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mercoledì 31 ottobre 2012

La grande guerra del Clima

Sandy è appena passato su Santo Domingo
Il tornado Sandy, prima di impattare sugli Stati Uniti ha provocato morte e distruzione  ad Haity (52 morti), Cuba (11 morti), Bahama (2 morti).

Oltre alle vittime e ai danni alle modeste case cubane, l'uragano ha distrutto il 70% dellla produzione agricola di queste isole, un danno peggiore dell'attuale blak out di New York.


Il dopo Sandy a Santiago de Cuba 


Tutto questo non ha avuto la stessa copertura mediatica dei morti (50 vittime) e dei danni (50 miliardi di dollari) nel New Jersey e a New York.

Questa ennesima batosta sull'economia statunitense, provocata dalla  Terza Guerra Mondiale, quella che il Clima ha scatenato, senza dichiarazione, contro tutti i Paesi del Globo, cambierà qualche cosa nella campagna elettorale in corso negli Stati Uniti, che tra pochi giorni dovrà scegliere il suo nuovo Presidente ?

Temo di no!

Eppure i dati sono chiari, come riporta il numero di settembre 2012 di National Geographic, che ha dedicato la copertina ai dsastri del clima ed un lungo articolo il cui titolo afferma "Il tempo sta diventando selvaggio".

Tra il 1980 e il 1995, negli USA ci sono stati 46 eventi climatici disastrosi (siccità, ondate di calore, uragani) ognuno dei quali ha provocato danni superiori a un miliardo di dollari. In questi 15 anni il Clima ha provocato, negli USA, 339 miliardi di dollari di danni.

Tra il 1996 e il 2011 (15 anni) gli eventi catastrofici registrati negli Stati Uniti sono stati 87,  con perdite economiche ammontanti a 541 miliardi di dollari.

Ad oggi,  i danni peggiori (146 miliardi di dollari) li ha prodotti l'uragano Katrina nel 2005.

Sono costi assolutamente confrontabili ai costi (militari) di una guerra moderna: un anno di guerra in Afganistan (2010) costa, al governo di Stati Uniti, 105 miliardi dollari.

Non si conoscono i costi in vite ( civili) e beni distrutti nello stesso anno!

Temo ( spero) che sarà necessario uno shock ancora più forte, un tremendo evento climatico con effetti simili a quello della bomba atomica su Hiroshima, perchè anche gli americani si convincano che il loro stile di vita altamente energirvoro,  non garantisce la durata nel tempo della loro organizzazione sociale, come pure quella di tutti gli  altri popoli,  coinvolti loro malgrado, dai grandi cambiamenti climatici in atto.

Intanto, anche dalle nostre parti, prepariamoci ad affrontare il peggio con i minori danni possibili.


sabato 27 ottobre 2012

Quanto ci costa produrre acciaio in mezzo alle case?


Dopo il Convegno "GENOVA chiama TARANTO", organizzato da Legambiente, su consiglio del vice Sindado Stefano Bernini, ho scritto questa lettera, dove propongo un grande studio nazionale che finalmente, senza dubbi, quantifichi il costo economico di un modello di sviluppo incurante dell'inquinamento prodotto, in termini di salute perduta.

Al vice Sindaco di Genova

Caro Bernini

come emerso dall'incontro di ieri "Genova chiama Taranto", organizzato da Legambiente, è ancora diffusa l'idea che il lavoro a tutti i costi possa essere contrapposto alla qualità dell'ambiente in cui vivono lavoratori e abitanti di aree industrializzate.

Questa pericolosa contrapposizione è possibile anche perché non sono facilmente percepibili  e quantificabili i costi sanitari dell'inquinamento.

Genova Cornigliano , avendo ospitato per  una cinquantina d'anni, a poche decine di metri dalle case, un'acciaieria a ciclo integrato,  questi costi li ha già ampiamente sperimentati e pagati.

Tuttavia, con la chiusura della cokeria, da dieci anni Genova Cornigliano, e la città nel suo complesso, sta anche sperimentando una migliore qualità dell'aria; quindi, potrebbe documentare quanto questo miglioramento possa aver migliorato lo stato di salute dei genovesi (meno ricoveri ospedalieri, minore mortalità, maggiore aspettativa di vita sana)

A Genova esistono i dati e le competenze per fare questo complesso studio i cui risultati potrebbero essere di grande interesse scientifico.

