Gli italiani, sono tra i principali consumatori d’acqua in bottiglia: con 196 litri a testa, bevuti in un anno, gli italiani sono al terzo posto, a livello mondiale, dopo messicani e tailandesi.
Per Messico e Tailandia,
la spiegazione degli elevati consumi di acqua imbottigliata è semplice: questi
paesi hanno ancora gravi problemi di approvvigionamento di acqua potabile e
l’uso d’acqua in bottiglia evita dissenteria e colera.
Per l’Italia, questo record è veramente difficile da spiegare.
Per l’Italia, questo record è veramente difficile da spiegare.
L’Italia è ricca di
sorgenti, con un’antichissima tradizione di gestione delle sue acque e oggi,
tutte le abitazione dispongono d’acqua potabile.
Azzardo un’ipotesi: per
la promozione delle tante sorgenti sfruttate per l’imbottigliamento, nel nostro
paese c’è a disposizione un ricco repertorio di santi e madonne che rimandano
agli antichi riti di purificazione e di guarigione che i popoli italici hanno,
da sempre, abbinati alle fonti e alle sorgenti.
Certamente gli italiani
ci tengono alla loro salute e, probabilmente si fidano più delle acque di fonte,
e del santo protettore di turno, che dell’acqua del sindaco, portata in casa
dalle laiche aziende municipalizzate.
Da qualche tempo, il luogo di approvvigionamento di acqua in bottiglia si sta spostando, dai centri commerciali, alle “casette dell’acqua”: distributori di acqua alla spina che, opportunamente pretrattata, può essere raccolta, con propri contenitori, liscia ma anche gasata e refrigerata.
Pubblicizzate come
rimedio all’abnorme produzione di bottiglie di plastica che rapidamente
diventano un ingombrante rifiuto, pericoloso per il mare e le sue creature, le “casette
dell’acqua” si stanno moltiplicando a vista d’occhio. Il censimento dell’anno
scorso ne ha contato, in tutta Italia, duemila e sedici, la maggior parte in
Lombardia (574), a seguire Lazio (271) e Piemonte (233).
In Liguria, questa nuova forma di consumismo “verde” non sembra avere grande successo: le “casette” attive sono una decina (Lavagna, Bargagli, Campomorone, Varazze, Pietra Ligure, Loano, Savona, Sori).
Ci piacerebbe pensare
che questo sia dovuto alla tradizionale saggezza e sobrietà dei liguri che hanno
capito che, poiché la stessa acqua ti arriva comodamente in casa, non c’è
nessun motivo di “camallarsi” acqua raccolta alla “casetta”, spesso fuori mano.
Meno che mai, se bisogna pagare qualche centesimo a bottiglia.
E sia mai che si
scoprisse che i 20.000 euro necessari per la realizzazione di una “casetta
dell’acqua” e i costi per la sua costante manutenzione possano essere spalmati
sulla tariffa dell’acqua, come sembra avvenire in Lombardia, con lo
stanziamento, da parte della Regione Lombardia, di 800.000 euro per la
realizzazione di questi distributori d’acqua.
In effetti, le indagini di Altro Consumo hanno confermato che non esistono grandi differenze tra l’acqua erogata dalle “casette” e quella raccolta, contemporaneamente, dal rubinetto di casa più vicino.
Peraltro, le analisi di
quaranta diverse marche di acque in bottiglia, confrontate, sempre da Altro
Consumo, con l’acqua raccolta alle fontanelle pubbliche di sette città italiane
(Ancona, Roma, Torino, Padova, Palermo, Milano, Cagliari, Napoli) non hanno
evidenziato sostanziali differenze: in entrambi i casi, circa la metà dei
campioni analizzati ha totalizzato un punteggio-qualità superiore a 70 punti
(su 100).
Con i dati IREN sulla
qualità dell’acqua immessa negli acquedotti del genovesato ma, ancor più, con
l’analisi dell’acqua raccolta direttamente dal mio rubinetto di casa, in quel
di Bogliasco, posso confermare la buona qualità dell’acqua che oggi il sindaco
Bucci offre ai suoi cittadini e ai comuni limitrofi, grazie all’interconnessione
di tutti gli acquedotti realizzati a Genova, le cui acque, opportunamente
trattate , provengono in gran parte dai laghi artificiali del Gorzente, del Brugneto e
della Busalletta.
Si tratta d’invasi
alimentati prevalentemente da acque piovane, lontani da aree abitate e da fonti
inquinanti, quindi senza i problemi della presenza di contaminanti industriali
e agricoli, spesso presenti nelle acque di falda delle zone di pianura.
Nessuna sorpresa,
quindi, se nel campione di acqua raccolto dal rubinetto della mia cucina, il
piombo sia assente e l’alluminio sia presente a concentrazione sei volte
inferiore ai limiti di legge.
Anche la durezza, che
misura la concentrazione nell’acqua di sali di calcio e magnesio, è molto bassa:
17,4 gradi francesi, di poco superiore al valore minimo (15 gradi) previsto
dall’attuale normativa delle acque potabili e nettamente più bassa della
durezza di una decina delle blasonate acque in bottiglia, analizzate da Altro
Consumo.
In ogni caso, anche senza
“casette dell’acqua” i genovesi e i turisti in giro per la città non sono
lasciati a bocca asciutta.
Tutti, liberamente e
senza spendere un centesimo, possono bere acqua dalle tante fontanelle
pubbliche installate, da tempo, e che i genovesi conoscono come “bronzin”.
Nel 1835, nella città si
trovavano milleduecento “bronzin”, che con le loro colonnine in ghisa, di
sezione esagonale, dipinte di verde scuro e sormontate da un’elegante pigna, erano
un elemento caratteristico dell’arredo urbano cittadino.
Purtroppo anni di disinteresse
e abbandono hanno lasciato il segno e molte fontanelle hanno smesso di erogare
acqua ma, in concomitanza con il referendum a tutela dell’acqua pubblica e con
il crescente interesse dei cittadini per questa vitale risorsa, molte fontanelle
di Genova sono tornate a nuova vita.
Il rinato interesse per
le fontanelle pubbliche è testimoniato da un sito (https://www.fontanelle.org/mappa-citta.aspx)
e una applicazione per smart-phone (Fontanelle) che, in molte città, permette di localizzare la fontanella più vicina.
Da questo sito,
scopriamo che tra le cinquanta città italiane con maggior numero di fontanelle
censite, Roma, con 2.611 “nasoni” stravince, ma Genova, con 225 “bronzini”
funzionanti, è al quinto posto e Imperia, 91 fontanelle, al ventitreesimo
posto.
Per la cronaca, la
Spezia e Savona totalizzano, rispettivamente, 22 e 12 fontane pubbliche e 29
sono quelle rintracciabili nei paesi del Golfo Paradiso (Bogliasco, Pieve, Sori
e Recco).
Ma, certamente, ancora
molte fontanelle mancano all’appello: tutto il ponente genovese deve essere
ancora censito, un’opportunità che offre l’applicazione “Fontanelle” che,
smart-phone alla mano, permette anche di geo-referenziare nuove fontanelle da
aggiungere all’elenco.
La caccia al “tesoro blu”
che i nostri sindaci, con generosità ci regalano, è aperta.
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