiva solo la produzione di elettricità sta provocando un pesante spreco energetico, sotto forma di calore letteralmente buttato in atmosfera, pari al 70-80% del potere energetico dei biocombustili usati, in quanto le reti di teleriscaldamento sono costosissime e quasi sempre non sono realizzate.

Un emendamento all'attuale normativa  dovrebbe, da subito, abolire per i nuovi impianti tutti gli incentivi alla produzione di elettricità tramite combustione, gassificazione, pirolisi di biomasse.

Stessa abolizione deve essere prevista per i nuovi impianti a biogas che utilizzano prodotti agricoli ad elevato consumo di energia (fertilizzanti) e acqua, come mais e girasole. In questo caso, i bilanci energetici sono spesso negativi: l'energia prodotta è inferiore a quella necessaria per la produzione agricola.

E ancora una volta converrà che non sia possibile, con denaro pubblico, incentivare questi sprechi.

Per gli impianti già operativi bisogna verificare se legalmente è possibile una progressiva riduzione degli incentivi,

Sono certo che i suoi collaboratori al Ministero, nell'interesse del Paese, sapranno trovare  la strada giusta per eliminare rapidamente questi inutili e dannosi finanziamenti a soggetti privati.

Incentivi, adeguatamente ridotti, possono essere ammessi solo per impianti alimentati a biomasse, strettamente cogenerativi (con utilizzo totale di elettricità e calore), a patto che sia dimostrato che il bilancio di massa degli inquinanti emessi nel territorio coinvolto dalle ricadute dell'impianto proposto, sia uguale o minore a quello precedente all'entrata in funzione dell'impianto a biomasse.

Tale regola è già stata introdotta nelle leggi regionali di Piemonte e Emilia Romagna e per la cronaca, la informo che questa regola può essere rispettata solo se l'impianto di cogenerazione alimentato a biomasse sostituisce impianti termici alimentati a legna.

Se il combustibile normalmente usato per il riscaldamento è il metano, non c'è partita; qualunque impianto a metano, a parità di energia prodotta, inquina molto meno di qualunque altra biomassa solida e liquida.

A mio giudizio occorre una seria riflessione per far si che gli attuali impianti a biogas possano essere convertiti alla produzione di biometano da immettere in rete, in sostituzione del metano fossile.

Per far questa scelta strategica, bisogna potenziare i trattamenti di depurazione del biogas grezzo già esistenti, che trattano con la digestione anaerobica rifiuti organici, fanghi di depurazione, effluenti di allevamenti animali.

In sostanza bisogna ridurre ulteriormente la concentrazione di anidride carbonica presente nel biogas, per aumentare il suo potere calorifico e diminuire la concentrazione di composti solforati per rendere il biometano compatibile con gli attuali impianti di distribuzione del gas,

Un modo per avviare questa interessante filiera produttiva, potrebbe essere quello di rendere competivo il costo del biometano, rispetto a quello del metano fossile, abolendo, a favore del biometano, tutte le tasse e accise che gravano sul metano e riducendo o annullando l'IVA per un numero congruo di anni, tale da incentivare la riconversione degli attuali impianti a biogas e la realizzazione di nuovi impianti finalizzati alla produzione di biometano da immettere in rete e/o da utilizzare per autotrazione leggera e pesante.

Certo del suo interessamento e a disposizione per ogni ulteriore richiesta di chiarimento.

Federico Valerio

Chimico Ambientale
Comitato Tecnico Scientifico Legge Iniziativa Popolare Rifiuti Zero "