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venerdì 30 novembre 2018

Costretti a produrre rumenta per alimentare l'inceneritore. A Genova scampato pericolo!


Sulla scia delle provocazioni del vice-premier Salvini, il Secolo XIX, quotidiano di Genova, ha lanciato un sondaggio per vedere se i genovesi preferiscono incenerire o riciclare.

Per i più giovani, ricordiamo che, nel 1999, siamo arrivati a un pelo da approvare un bel inceneritore, stile Copenaghen, a due passi dalla Lanterna.


Un vasto fronte, dagli amici della Lanterna, a Italia Nostra, ai Verdi si è opposto a questo progetto e le dimissioni dell’assessore verde, Chiara Malagoli, l’affossò definitivamente.


Il motivo di questa scelta è banalmente semplice: i costi di costruzione e di gestione di un termovalorizzatore sono esageratamente elevati, molto di più del riciclo che permette, con la vendita dei materiali raccolti, ricavi tutt’altro che trascurabili.

Ma c’è anche un altro motivo: per i contribuenti,  i termovalorizzatori sono una trappola che costringe a produrre tutti i rifiuti che servono a rendere remunerativo l’impianto.

Il termovalorizzatore all’ombra della Lanterna era progettato per incenerire, per tutti  i venti anni necessari per recuperare il capitale investito, 900 tonnellate al giorno di rumenta.

Il contratto “capestro”, ovviamente di durata ventennale, che, per un soffio, non ha avuto la firma del Sindaco Pericu, prevedeva singolare clausole, tutte a carico dei genovesi,  tenuti accuratamente all’oscuro:



  • -      le ceneri sarebbero state cedute a AMIU che, sotto la sua responsabilità e i costi a proprio carico, ne avrebbe curato la destinazione finale.
  • -      AMIU garantiva la disponibilità, presso la discarica di Scarpino, di adeguati volumi per fronteggiare situazioni particolari d’impossibilità a termovalorizzare i rifiuti, con oneri di smaltimento a suo carico.
  • -      AMIU s’impegnava a conferire direttamente all’impianto un quantitativo minimo garantito di rifiuti.
  • -      se la produzione dei rifiuti fosse stata inferiore al minimo garantito, AMIU ( il Comune) si impegnava a liquidare il corrispettivo al gestore del termovalorizzatore 



Oggi, con un netto calo dei residenti e una misera raccolta differenziata (35% circa, contro il 65% di Legge),  Genova produce 580 tonnellate al giorno di scarti indifferenziati, nettamente inferiori alle 900 tonnellate al giorno  previste dal contratto capestro del  1999.

Con l’inceneritore in funzione che termovalorizzava i rifiuti in funzione, potevamo scegliere se produrre tutti i rifiuti indifferenziati che servivano a rendere remunerativo l’impianto o pagare a vita le previste penali!

La bozza di contratto in nostro possesso non riporta quanto AMIU doveva pagare per tonnellata di rifiuto incenerito, ma possiamo assicurare che, tra tutti i sistemi di trattamento disponibili, compreso il riciclo, la termovalorizzazione è quella che costa di più, specialmente se nel conto s’inseriscono anche gli incentivi alla termovalorizzazione, pagati con le bollette 

I genovesi ringraziano per lo scampato pericolo, invece Danesi e Svedesi, che con i termovalorizzatori avevano deciso di riscaldarsi, sono costretti a importare rifiuti.



venerdì 23 novembre 2018

L'Accademia della Crusca boccia "Termovalorizzatore"

