Venti anni fa, un pezzo della collina, che De Andrè rese celebre con la canzone dedicata a Boccadirosa, ha deciso di andarsene verso il mare, durante un forte temporale, portandosi dietro una casa e un pezzo di strada.
Da allora, il percorso di un microscopico torrentello si è spostato e tutte le volte che arriva un nubifragio, le millenarie stradine mattonate (creuse) che portano a mare si trasformano in cascate d'acqua e violenti torrenti.
Dopo l'ultimo nubifragio, quello del 19 gennaio, durante il quale a Sant'Ilario nel giro di poche ore sono caduti 175 millimetri di pioggia, il dissesto della collina è aumentato, con muretti a secco crollati, pietre portate a valle, le croese ancor più impraticabili.
E ad aumentare il degrado e il pericolo, ci si sono messi anche i cinghiali che nelle fasce abbandonate trovano rifugio e disponibilità di cibo. E per procurasi tuberi e lombrichi questi bestioni, arano il terreno e buttano giù muretti a secco, tutto materiale che le piogge porta a mare lungo i nuovi percorsi tracciati dai cinghiali scavatori.
I pochi abitanti di questa zona, gli eredi dei contadini ed allevatori che, fino a pochi decenni or sono, custodivano queste terre, invano hanno chiesto l'intervento del Comune di Genova, alle prese con decine di altre più recenti frane e con le casse sempre più vuote.
Comunque, per cercare di evitare grane future, anche qui il Comune ha messo un bel cartello che ti avvisa che c'è una frana e che non devi "avventurarti" sul suo corpo!
Una scusa per il mancato intervento è che l'assenza di strade carrabili impedisce l'accesso dei mezzi comunali e il trasporto sul posto dei materiali necessari all'intervento.
Certo, per chi abita da queste parti ci vogliono fiato e buone gambe e chi, da queste parti, chiede l'apertura di strade per l'accesso alle ambulanze, spesso non ha affatto a cuore la salute dei vecchietti, ma pensa alla crescita stratosferica del valore del rustico ristrutturato e della casa abusiva che prima o dopo qualcuno condonerà.
Un altro problema è sapere chi deve tenere puliti i greti dei torrentelli, che qui si chiamano "bei", e che un tempo servivano a portare l'acqua delle sorgenti ai campi, ricavati a fatica sui terrazzamenti.
La legge prescrive che la pulizia la devono fare i proprietari dei campi che il "beo" percorre, ma se anche dei proprietari ci fossero, mancano le forze e la volontà, visto il generale abbandono.
E la collina di Sant'Ilario che per millenni, curata dall'uomo, ha resistito agli eventi climatici ora, in pochi decenni, se ne scende rapidamente a mare.
Le antiche "fasce" di Sant'Ilario, che hanno trasformato la collina, esposta a sud, in terreno coltivabile |
L'antica economia agricola di Sant'Ilario, basata sulla produzione di ortaggi, coltivazione di ulivi e aranci e sull'allevamento di mucche da latte è sparita da tempo, eppure fino agli anni '80 lungo queste creuse si potevano vedere gli ultimi muli ancora all'opera per i trasporti pesanti, proprio quelli che servirebbero per trasportare cemento, ghiaia e tubi per incanalare le acque piovane e riportarle nel loro alveo naturale.
Che la soluzione dello sfasciume della Liguria e di tutta la catena appenninica non sia proprio il ritorno al "futuro"?
Che si debba riscoprire il valore paesagistico, economico e di difesa del suolo dei terrazzamenti?
Che si debba riscoprire che la terra ha valore per il cibo che può produrre e non per il cemento che può ospitare?
Non ho certezze, ma se questo Paese deve impegnarsi in "Grandi Opere" per dare agli Italiani occupazione e sviluppo durevole è proprio da luoghi come questo, dalle colline di Sant'Ilario, che bisognerebbe cominciare.
La terra non sta morendo, la stanno uccidendo.
RispondiEliminaE questi assassini hanno nome, cognome, indirizzo e tessere di partito.