Mi riferisco all'ex dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell' IST con i suoi servizi di Epidemiologia, Chimica e Tossicologia Ambientale, ai Registi di Mortalità, Tumori, Mesotelioma, al Dipartimento Ambiente della Provincia di Genova, all'ARPAL.

Ritengo un'occasione irrinunciabile che il Comune di Genova si faccia promotore di una ricerca multidisciplinare, d'interesse nazionale, che valuti i costi ambientali e sanitari di un modello di sviluppo che ha ignorato il suo impatto ambientale e sanitario e ha scaricato questi extra costi sui bilanci pubblici.

Giudico opportuno che, con un gemellaggio tra i comuni di Genova e Taranto, lo studio sia esteso anche alla popolazione di Taranto, in particolare quella maggiormente coinvolta dalle emissioni delle acciaierie.

Le analogie tra Cornigliano e Tamburi sono rilevanti e uno studio congiunto potrebbe certamente ridurre l'incertezza statistica dei risultati, insita in questi studi.

A riguardo, le ricordo, che l'edificio e il terreno dell'IST sud sono di proprietà del Comune di Genova,  dati in comodato d'uso gratuito alla Direzione IST (oggi IST-San Martino), a condizione che qui si faccia ricerca sulla prevenzione dei tumori di origine professionale ed ambientale.

La realizzazione di questo grande studio, oltre ad onorare questo accordo, potrebbe rilanciare il ruolo di Genova come Centro Nazionale di Ricerca sulla Prevenzione Primaria dei Tumori.

Infine, mi permetto di suggerire che negli obiettivi dello studio debba essere inserito anche la realizzazione di un metodo di monitoraggio permanente, in  grado di stimare  l'andamento delle malattie dei genovesi, riconducibili ad esposizioni ambientali, anch'esse adeguatamente monitorate.

Questo monitoraggio, potrebbe essere il principale strumento da mettere a  disposizione dell'Osservatorio Salute-Ambiente, che la passata amministrazione ha deliberato e che la sua Giunta dovrebbe al più presto riattivare.

Certo del suo interessamento e a sua disposizione per eventuali approfondimenti

dr. Federico Valerio

martedì 23 ottobre 2012

Mi si è sciolto il polo Nord

Quest'immagine è molto efficace e comunica il disagio dell'orso polare sulla banchisa di ghiaccio in fase di disgelo.
Possiamo avere una forte empatia nei confronti del povero orso, alle prese con una improbabile caccia alla foca, ma il rischio di questa immagine è che il lettore non percepisca la vera entità del problema, il suo diretto coinvolgimento.
Il Polo Nord è così lontano e gli orsi li vediamo solo allo zoo.
Forse, è più efficace questa seconda immagine satellitare che riprende l'estensione estiva dei ghiacci del Polo Nord nel 1979, nel 2003 e  qualche mese fa nel 2012.


Queste tre riprese dallo spazio del polo Nord, ci raccontano che in 43 anni, la superficie dei suoi  "ghiacci perenni" si è sensibilmente e progressivamente  ridotta.
E, da quest'anno, e' una realtà il mitico passaggio a NordOvest, la rotta che frotte di esploratori hanno inutilmente cercato dai tempi di Cristoforo Colombo, bloccati dai ghiacci, sino ad ieri  ritenuti perenni.
Ormai e' un dato di fatto: d'estate, senza rompighiaccio di servizio, una nave da carico può passare rapidamente dall'Oceano Atlantico, all'Oceano Pacifico e viceversa.
Se qualcuno aveva dei dubbi sull'aumento della temperatura del Pianeta e sui suoi effetti, ora è servito.
E non ci sono problemi solo per orsi e foche.
Il disgelo del Polo Nord, una volta avviato, può accelerare per il semplice fatto che il mare blu, liberato dal ghiaccio, assorbe molto più energia solare del ghiaccio che, invece, riflette i raggi del Sole. E mare più caldo, disgelo maggiore, con effetto a catena.
E l'acqua dolce che le grandi masse di ghiaccio in dissoluzione liberano, è piu' leggera, meno densa di quella salata e questo certamente influenza l'andamento delle grandi correnti marine, le quali, a loro volta, influenzano il clima a livello Planetario e la pesca.
Che fare?
Intanto, è fondamentale  rendersi conto che il problema esiste e che la causa principale è il modello di sviluppo a termine che si è imposto a livello mondiale, negli ultimi 70 anni.
Il secondo passo è essere in tanti a fare pressione sui propri governi per una rapida adozione delle misure definite dagli accordi di Kioto, le uniche che possono rallentare e invertire i cambamenti climatici.
Il terzo e decisivo passo: scegliere subito dei governanti informati, capaci e coraggiosi per pilotare, a livello mondiale, le scelte ormai ineludibili.
E queste scelte per i nostri Paesi opulenti sono: rapido passaggio alle fonte di energia rinnovabili, alta efficenza energetica, consumi individuali sobri, equa distribuzione ed uso delle risorse del Pianeta, in grado di garantirne la disponibilità nei millenni a venire.