Tra i temi al centro del dibattito negli ultimi giorni c’è quello dello smaltimento dei rifiuti. La discussione è incentrata sull’utilizzo degli inceneritori. Qualche anno fa l’Accademia della Crusca spiegava già perché non si può accettare il termine “termovalorizzatore”.
“La risposta, da me curata, alla sua domanda è stata pubblicata nell’ultimo numero della “Crusca per voi” ( 36, aprile 2008). Gliela riporto di seguito e la informo che, se interessato, può richiedere l’abbonamento all’indirizzo abbonamenti@crusca.fi.it
“Il termine termovalorizzatore è relativamente recente e, anche se le datazioni riportate dai vocabolari non sono perfettamente in linea tra loro, possiamo collocarne la diffusione tra il 1999 e il 2000; la coniazione potrebbe precedere di poco. La parola è registrata nei Neologismi quotidiani di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle con attestazione dal quotidiano «La Stampa» del 2001 (la stessa datazione è riportata nel Devoto Oli 2007), mentre il GRADIT, Grande Dizionario Italiano dell’Uso di De Mauro (nel volume di aggiornamenti del 2003) anticipa la datazione al 1999 sempre con un riferimento allo stesso quotidiano; una significativa anticipazione al 1988 è invece registrata nel Sabatini Coletti 2008 in cui però non è riportata la fonte. Poiché si tratta di un termine relativo a una materia regolamentata da direttive europee, alle quali poi si rifanno le normative dei singoli Stati, si potrebbe pensare a un suo primo utilizzo proprio nei testi legislativi, ma in realtà n!
elle direttive europee sull’incenerimento dei rifiuti uscite tra il 1999 e il 2000 (la DE 1999/31/CE e la DE 2000/76/CE) si parla ancora soltanto di inceneritori.
Date queste premesse, è probabile che, come spesso accade per le nuove parole, anche termovalorizzatore sia stata creata in ambito industriale e diffusa per via mediatica: in realtà si tratta, dal punto di vista morfologico, di una parola ben formata con un prefissoide (termo- ‘calore’) altamente produttivo (come ad esempio in termoconvettore, termoregolatore, termosifone) e dal nome d’agente valorizzatore, a sua volta formato sulla base del verbo valorizzare con il suffisso -tore (quindi ‘colui o ciò che valorizza’).
Questa neoformazione solleva maggiori problemi a livello semantico: è nata infatti per indicare nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti che si fondano su criteri e utilizzano tecnologie in parte diverse rispetto a quelle dei tradizionali inceneritori, ma che non eliminano il processo della combustione dei rifiuti, con tutte le conseguenze che questo comporta sul piano dell’impatto ambientale. Le definizioni riportate dai vocabolari risultano infatti abbastanza opache se le confrontiamo con le discussioni e, in alcuni casi, le aspre polemiche che la realizzazione e la collocazione di questi impianti ha sollevato nell’opinione pubblica. Le definizioni, tutte pressoché analoghe, sono del tipo ‘moderno tipo di inceneritore in grado di trasformare determinati rifiuti in fonti energetiche alternative’ (GRADIT, 2003) oppure ‘impianto per l’eliminazione e il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani mediante combustione e successivo sfruttamento dell’energia termica prodotta’ (Neologismi quotidiani). Si tratta in realtà di impianti di incenerimento in cui i rifiuti vengono smaltiti mediante un processo di combustione ad alta temperatura che produce ceneri, polveri e gas come quelli preesistenti, con la differenza che il calore prodotto viene recuperato e utilizzato per produrre vapore e quindi energia elettrica.
Stando così le cose, una denominazione più esaustiva e meno ambigua dovrebbe essere quella di inceneritore con termovalorizzazione (ha circolato inceneritore con recupero energetico, che non ha avuto molta fortuna), ma è certamente scattata, a questo punto, la ricerca di brevità, propria del linguaggio tecnologico, e ne è derivata la semplificazione, che ha anche spostato il maggior carico semantico nel nome di agente dato alla parte dell’impianto che crea valore con la combustione dei rifiuti. Che poi questo spostamento semantico venga anche appoggiato dall’intenzione, da parte di produttori degli impianti e di amministratori, di allontanare nell’opinione pubblica l’idea della pericolosità ambientale e sottolineare il richiamo al valore dell’energia prodotta, è questione che va oltre le competenze del linguista”. “
Cordiali saluti,
R.S.
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

martedì 20 novembre 2018

C'è del marcio negli inceneritori in Danimarca


Inceneritore con pista da sci

L'uscita del vice-ministro Salvini che, a sorpresa, fuori dal contratto con i Cinque Stelle, ha rilanciato il salvifico ruolo dei termovalorizzatori per far sparire i roghi di rifiuti bruciati all'aperto in Campania e le decine di incendi, più o meno dolosi, di magazzini pieni di scarti differenziati, ha seguito una studiata tempistica.

Nei prossimi giorni a Copenhagen si inaugurerà un inceneritore con recupero energetico, di ultimissima generazione, la cui sicurezza è sottolineata dalla possibilità di sciarci sopra.

E il ministro multi-ruolo ha già annunciato che ci andrà, sci in spalla e in divisa da sciatore.

Dubitiamo che i selfie che il suo staff per la propaganda diffonderanno, per la gioia dei fan del capitano, ci faranno ammirare  il panorama intorno, che è quello che potete vedere nella foto che segue: in primo piano gli sciatori felici, sullo sfondo una selva di camini.

