Translate

martedì 26 agosto 2014

Aria pulita un vero "Elisir di Lunga Vita"


Uno studio pubblicato alcuni anni or sono  su New England Journal of Medicine, ha aggiunto un interessante tassello sul ruolo che la qualità dell'ambiente ha sulla nostra salute.

Lo studio ha riguardato 217 contee e 51 aree metropolitane degli Stati Uniti e ha messo in correlazione l'aspettativa di vita degli americani e la quantità di polveri fini da loro respirate ( PM2,5).

In questo paese, dal 1978 al 2000, l'inquinamento da polveri sottili si è ridotto in modo significativo, merito delle marmitte catalitiche, di leggi rigorose per ridurre le emissioni industriali, del blocco alla realizzazione di inceneritori.

Fatte le dovute correzioni per i diversi fattori socioeconomici che condizionano la nostra salute, è risultato che ogni 10 microgrammi di polveri sottili sottratte ad un metro cubo di aria, l'aspettativa di vita degli americani è aumentata di circa sei mesi.

Chi continua a pensare che l'ambientalismo sia una "belinata" di pochi "gufi" che frenano lo "sviluppo" è servito!

Questo studio, che documenta come la nostra salute sia strettamente correlata con la qualità del nostro ambiente non è il primo e non sarà l'ultimo.

E' una informazione che sarebbe stato opportuno far arrivare alle orecchie del nostro primo ministro Berlusconi  visto il suo grande interesse a trovare (solo per se?) l'elisir di lunga vita, ma che non sarebbe male far arrivare, con insistenza anche alle orecchie e al cervello dell'attuale premier Renzi che sarà giovane ma che da questo "orecchio" proprionon ci sente.


L'Aria Buona Allunga la Vita, l'aria cattiva l'accorcia.



Qualche altra informazione sullo studio USA che ha confermato come un miglioramento della qualità dell'aria allunga la vita, e che abbiamo presentato in un precedente post.

Respirare aria con meno polveri sottili allunga la vita perche queste polveri, una volta respirate, aumentano la formazione di placche aterosclerotiche e inducono fenomeni infiammatori e stress ossidativo che a loro volta possono facilitare lo sviluppo del cancro, aiutate in questo anche dai cancerogeni ( metalli, IPA, Diossine) che si concentrano in queste stesse polveri fini.

Almeno due  studi indipendenti effettuati negli Stati Uniti tra il 2000 e il 2008 (a firma di  Krewski e Pope) arrivano alle stesse conclusioni: l'esposizione a PM2,5 aumenta la mortalità per malattie cardio-polmonari, malattie cardiocircolatorie e tumori polmonari.

Per quanto riguarda i tumori polmonari, un aumento della concentrazione di polveri fini (PM2,5) di 10 microgrammi per metro cubo aumenta la mortalità per cancro polmonare dal 5 all' 11 %.

Non è poco, anche perchè nelle citta USA più inquinate, alla fine degli anni 70',  la concentrazione media annuale di PM2,5 era di 40 microgrammi,  mentre misure più recenti (1997) dimostravano che nelle città USA si può arrivare senza difficoltà a 10 microgrammi per metro cubo.

Gli standard di qualità dell'aria per le PM2,5, in vigore negli  Stati Uniti, sono di 35 microgrammi per metro cubo come media giornaliera e di 15 microgrammi per metro cubo come media annuale: ogni singolo giorno non si dovrebbe superare il primo valore, e la media annuale di tutte le misure giornaliere non dovrebbe essere superiore a 15 microgrammi per metro cubo.

Quindi, in base alle migliori serie storiche esistenti negli USA, una riduzione delle PM2,5 di 30 microgrammi per metro cubo dovrebbe essere accompagnata da una riduzione della mortalità per tumore polmonare tra il 15 e il 30%!

In Italia lo standard di qualità per le PM2,5 è di 25 microgrammi/m3, valore che deve essere raggiunto nel 2015 e che, nel 2020, dovrebbe ridursi a 20 microgrammi per metro cubo.

Nel 2011, a Torino, Padova e Milano, la concentrazione media annuale di PM2,5  è stata, rispettivamente, di 35, 34, 33 microcrammi per metro cubo, a fronte del limite di 25 microgrammi per metro cubo, circa 10 microgrammi in  più.

Pertanto, il mancato rispetto dei limiti di legge, se son vere le stime citate, potrebbe aver aumentato la mortalità per cancro polmonare degli abitanti di queste città di almeno il 5 %.

