Chi emette più CO2: uomini o vulcani ?
In lontananza verso sudest il Vulcano Ubinas (Perú)
in attività emette un pennacchio di fumo. L’oceano Pacifico sta a
destra, il continente a sinistra. Si nota la curvatura dell’orizzonte
attraverso l’altopiano andino, qui avente una larghezza di 300 km ed una
elevazione media di 4 km. Ripresa dal cratere del vulcano El Misti
(5822 m). Foto D. Zampieri 2006.
a cura di Dario Zampieri*
La risposta alla domanda del titolo non è
scontata, se anche persone impegnate nel settore delle scienze della
Terra, ma in campi diversi dalla vulcanologia, rimangono sorprese
nell’apprendere che le attività umane battono di gran lunga l’attività
dei vulcani. Un’idea più precisa si può ricavare dalla lettura
dell’articolo di Gerlach del 2011, dal quale sono tratti molti dei dati e
delle considerazioni espressi di seguito.
Il bilancio della CO2
nell’atmosfera terrestre è un fattore critico nel mantenimento di un
clima abitabile da parte dell’uomo. I flussi di carbonio tra mantello
terrestre ed atmosfera modulano il clima nel lungo periodo. Alla scala
delle centinaia di milioni di anni, le emissioni vulcaniche di CO2
sono ritenute il principale meccanismo che ha permesso alla Terra di
passare da una condizione “palla di neve” nel Precambriano, terminato
circa 600 milioni di anni fa, ad una condizione “serra” nel Fanerozoico
(vita animale), con momenti freddi solo nel tardo Paleozoico (circa
360-270 Milioni di anni o Ma) e nella seconda metà del Cenozoico (da 34
Ma all’attuale).
Nel ciclo del carbonio l’emissione di
anidride carbonica tramite degassazione di magmi rappresenta la maggior
fonte di riequilibrio del carbonio sottratto all’atmosfera ed agli
oceani dall’alterazione dei silicati che compongono le rocce, dalla
precipitazione dei carbonati e dal seppellimento di resti organici
vegetali. Le stime globali più citate dell’attuale apporto annuale da
parte di vulcani emersi e sommersi vanno da un minimo di 0,18 ad un
massimo di 0,44 miliardi di tonnellate (gigatonnellate o Gt), con stima
media preferita di 0,26 Gt (Marty e Tolstikhin, 1998).
Più difficile è la stima del contributo della CO2
non vulcanica, che conservativamente dovrebbero essere nell’ordine da
un minimo di 0,1 a un massimo di 0,6 Gt/a (Mörner e Etiope, 2002).
Questo contributo, sul quale si sa ancora molto poco, deriverebbe dalla
degassazione di un mantello arricchito di fusi carbonatici in
particolari situazioni geotettoniche, come ad esempio nell’area
peri-tirrenica in Italia. Il vulcano Etna, che si situa in quest’area,
emette infatti da uno a due ordini di grandezza più CO2 rispetto ai vulcani di basalti intracontinentali similari della Terra. La CO2
non vulcanica viene verosimilmente emessa dal suolo al di sopra di
faglie litosferiche, che mettono in comunicazione la crosta profonda, o
addirittura il mantello, con la superficie (Frezzotti et al. 2010).
Anche considerando la somma di queste
emissioni naturali, vulcanica e non vulcanica, siamo ancora molto
lontani dal contributo di emissioni da parte dell’uomo, grossomodo un
ordine di grandezza inferiore.
Le emissioni antropogeniche annuali sono infatti state stimate in 35 Gt di CO2 (9.5 Gt di C) nel 2010 ( Friedlingstein et al., 2010). I vulcani emettono dunque molta meno CO2
che singole attività come la modificazione dell’uso del suolo (3,4
Gt/anno), l’uso dei veicoli leggeri (3 Gt/a), la produzione di cemento
(1,4 Gt/a). Le emissioni vulcaniche sono paragonabili alla combustione
dei gas di scarto dei campi petroliferi (0,2 Gt/a), alle emissioni di
una dozzina di centrali termoelettriche a carbone da 1000 MW (0,22
Gt/a), le quali corrispondono a circa il 2% della capacità di produzione
elettrica mondiale da carbone.
I punti neri rappresentano la serie
temporale fino al 2010 del moltiplicatore della CO2 antropogenica (ACM)
rispetto il tasso di emissione di 0.26 Gt/a dei vulcani. Si nota il
brusco incremento a partire dal 1950 (da Gerlach, 2011).