Il panorama ad ovest dell'inceneritore con pista da sci


Il fatto è che siamo sull'isola di Amager, a quasi due chilometri di distanza dalla Sirenetta e a quattro chilometri dal centro della città, isola da sempre utilizzata per scopi industriali e che ospita anche l'aeroporto internazionale.


Isola di Amager. Il cerchio rosso localizza i depositi di ceneri.

Se poi lo staff del primo ministro mandasse un drone ad esplorare i dintorni ( il cerchio rosso nella foto sopra) potremmo ammirare quest'altro panorama: i grandi depositi di ceneri prodotte dalla combustione dei rifiuti, da sempre usate dai danesi per riempire il fondo delle loro autostrade.

Depositi di ceneri prodotte dagli inceneritori di Copenhagen

Il nuovo inceneritore, nelle inedite vesti di parco dei divertimenti, brucerà 325.000 tonnellate anno di scarti prodotti dai danesi ma, per le leggi della chimica, questa massa non sarà trasformata tutta in energia e l'inceneritore produrrà un bel pò di rifiuti: 66.500 tonnellate di cenere pesanti e 6.500 tonnellate di ceneri leggere e quest'ultime, prodotte dai sistemi di filtrazione dell'aria, sono inevitabilmente cariche di sostanze pericolose e quindi, a tutti gli effetti, sono rifiuti tossici da smaltire con molta attenzione e con elevati costi.

Trasformare rifiuti urbani, al massimo puzzolenti, in rifiuti tossici a me non sembra una grande furbata.

A riguardo, posso fornire qualche dato sui nostri inceneritori, pardon, "termovalorizzatori": in media in un chilo di ceneri pesanti prodotte dai nostri impianti si trovano 34 nanogrammi di diossine, in un chilo di ceneri leggere, i nanogrammi di diossine salgono a 311.

Per la cronaca, in un chilo di rifiuti nostrani si trovano, in media, 2 nanogrammi di diossine. 

Lascio ai miei lettori la valutazione di quanto sia furba la scelta di privilegiare la "termovalorizzazione" al riciclo.

E ritorniamo al termovalorizzatore con pista da sci: quanto gli costa?

Questa meraviglia ha richiesto 520 milioni di euro, a cui si devono aggiungere i costi di esercizio, di manutenzione e quelli per la inertizzazione e lo smaltimento delle ceneri. 

Una bella cifra. che i danesi dovranno pagare producendo tutti i rifiuti che servono ad alimentare l'impianto e questo per almeno 25 anni, quanti ne servono per ammortizzare l'investimento.

Con la scelta di teleriscaldare i danesi con  27 inceneritori in funzione, i cittadini di Copenhagen e tutti i Danesi  possono dare un addio a serie politiche di riduzione dei rifiuti e di riciclo.

Produzione e trattamenti di scarti urbani (2015) nei paesi membri dell'Unione Europea  

Ed è proprio cosi: un danese produce ogni anno 788 chili di scarti urbani, di cui il 54% è incenerito e il 42% riciclato, un vero record europeo.

Noi italiani, con tutti i nostri difetti, di scarti ne produciamo quasi la metà (488 chili),  di cui ricicliamo il 47,5% (meglio dei danesi) e se i Cinque Stelle al governo riuscissero a realizzare quanto previsto nel contratto, ovvero estendere a tutto il paese il sistema di raccolta "porta a porta " adottato nel Trevigiano, con oltre il 65% di raccolta differenziata, potremmo certamente chiudere tutte le discariche e dare un addio ai termovalorizzatori nostrani.

Per la cronaca è quello che ha deciso di fare la regione Liguria, a guida forza Italia e Lega: nessun inceneritore, bocciati per i costi eccessivi, differenziata al 65% con il porta a porta, produzione di metano da immettere in rete dalle frazioni organiche, massimo recupero di materiali da usare in nuove produzioni. 
E questa scelta la possiamo fare, proprio grazie al fatto che una decina di anni fa abbiamo bloccato un inceneritore (anche lui su modello danese) sotto la Lanterna ( il faro simbolo della citta) e anche perchè la grande discarica di Scarpino, alle spalle della città, finalmente è stata messa in regola e non potrà più ricevere gli scarti indifferenziati.

Se poi anche Salvini, che ama gli italiani, volesse abolire l'anomalia tutta nazionale, di aver fatto diventare per legge i nostri scarti una fonte di energia rinnovabile, gliene saremmo grati.