Tutte morti "precoci" che avrebbero potuto essere rimandate nel tempo, solo se le amministrazioni locali e i governi nazionali, in tutti questi anni, si fossero seriamente preoccupati di tutelare la salute dei loro concittadini con adeguate scelte di "sviluppo", finalizzate non a "crescere" ma a ridurre sistematicamente le emissioni inquinanti.





lunedì 25 agosto 2014

Metano e Biomasse a confronto. Chi inquina di meno?


L'articolo è stato accettato su Bio-resource Technology e merita di essere citato, in quanto conferma e quantifica quanto già affermato su questo Blog: sostituire il metano con biomasse, non fa per niente bene alla salute di chi abita intorno alla centrale alimentata con questo combustibile rinnovabile.

Lo studio è a firma di Ann Pa, del Centro di Ricerca per le Energie Pulite dell'università della British Columbia, Canada, e il suo titolo  è : "A Life Cycle Evaluation of wood pellet gasification for district heating in British Columbia". (Analisi del ciclo di vita della gasificazione di pellet di legno per il teleriscaldamento nella British Columbia).

Lo studio stima i diversi impatti ambientali che si potrebbero verificare se si decidesse di sostituire l'attuale sistema di teleriscaldamento di Vancouver, basato sull'uso di metano, con gas di sintesi (singas) prodotto dalla gasificazione di  pellet di legno.

Intanto, diciamo subito che gasificare il pellet e poi bruciare il gas prodotto, è meno inquinante che bruciare direttamente i pellet.
E' il caso anche di aggiungere che a Vancouver gli impianti di teleriscaldamento sono finalizzati solo a produrre calore distribuito agli edifici nel solo perido invernale e non mi risulta che il governo canadese stia sovvenzionare la produzione d' elettricità dalla combustione di biomasse.

L'analisi ha considerato tutti gli impatti degli interi cicli di vita dei combustibili scelti per il confronto: dall'estrazione del metano e il  taglio della legna, al loro trasformo alle centrali, allo smaltimento delle ceneri del pellet.

Le conclusioni dello studio LCA sono che gassificare la legna produce molto meno gas serra che estrarre e bruciare metano, ma per quanto riguarda la salute umana (esposta a polveri sottili, ossidi di azoto, composti organici prodotti dalla combustione del singas e durante la lavorazione del legno)  la scelta delle biomasse, nella fase della raccolta del legno e della sua gassificazione,  è deleteria, in quanto aumenta l'impatto sanitario di ben 6 volte rispetto alla estrazione e combustione del metano.

Le cose migliorano, ma è sempre meglio il gas naturale (metano), se le emissioni dell'impianto di gasificazione sono trattate per abbattere ossidi di azoto e polveri sottili. Ma, anche in questo caso, l'impatto sanitario delle biomasse legnose è maggiore del 12%.

Questi risultati avrebbero dovuto far meditare gli amministratori di Parma se fosse negli interessi dei parmigiani realizzare il teleriscaldamento delle case bruciando i loro rifiuti, al posto del metano, combustibile  già oggi usato nelle caldaie  condominiali di questa città.

Per quanto riguarda l'emissione di gas serra da parte del metano, l'articolo non ne parla, ma sarebbe interessante valutare quale sarebbe il risultato di una analoga analisi,  se per il teleriscaldamento si utilizzasse biometano da fermentazione anaerobica, ma ancor più se si investisse, prima di qualunque scelta, nell' isolamento termico degli edifici, nell'alta efficenza delle caldaie ed in usi passivi dell'energia solare, fruttando con verande orientate a sud, anche il pallido sole invernale della Padania.

Questo sarà il tema di un prossimo post.

domenica 17 agosto 2014

La digestione anaerobica recupera materia (un pò meno del compostaggio).


Ci sono alcune persone irriducibilmente contrarie al biogas, in particolare agli impianti che, grazie alla digestione anaerobica di biomasse vegetali ed animali, permettono il recupero di una miscela di metano ed anidride carbonica, chimata biogas ed utilizzata a scopo energetico.

Questa opposizione, in parte, è dovuta alla diffidenza verso l'uso della combustione nel trattamento dei rifiuti.

Gran parte di queste stesse persone sono favorevoli, incondizionatamente, al  compostaggio quale metodo per il trattamento delle frazioni organiche dei rifiuti urbani.

In particolare, questa preferenza è dovuta al fatto che il compostaggio è visto come una forma di recupero di materia, in quanto il residuo di questo trattamento, il compost, è un ottimo ammendante agricolo.

Su questo blog  abbiamo più volte parlato di biogas e in particolare di biometano e ne abbiamo parlato bene, in quanto nella nostra ricerca non abbiamo trovato documentati motivi ambientali e sanitari che potessero giustificare una opposizione alla digestione anaerobica.