lunedì 22 ottobre 2012

Pesci alieni sulle nostre tavole

Se fin da piccoli, i vostri genitori vi portavano con loro, quando andavano a comprare il pesce, avrete certamente notato che, oggi, sui banchi non ci sono più i pesci di una volta.
Ai pesci famigliari per forma e colore (sgombri, naselli, orate...), sempre più piccoli,  si sono affiancati pesci strani, come pure pesci di allevamento, pratica sconosciuta, fino a pochi anni fa.
Se poi avete la pazienza di leggere i cartellini, noterete come molti di questi pesci vengono da mari remoti (oceano Atlantico, Nuova Zelanda...).
Potreste pensare che questi cambiamenti siano i vantaggi della globalizzazione e dei potenti mezzi messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnica che, nel giro di 24 ore, a bordo di veloci aerei da trasporto, fanno arrivare alle nostre tavole, pesci freschi, con occhio ancora vivo, anche se pescati a migliaia di miglia di distanza.
Temo, invece, che questi cambiamenti siano il segno di qualche cosa di grave; in particolare tutto ciò significa che zone ricche di pesce, come il nostro Mediterraneo, che per millenni hanno sfamato i popoli che si affacciano su questo mare, sono al collasso.
E siamo costretti a raschiare il barile.
Certamente, come mostra la Figura ( linea in blu)   alla fine degli anni '80, sono collassati le zone di pesca sui banchi di Terranova, nel nord Atlantico, dove per secoli si era pescato, in grandi quantità,  il merluzzo.
Andamento della pesca di merluzzi nei banchi di Terranova ( 1850-2000)

Dalla metà dell' 1800 ai primi anni sessanta, il pescato era in equilibrio con la nascita di nuovi merluzzi, ma nel 1980 con nuovi mezzi di pesca e senza nessuno che imponesse regole, si è negato il futuro ai merluzzi di Terranova e, dal 1992, insieme alla biomassa che li nutriva ( in rosso nella figura) in quei mari non si trovano più merluzzi e neppure  pescatori.
E i grandi pescherecci oceanici hanno cercato nuovi mari da razziare....

domenica 21 ottobre 2012

Di quanta Terra abbiamo bisogno?