Questa norma, che la solita anonima manina ha introdotto quando abbiamo recepito una norma europea per incentivare le energie rinnovabili, ci costa 390 milioni di euro all'anno, tanto vale il regalo fatto ai gestori degli inceneritori nostrani.

Sono soldi pagati, a loro insaputa, da tutti gli italiani con la bolletta della luce, nella voce A3 delle tasse a carico.

Andate a controllare, per avere un'idea di quanto vi costa mantenere una cinquantina di "termovalorizzatori".

Pensateci, quando tra qualche giorno vedrete Salvini in trasferta sciistica in Danimarca.

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mercoledì 7 novembre 2018

Chi semina vento...



N

Nei fine settimana di metà ottobre, i “social” sono stati inondati di selfie di bagnanti sdraiati sulle spiagge e sugli scogli di Liguria, felici della lunga estate 2018. 
A fronte di questa anomala stagione, che stava ingannando roseti e pipistrelli, i primi in fiore e i secondi a caccia di insetti, la piccola minoranza di italiani con qualche antico ricordo di meteorologia e termodinamica, non era affatto tranquilla.
 La loro preoccupazione derivava dall’alta temperatura del mare, indice di una anomala quantità di energia termica accumulata nel corso della torrida estate nelle acque del Mediterraneo, pronta a scatenarsi all’inevitabile arrivo dei fronti freddi.
E quest’anno, lo scontro titanico tra le masse d’aria calde, provenienti dal Sahara, sature di umidità raccolta durante il sorvolo del caldo mar Tirreno e quelle fredde, provenienti dal nord è arrivato in anticipo.
Le condizione meteo delle disastrose alluvioni che, “normalmente” colpiscono il genovesato nei primi giorni di novembre, stavolta si sono scatenate il 29 ottobre, giorno di allerta rossa.
E quest’anno l’energia termica accumulata in mare ha preferito scaricarsi nel vento, con raffiche ad oltre 150 chilometri all’ora e nelle onde, con  “cavalloni” che hanno raggiunto gli otto metri di altezza.
Poche ore di questa furia hanno cancellato diversi chilometri di costa cementificate  per essere trasformate in box galleggianti e sulle sovrastrutture balneari fisse che nel tempo, nell’ assoluta indifferenza degli organi di controllo, avevano coperto scogli e spiagge liguri.
E ironia della sorte, il mare si è  incattivito proprio su quelle splendide passeggiate a mare (Nervi, Portofino) che due anni fa una banale  operazione di marketing aveva trasformate in “red carpet”.
E sulla linea di costa, a distanza di pochi anni da un uragano di simile violenza, ancora una volta sono stati gli alberi a pagare il costo più alto, venuti giù come birilli. 
Da noi, la buona sorte, ma anche lo stato di allerta e l’esperienza collettiva dei disastri degli ultimi anni hanno evitato gravi danni alle persone, ad esclusione di una signora del savonese colpita dalla caduta di un albero.
Nelle altre regioni italiane, dal bellunese alla Sicilia, lo stesso scontro tra masse d’aria a diversa temperatura, insieme alla distruzione di boschi, strade, abitazioni, ha provocato una strage,  
trentadue morti, tra cui i componenti di due famiglie siciliane che stavano festeggiando un compleanno in una casa costruita abusivamente nell’alveo di un torrente che, tornato a riappropriarsi dei suoi spazi, li ha inesorabilmente travolti.
E di fronte a questo disastro umano e materiale il ministro “multiruolo”, ossessionato dal dare sicurezza agli italiani non si fa scappare l’opportunità di dare in pasto al popolo un nuovo “untore”, da aggiungere ai migranti e ai richiedenti asilo: l’ambientalista da salotto.

 E dal “governo del cambiamento” nemmeno una parola sul fatto che questo ottobre, a livello europeo e mondiale, sia stato il più caldo degli ultimi decenni e tutto tace sul rispetto degli accordi sul clima, sottoscritti nel 2016 dal governo italiano che, con quella firma,  si è impegnato a ridurre del 40 percento le nostre emissioni di gas che alterano il clima.
E tornando alla Liguria, c’è da scommettere che nulla cambierà. 
Riparati i danni si continuerà, come se nulla fosse successo, con il lucroso assalto allo sfruttamento e occupazione delle nostre coste, con la richiesta di tanti massi a protezione di porticcioli e bagni che si continuerà a realizzate con solide strutture inamovibili.

In attesa della prossima tempesta che,  l’inascoltata Cassandra, facilmente predice sarà  ancora più distruttiva.