In questo post cercherò di illustrare la questione del recupero di materia dimostrando, numeri alla mano, che anche con la digestione anaerobica, oltre al biogas, si recupera materia utile all'agricoltura, in quantità leggermente inìferiore al compostaggio, ma niente affatto trascurabile.

Cominciamo a chiarire che compostaggio e digestione anaerobica sono entrambi processi naturali in cui diverse e complesse comunità microbiche degradano le grandi molecole organiche presenti negli scarti vegetali ed animali: cellulosa, lignina, zuccheri, proteine, grassi, carboidrati, molecole in cui è sempre presente il carbonio.

Ovviamente la finalità "biologica" delle comunità di microorganismi che degradano la materia organica non è quella di produrre ammendanti per l'agricoltura ma quello di produrre energia per i processi vitali e la riproduzione delle rispettive comunità.

In natura sono presenti due differenti comunità di microorganismi che basano il loro sviluppo sulla degradazione di organismi viventi, una volta che questi sono arrivati alla fine dei loro giorni e delle loro deiezioni.

Una di queste famiglie è composta da micro-organismi definiti aerobi, in quanto, come noi, hanno bisogno di ossigeno per vivere; la seconda famiglia, molto più antica, comparsa sulla Terra quando nella sua atmosfera l'ossigeno era in pratica assente, ha imparato a "mangiare" la materia organica facendo a meno dell'ossigeno e per questo motivo questi mico-organismi sono definiti anaerobi.

Entrambe queste famiglie vivono e si riproducono grazie all'energia prodotta dalla degradazione chimica delle grandi molecole organiche ( cellulosa, carboidrrati, proteine...) che si trasformano in molecole via via più semplici.

Alla fine dei rispettivi banchetti, oltre alle molecole di acqua, restano due sostanze gassose: l'anidride carbonica ( CO2 ) e, nel caso dei batteri anaerobi, quelli che fanno biogas il metano (CH4).

Nel recupero dell'energia chimica delle sostanze organiche animali e vegetali, i batteri aerobi sono più efficienti di quelli anaerobi in quanto i primi, utilizzando l'ossigeno atmosferico, riescono a sfruttare al massimo l'energia chimica dei composti organici biodegradabili, con l'ossidazione del carbonio a CO2 e pertanto sono in grado di sintetizzare una maggiore quantità di biomassa ( la loro popolazione vivente) a parità di peso di frazione organica a loro disposizione.

In questo caso, dal punto di vista energetico l'energia prodotta per via biochimica corrisponde a quella della combustione diretta.
 Il fatto che l'ossidazione biologica, grazie all'attività enzimatica, avvenga a temperature basse ( al massimo intorno ai 60-70 gradi centigradi), evita la produzione dei sottoprodotti tossici delle combustioni (ossidi di azoto, polveri fini, diossine, IPA...).

I batteri anaerobi, per i quali l'ossigeno è una sostanza altamente tossica, non sono in grado di sfruttare la reazione diretta del carbonio con l'ossigeno atmosferico e pertanto il loro metabolismo si ferma alla formazione di metano.

L'anidride carbonica, presente in abbondanza nel biogas ( circa il 40%) , deriva dalla rottura di legami carbonio-carbonio da composti organici in cui è già presente ossigeno legato al carbonio, come gli acidi grassi.

L'attività metabolica dei batteri anaerobi ed aerobi produce in entrambi i casi  anche una frazione solida, non utilizzabile a scopo energetico dai batteri, a cui noi umani diamo il nome di compost e digestato, in cui sono presenti, in forma prevalentemente colloidale,  carbonio e azoto, in un rapporto ottimale per lo sviluppo delle piante.

Da 100 chili di frazione organica (scarti agricoli, scarti alimentari, scarti di cucina...) sottoposti a compostaggio o a digestione anerobica si originano circa 30 chili (peso umido) di compost con il compostaggio diretto, mentre dalla digestione con successivo trattamento aerobico del digestato si producono  20 chili (peso umido) di compost, il 10% in meno.

Questa differenza può essere attribuita, come si è detto, alla minore efficenza energetica del metabolismo anaerobico che riduce la crescita della popolazione di microbi anaerobi.

L'uomo si è inserito in questi cicli naturali e recupera ed utilizza in entrambi i casi il compost prodotto, utilizzato come ammendante agricolo e, nel caso del biogas, intercetta il metano per sfruttarne il potenziale energetico per quei fini in cui le alte temperature sono indispensabili (cottura cibi, produzione di mattoni e cemento, autotrazione, produzione di vapore ad alta pressione...).