Se qualcuno avesse chiesto a vostro bis-nonno di quanta terra aveva bisogno per vivere decentemente lui e la sua famiglia, lui  avrebbe saputo rispondere, senza esitazione.
La sua generazione aveva ben chiaro quanto grano, quanto fieno, quanta legna, ogni anno produceva una determinata superfice di campo e di bosco. E la stessa generazione sapeva anche quanta superfice di pascolo ci voleva per allevare, allo stato brado, pecore e mucche.
Se poi gli chiedevate quanta poteva essere la superfice utile per rigenerare le deiezioni umane ed animali della fattoria, non avrebbe avuto esitazioni, pochi metri quadrati, da usare a rotazione.
Oggi, nessuno, io per primo, ha la minima idea di quanta Terra, ogni anno, abbiamo bisogno per il nostro vivere quotidiano: mangiare, vestirci, muoverci, produrre beni e servizi, ripararci dal caldo e dal freddo, riciclare i nostri avanzi, goderci l'happy hour quotidiano...
In sintesi, ognuno di noi quanto pesa sulle risorse rinnovabili che, grazie al Sole, il Pianeta da circa 200.000 anni (da quanto i nostri progenitori, Homo e Mulier sapiens sapiens, hanno mosso i primi passi dal Corno d'Africa), ci regala generosamente?
Non è certamente un conto facile, ma qualcuno ci ha già pensato per noi, sviluppando il concetto di "impronta ecologica".
Il concetto di "impronta ecologica" è stato introdotto nel 1996 da Mathis Wackernagel e William Rees nel loro libro "Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth." (La nostra impronta ecologica: come ridurre l'impatto umano sulla Terra), pubblicato in quell'anno.
A partire dal 1999, il WWF aggiorna periodicamente il calcolo dell'impronta ecologica nel suo Living Planet Report.
Nel 2003, Mathis Wackernagel e altri hanno fondato il Global Footprint Network, (GFN) che si propone di migliorare la misura dell'impronta ecologica e di conferirle un'importanza analoga a quella del prodotto interno lordo.
Tornando a vostro bis-nonno, lui sapeva bene quanta legna doveva tagliare ogni anno dal suo bosco per riscaldarsi,  in modo da garantirsi che, anno dopo anno, con la crescita di nuovi alberi, nuova legna fosse garantita per lui e la sua discendenza. Sapeva quindi, quanti ettari di boschi gli avrebbero garantita la disponibilità continua di legna, in equilibrio con le sue necessità.
I ricercatori del Global Footprint Network  hanno calcolato gli ettari "virtuali" presenti sul  Pianeta, da cui sia possibile ottenere risorse rinnovabili (fibre vegetali, proteine animali e vegetali, alimenti) e quanti ettari "virtuali" sono disponibili per assorbire, senza problemi, le nostre scorie, in particolare l'anidride carbonica che immettiamo in atmosfera, ogni volta che bruciamo qualche cosa (legna, benzina, carbone, metano..).
L'anno scorso, con 7 miliardi di Homo Sapiens Sapiens sul groppone, la buona madre Terra metteva a disposizione di ognuno di loro, di noi, ben 1,8 ettari "virtuali", ettari che il GFN definisce "globali": un pezzo di Paradiso Terrestre di 18.000 metri quadrati, quasi tre campi di calcio.
Ebbene, un cinese, oggi ha una impronta ecologica pari a questa superfice, quindi se i nostri consumi
fossero uguali a quelli dei cinesi, saremmo in pace con nostra Madre Terra che ci dà tutto quello che consumiamo e che ci serve per vivere.
Peccato che ogni Italiano, certamente meno sobrio di un cinese, abbia bisogno di 5,5 ettari globali, equivalenti a 8,6 campi di calcio
In assoluto, tra tutti i paesi del mondo, il primato negativo spetta al cittadino americano medio, il quale, per soddisfare il suo irrinunciabile stile di vita (the American Way of Life)  ha bisogno di 9 ettari di Pianeta: 14 campi di calcio.
La conclusione di tutto ciò, è che dal 1975 l'umanità, nel suo complesso, ha consumi annuali superiori a quelli rinnovabili che l'intero Pianeta ci mette a disposizione.
Di qui, lo slogan che avremmo bisogno di un altro Pianeta: ma di Terra ce nè una sola !
Io comincio ad essere un pò più preoccupato.
Non so voi!




venerdì 19 ottobre 2012

40 anni dopo "I limiti dello sviluppo"

Era il 1972, quando uscì la prima edizione di un libro straordinario, illuminante per quelli che, come me, stavano intuendo che le scelte energetiche, la tutela della qualità dell'ambiente fossero cose importanti per tutti noi e per l'intera Umanità.
A dir la verità, la traduzione italiana ha fatto un cattivo servizio agli autori, in quanto il titolo originario "Limits to Growth" (I Limiti alla Crescita), ha ben altro significato.
E ovvio che anche il titolo originario non è stato gradito da finanzieri ed economisti, come il nostro attuale primoministro, per i quali "CRESCITA (esponenziale) " è un mantra.
Nel 2004, a firma degli stessi autori  è uscito il 3° aggiornamento  (I nuovi limiti dello sviluppo) in cui il programma WORL3, ancora una volta, ha simulato gli effetti globali di diversi modelli di sviluppo.