L’emissione antropogenica di CO2
stimata risulta essere, nel 2010, 135 volte superiore a quella dei
vulcani. Questo fattore di 135 è salito gradualmente da un fattore di
18, nel 1900, a circa 38 nel 1950, per poi crescere rapidamente a 135
nel 2010 (Gerlach, 2011). Questo andamento di crescita è simile a quello
delle emissioni antropogeniche di CO2, aumentate del 650% dal 1900, di cui ben il 550% a partire dal 1950.
La famosa curva di Keeling
dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera, rilevato a Mauna Loa,
Hawaii (dati in http:/www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends)
L’attività vulcanica presenta rari casi
di parossismo, come l’esplosione del Monte S. Helens (18 maggio 1980),
che ha emesso in atmosfera solo 0,01 Gt. Anche l’eruzione del vulcano
Pinatubo (15 giugno 1991), un altro dei tre maggiori eventi vulcanici
del XX secolo, ha emesso solo 0,05 Gt. Per superare il limite inferiore
stimato delle emissioni vulcaniche annue occorrerebbero ben 3 eruzioni
per anno simili a quella del Pinatubo. La durata di circa 9 ore di
entrambe le eruzioni citate ha prodotto tassi di emissione di 0,001
Gt/ora (S. Helens) e 0,006 Gt/ora (Pinatubo), molto simili al tasso di
emissione medio antropogenico, che è di 0,004 Gt/ora.
Ne consegue che, durante il parossismo di
poche ore di durata, l’emissione dei più potenti vulcani individuali
eguaglia l’emissione antropogenica. Ma i parossismi vulcanici sono
effimeri, mentre le attività umane durano incessantemente. In media, le
attività umane emettono in continuazione ogni 2 ore e mezza tanta CO2
quanta prodotta dal vulcano S. Helens e ogni 12 ore e mezza quella
prodotta dal vulcano Pinatubo. Ogni 2,7 giorni l’uomo emette la stessa
quantità annuale di CO2 dell’attività vulcanica.
Facendo i debiti confronti di scala tra le 35 Gt/a di emissioni di CO2
antropogenica e le 0,05 Gt emesse dal Pinatubo, le emissioni
antropogeniche equivalgono a 700 parossismi vulcanici per anno. Ma se
confrontate con le quantità di CO2 emesse dall’esplosione del vulcano S. Helens, le emissioni antropogeniche annue corrispondono a ben 3500 parossismi vulcanici.
Se si rifanno i calcoli in quantità di
volumi di magma emessi, questi 3500 parossismi dovrebbero produrre 1400
chilometri cubi di magma, equivalenti a 3 supereruzioni per anno.
Tuttavia, le supereruzioni sono molto rare ed accadono ogni 100-200 mila
anni. Nessuna è avvenuta in tempi storici. La più recente che si
conosca, quella del vulcano Toba in Indonesia, è avvenuta 74.000 anni
fa, mentre la seconda più vicina a noi è quella del supervulcano di
Yellowstone negli USA, avvenuta 2 milioni di anni fa.
In altre parole, le emissioni annuali di CO2 antropogenica superano quelle che sarebbero emesse da una o più supereruzioni per anno. Basta per modificare i pregiudizi?
Articoli citati:
Frezzotti M.L., Peccerillo A., Panza G., 2010. Earth’s CO2
degassing in Italy. In: (Eds.) Beltrando M., Peccerillo A., Mattei M.,
Conticelli S. and C. Doglioni, Journal of the Virtual Explorer, v. 36,
paper 21, doi: 10.3809/jvirtex. 2010.00227
Friedlingstein, P., R. A. Houghton,
G. Marland, J. Hackler, T. A. Boden, T. J. Conway, J. G. Canadell, M. R.
Raupach, P. Ciais, and C. Le Quéré (2010), Update on CO2 emissions, Nat. Geosci., 3(12), 811–812, doi:10.1038/ngeo1022.
Gherlach T. (2011). Volcanic versus Anthropogenic Carbon Dioxide. Eos, 92, 24, 201-208.
Marty B., and I. N. Tolstikhin (1998). CO2 fluxes from mid-ocean ridges, arcs and plumes, Chem.Geol., 145(3-4), 233–248, doi:10.1016/ S0009-2541(97)00145-9.
Mörner N.A., Etiope G., 2002. Carbon degassing from the lithosphere. Global Planetary Change 33, 185-203.
* Dario Zampieri è prof. Associato di Rilevamento Geologico (Geo03) presso UniPd: http://www.geoscienze.unipd.it/users/zampieri-dario