Con l'intercettazione del metano e la sua combustione, si recupera l'energia chimica che i batteri anaerobi non sono stati capaci di utilizzare e più rapidamente (rispetto alla fotoossidazione del metano immesso direttamente in atmosfera ) si trasforma il metano, con elevato potere clima-alterante, in anidride carbonica biogenica che le piante, grazie alla sintesi clorofilliana, possono di nuovo utilizzare per sintetizzare, grazie all' energia solare, tutte le molecole complesse necessarie alla loro vita (cellulosa, carboidrati, zuccheri...) e questo a partire da anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O).

Infatti, il carbonio bio-genico, così chiamato per distinguerlo dal carbonio petro-genico fossile (carbone, petrolio, gas naturale), sotto forma di anidride carbonica (emessa direttamente come sotto prodotto del metabolismo dei batteri o a seguito  della foto-ossidazione, combustione  del metano) rientra successivamente, come "fertilizzante" gassoso, nella produzione ex-novo di vegetali.

Per quanto riguarda i bilanci del Carbonio, con tutte le approssimazioni del caso, ipotizzando che la frazione organica dei rifiuti abbia un contenuto di umidità del 45% e che la percentuale di carbonio elementare presente nella Frazione Organica dei rifiuti Urbani (FORSU) sia pari al 48% del peso secco, in 100 kg di FORSU sono presenti 26,4 chilogrammi di carbonio organico.

Di questi 26,4 chili di carbonio organico:

- con il compostaggio,  4,9 chilogrammi di carbonio finiscono in atmosfera, come anidride carbonica.

- con la digestione anaerobica, 3,7 chilogrammi di carbonio sono recuperati come metano  e 3 chili sono recuperati come anidride carbonica, in totale 6,7 chilogrammi di carbonio organico

- con l'incenerimento,  tutti i 26,4  chili di carbonio organico finiscono in atmosfera come anidride carbonica.

Pertanto se con l'incenerimento e successivo recupero energetico tutto il carbonio organico viene sottratto al possibile uso come ammendante agricolo, la quantità di carbonio trasformato in metano (3 chili) e successivamente usato a scopi energetici è inferiore alla quantità di carbonio organico che il compostaggio perde per immissione diretta in atmosfera ( 4,9 chili).

In conclusione, la minore efficenza energetica della digestione anaerobica giustifica la sua minore produzione di biomassa solida (digestato), rispetto al compostaggio.

Tuttavia, tali differenze non sono elevate e pertanto, a mio giudizion, anche la digestione anaerobica può rientrare a pieno titolo tra i processi cicilici antropogenici che permettono il recupero di materia  sia sotto forma di compost, come pure di anidride carbonica che può essere utilizzata sia come fertilizzante gassoso nelle serre che in numerosi usi industriali ( refrigereante, anti incendio ...) e di metano per produrre calore, elettricità e per alimentare autovetture a metano.



lunedì 11 agosto 2014

L'acqua del Sindaco: nelle casette dell'acqua o a domicilio?

Casetta dell'Acqua e fontanella a Milano

In Italia stanno sorgendo molte Case dell'Acqua, che offrono al pubblico acqua della rete, eventualmente ulteriormente trattata, gasata e refrigerata.


Insomma, una versione moderna delle fontane pubbliche a cui per millenni  si è fatto ricorso quando l'acqua in casa era privilegio di pochi.

Sembra che queste casette, come l'elegante modello meneghino alimentato ad energia solare, abbiano successo e molta gente le usa per riempirsi bottiglie che porta a casa per il consumo.

A mio avviso le casette dell'acqua dovrebbero servire prevalentemente per  far conoscere e promuovere la qualità dell'acqua del Sindaco, quella che arriva con il rubinetto, in tutte le case e nelle tante fontanelle pubbliche che, a loro volta, dovrebbero essere valorizzate per ridurre i consumi di bevande confezionate.

Se la qualità chimica e organolettica dell'acqua che esce dai rubinetti di casa e da quelli della casetta dell'acqua e' la stessa, non c'è nessun motivo di caricarsi di bottiglie.

E questa situazione non e' rara in Italia (Roma, Napoli, Genova..) dove gli acquedotti pubblici attingono acqua da sorgenti o bacini idrici esenti da contaminazione ambientale.

Inoltre, queste acque sono costantemente monitorate, sia dal punto di vista batterico che chimico e le loro caratteristiche sono spesso migliori di molte acque in bottiglia.