Le conclusioni sono che se non si fa nulla di serio, il collasso mondiale è garantito e, molto probabilmente, nel collasso mondiale, ci siamo già dentro.
Tuttavia, quanto elaborato da WORLD3 ci conferma che è ancora possibile metterci in equilibrio con le risorse del Pianeta e garantire ad otto miliardi di umani, e alle loro future discendenze, di continuare a popolare il Pianeta nei millenni a venire.
Le principali condizioni perchè tutto ciò avvenga, sono:
- ogni nucleo famigliare mette al mondo solo due figli
- le fonti di energia non rinnovabile si riducono dell'80%.
Diciamo pure, obbiettivi difficili, con una classe politica che pensa decisamente ad altro, ma si potrebbe fare.
Per chi fosse interessato, è possibile scaricare la mia recente presentazione sui primi 40 anni di I Limiti alla Crescita.

sabato 13 ottobre 2012

A Capalbio la centrale a biogas non s'ha da fare

Non è necessario evocare i fantasmi di una pandemia da Clostridium botulinicum per opporsi alla realizzazione della centrale a biogas di Capalbio.
 A pochi passi da una riserva naturale e dal lago di Burano, una centrale non si può fare, lo dicono con chiarezza le linee guida del ministero.
E una centrale a biomasse che, senza teleriscaldamento,  butta letteralmente all'aria l'80% dell'energia contenuta nel biogas, non è autorizzabile, per lo meno in Germania.
Nel Bel Paese si può fare questo ed altro.
Ad esempio, si possono spandere nei campi, senza controlli e senza trattamenti, i fanghi residuali alla digestione anaerobica.
Le buone pratiche, attente alla salute dei campi e degli abitanti sono diverse: il digestato si composta in bio celle,  in ambiente  ricco di ossigeno e a temperature elevate. In questo modo batteri pericolosi come salmonelle e escherichia coli sono eliminati e i tanto temuti clostridi, sono tenuti a bada, in quanto, in presenza di ossigeno, non proliferano e ci pensano altri batteri "buoni" a togliere loro il cibo.
E, i clostridi, soffocati dall'ossigeno e tenuti a pane ed acqua, sono costretti ad incistarsi, in attesa di tempi migliori.
 Per loro non è una novità'. Sono  sul Pianeta da alcuni miliardi di anni, fin dagli albori della vita, quando c'era una bella atmosfera a base di metano e anidride carbonica.
 Poi sono comparse le piante verdi che hanno cominciato a pompare in atmosfera un pericolosissimo inquinante: l' ossigeno.
E i  poveri  clostridi si sono dovuti infognare nei fanghi di palude, nel terra buia.
E qui, hanno continuato a vivere tranquilli, producendo quel gas di palude (metano) che tanto incuriosi' Alessandro Volta.
Poi, per fortuna vennero gli umani e le loro conserve e marmellate che, se non ben sterilizzate, possono restituire alla vita, i poveri clostridi.
Il botulino che alcuni clostridi producono e' un potente veleno, mortale, ma toglie anche le rughe alle signore fuori del tempo.
 Non è strana la Natura?

Per chi fosse interessato, a questo Link è possibile scaricare la mia presentazione, che il moderatore, il giornalista Giancarlo Santalmassi, ha giudicato troppo dettagliata, costringendomi a chiudere dopo 28 minuti e 25 secondi,  sui 25-30 minuti che gli organizzatori mi avevano dato.

https://dl.dropbox.com/u/47746041/Documenti%20pubblici/Biogas%20Capalbio%202012.pptx

 Capisco, che ragionare insieme su un problema complesso, non era l'obiettivo degli organizzatori, ma non mi interessava cercare il facile applauso come, con mio dispiacere, Gianni Mattioli, ha fatto, cavalcando il pericolo di contaminazione da clostridi, paventato dal prof Helge Bohnel.
Peccato che la tesi del prof Bohnel, veterinario  (biogas = intossicazione da botulino) non abbia nessun fondamento, scientificamente dimostrato.
Anche in questo modo si ammazza sul nascere la difficile scelta di un nuovo modello di sviluppo, in cui il biometano non può non esserci.


ps: il prof Bohnel afferma che spore di clostridium si trovano anche nel compost. Alla mia domanda, "Allora che cosa facciamo dei rifiuti organici" ha risposto: "Li bruciamo" .



venerdì 12 ottobre 2012

A Capalbio No al Biogas, si al biometano.