Unica differenza tra le acque imbottigliate e quelle che arrivano a casa con l'acquedotto  è, in quest'ultime, la presenza di cloro (inevitabile, per motivi igienici).

Per ridurre il cloro, senza provocare rischi igienici,  basta utilizzare per qualche ora un decanter da vino, agitando l'acqua ogni mezz'ora.

L'acqua che, con questo modo si libera delle tracce di cloro in forma gassosa, si mette successivamente in frigo, in una bottiglia di vetro e si consuma in giornata.

Per chi ama le bollicine ci sono gasatori domestici con bombolette di anidride carbonica ricaricaribili.

Grazie all'acqua del Sindaco di Genova, di ottima qualità, da due anni non compro più acqua gasata in bottiglia di vetro e in questo modo ho ampiamente ammortizzato il costo del gasatore. 

Ovviamente, in famiglia non produciamo più scarti sotto forma di bottiglie e abbiamo ridotto significativamente la nostra produzione pro-capite di rifiuti (un centinaio di bottiglie all'anno) e, fatto altrettando importante, non dobbiamo caricarci di pesanti bottiglie quando andiamo a fare la spesa.

sabato 9 agosto 2014

E' arrivato un bastimento carico di...cippato.


Sbarco di cippato di legno nel porto di Genova


Alla faccia del chilometro zero!

I porti italiani hanno scoperto una nuova merce, il cippato di legno.

Oltre a Genova, in questi giorni, anche il porto di Monfalcone scarica legname triturato (cippato di legno). In entrambi i casi, per camion o per treno, il legno andrà all'uso finale: per Genova si dichiara che sarà bruciato in centrali elettriche (La Spezia, Vado?); nel caso di Monfalcone, il legno prodotto in Venezuela (si proprio in Venezuela) va in Austria, per essere trasformato in carta!

La provenienza del cippato che arriverà a Genova, non è nota. Il sospetto che questo legname sia frutto della deforestazione in atto nel centro America e in Indonesia, per far posto a più remunerative produzioni (olio di palma, cellulosa...) è una certezza.

Che queste operazioni commerciali siano ecologiche e idonee per combattere i cambiamenti climatici è invece una bufala colossale.

Aumento dei consumi di fonti di energia fossile (per abbattimento, trasporto, cippatura), aumento dell'inquinamento atmosferico  per la combustione del legname e nel ciclo produttivo(polveri fini, idrocarburi policiclici aromatici...) , aumento delle emissioni di gas clima-alteranti (nerofumo, metano), perdita di biodiversità nelle foreste pluviali abbattute, sono garantiti.

In nome del "mercato" e della sua crescita, questo ed altro.

E questo è il comunicato stampa che riguarda Genova.

08/08/14 12:51
Genova accoglie il primo carico di cippato

Storico sbarco al Terminal Rinfuse, sempre più orientato alla diversificazione merceologica
La diversificazione è uno dei cardini della strategia della nuova proprietà di TRGE (Terminal Rinfuse Genova, gruppo Italiana Coke) e nei giorni scorsi se ne è avuto un assaggio.
È infatti approdata presso la banchina San Giorgio di Terminal Rinfuse la prima nave con un carico di cippato (scaglie di legno), un prodotto ad oggi mai sbarcato nello scalo del capoluogo ligure che trova ampio utilizzo come combustibile nelle centrali termiche a biomasse di nuova generazione.
L’approdo della nave assume particolare rilevanza dal momento che, con esso, il terminal genovese si candida ad essere un punto di riferimento per le industrie che utilizzano questa fonte energetica rinnovabile. In particolare, sono state circa 20mila le tonnellate di prodotto sbarcate dalla nave e stoccate in banchina per essere successivamente posizionate su camion e carri ferroviari per il successivo trasferimento alle rispettive destinazioni finali.
Le previsioni di crescita di utilizzo del cippato in ambito industriale portano Terminal Rinfuse Genova a stimare una movimentazione annua di circa 80 – 100 mila tonnellate di prodotto una volta terminati i lavori dell’Autorità Portuale di Genova volti al consolidamento della banchina San Giorgio.
Nell’ambito del percorso di diversificazione intrapreso da TRGE, che sulle sue 3 banchine (circa 1.200 metri la lunghezza totale) utilizza 4 gru da 12 e 50 tonnellate e 2.500 metri di nastri trasportatori, rientrano l’entrata in funzione, avvenuta quest’anno, di un nuovo impianto per l’insaccaggio e la pallettizzazione del pellet e di una nuova tramoggia depolverata per la movimentazione delle merci polverulenti, interventi effettuati da Terminal Rinfuse Genova per un investimento complessivo di circa 2 milioni di euro.