Svizzera: distributore di biometano
Domani, 13 ottobre, sono a Capalbio, invitato da Italia Nostra al convegno " Biogas da biomasse coltivate: i perchè del no. Mi è stata affidata una relazione sui profili sanitari ed ambientali, insieme al prof Bohnel, che approfondirà il tema sui rischi per la salute da clostridium botulinicum
Si tratta del pericolo botulino , microorganismo che non ama l'ossigeno e che se ingerito in conserve contaminate, in quanto non correttamente pastorizzate, può essere mortale.
A quanto ho capito, il botulino fa parte della sterminata famiglia di microorganismi anaerobi che banchettano nelle cisterne degli impianti a biogas e che possono trovarsi nei fanghi residuali al trattamento (digestato).
In una gestione sbrigativa e diciamolo pure, all'italiana, questi fanghi sono sparsi tal quale nei campi come fertilizzanti, ma la presenza del botulino può creare dei problemi.
A quanto pare non sono gli uomini a rischio, ma le forme di parmiggiano, nei casi in cui il botulino dall'erba riesce a passare al latte e di qui alle forme di formaggio che scoppiano per il gas che il botulino sviluppa.
Domani ne saprò di più e vi farò sapere.
Comunque, anche in questo caso, meglio prevenire, ossia compostare il digestato con cippato di legno come si fa neglimpianti di biogas gestiti con serietà.
L'ambiente ricco di ossiggeno e le alte temperature del compostaggio, eliminano certamente il botulino, come eliminano altre brutte bestiole con le salmonelle e gli escherichia coli.
Nel frattempo ho scoperto che metà Europa ( Svizzera, Francia, Germania, Austria, Olanda)  con i trattamenti anaerobici degli scarti biodegradabili è andata oltre. In questi Paesi, il biogas è depurato e immesso direttamente nella rete di distribuzione del gas. E miracolo dell'efficenza di questi Paesi, ognuno di loro ha anche predisposto le specifiche tecniche che autorizzano a questo uso il biogas.
I vantaggi del biometano sono numerosi, tra i primi, il fatto che con questo sistema non si aggiunge nessuna nuova fonte inquinante a quelle già esistenti e il biometano ha gli stessi bassisimi fattori di emissione del metano siberiano, i più bassi in aasoluto se vogliamo scaldarci, fare una doccia, andare in macchina ( a metano), produrre energia elettrica.


sabato 6 ottobre 2012

L'Europa in allarme per il benzo(a)pirene.

Nei Paesi dell'Unione Europea, tra il 20 e il 29% della popolazione che vive in città è esposta a concentrazioni di Benzo(a)Pirene (BaP) nell'aria, che superano il valore obiettivo di 1 nanogrammo per metro cubo.
Questo è quanto emerge dal Rapporto 2012 sulla qualità dell'aria nei paesi dell'Unione Europea.
Il problema è serio, in quanto il BaP è un potente cancerogeno, riconosciuto pericoloso per l'uomo.
Anche le stime della quantità di BaP emessa da tutte le combustioni che avvengono nella Unione Europea sono preoccupanti: tra il 2001 e 2010 si è  registrato un aumento del 14%.
Principale responsabile ( 84% sul totale) di queste emissioni è il settore commerciale e quello abitativo e, in questo caso, almeno in paesi come la Danimarca, dove il fenomeno è stato studiato,  è stato messo sotto accusa il crescente ricorso alle biomasse per il riscaldamento.
Ma anche in Italia aumentano le emissioni di BaP e temo che anche nel nostro paese, il proliferare di impianti a biomasse non sia estraneo al fenomeno.
Ricordo che, tra tutti i combustibili,  la combustione della legna ha uno dei più elevati fattori di emissione del benzopirene (quantità di inquinante  emesso a parita di energia prodotta).
La mappa allegata mostra, con diversi colori, la concentrazione media annuale di BaP registrata nelle stazioni di monitoraggio operative in Europa nel 2010.
I punti e i triangoli rossi segnalano concentrazioni medie superiori a 1,2 nanogrammi per metro cubo, in colore arancio, le stazioni dove le concentrazioni erano comprese tra 1 e 1,2 nanogrammi.
Per l'Italia, appare critica la situazione nella pianura Padana  (ad onor del vero con la presenza di numerose centraline). Nel Sud spicca Taranto, certamente a causa delle emissioni delle cokerie ILVA.
Fino al 2001, il "bollino rosso" era anche su Genova. E' letteralmente sparito da un giorno all'altro ( il 2 febbraio 2002) insieme allo spegnimento definitivo della cokeria gestita dalla stessa azienda.
Concentrazione media annuale di BaP (2010). In rosso concentrazioni maggiori di 1,2 nanogrammi per metroc cubo


venerdì 5 ottobre 2012

A Taranto aumenta il consumo di farmaci antitumorali: procurato allarme? Procurato allarme o utile informazione sui consumi di farmaci a Taranto?


Cosa aveva detto di così grave la dottoressa  Moscogiuri, responsabile del Controllo spesa farmaceutica della ASL di Taranto, tanto da rischiare una sanzione disciplinare?

Questa è un’agenzia di stampa uscita qualche giorno fa che ne riporta il pensiero:

 Nel primo semestre del 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente nella Asl di Taranto si e’ registrato un aumento di spesa pari a circa 1 milione di euro per farmaci antitumorali. Complessivamente si e’ avuto un incremento di spesa di circa 1,5 milioni di euro per i medicinali innovativi per la cura di varie patologie: tra questi, i farmaci anticancro incidono per circa il 60%. Sono i dati preliminari elaborati da Rossella Moscogiuri, responsabile controllo spesa farmaceutica dell’Asl tarantina. (AGI).
Come si può leggere, la dottoressa, nell'ambito delle proprie funzioni, ha descritto un fatto di cui lei e' certamente informata: nell'ASL di Taranto, le spese per i farmaci anticancro rappresentano la quota maggiore (60%) delle spese farmaceutiche e,  nel corso del primo semestre del 2012, questo costo e' aumentato.

A dir la verità dal comunicato non si capisce bene il valore dell'aumento, tuttavia, come potete notare, da questo comunicato non risulta che la dottoressa abbia ha affermato che i tumori a Taranto siano aumentati del 50%, come, nei giorni successivi, ha riportato la stampa nazionale.
Ma  in quale contesto la dottoressa ha rilasciato queste informazioni?
Anche qui, nell'ambito dei propri obblighi professionali (acquisizione dei crediti formativi per l'aggiornamento), in particolare durante il suo intervento nel Convegno nazionale  sulle spese sanitarie, tenutosi in Sardegna.
Invece di apprezzare la sua professionalità,  l'assessore  regionale alle politiche della salute, Ettore Attolini, si e' affrettato a minacciare pesanti sanzioni disciplinari per l'incauta dottoressa, quasi certamente  senza neanche aver verificato il contenuto della sua relazione, molto probabilmente male interpretato da qualche giornalista in cerca di scoop.

A sua volta, l'assessore ha dovuto ammettere che i ricoveri ospedalieri per tumori sono aumentati, ma solo del 10% (sic) e che la maggior parte dei ricoverati per tumore viene  da  fuori Taranto.

Se la maggior parte di questi malati venisse da Brindisi, città che ospita una delle più grandi centrali c a carbone d'Italia, se fossi l' assessore, comincerei a preoccuparmi.

Per chi segue questo Blog una notizia a latere: un ciclo di chemioterapia per un malato di tumore polmonare costa 50.000 euro e, in assenza di una diagnosi precoce, le aspettative di vita del paziente sono bassissime.

Non basterebbe questo dato per investire con decisione sulla prevenzione primaria, che a Taranto, a Brindisi e nel resto del Paese, significa, nell'ipotesi meno radicale, fare rispettare le leggi a tutela dell'ambiente e della salute umana, dentro e fuori alle fabbriche?