In
Italia, di pari passo con lo sviluppo industriale e l'abbandono delle
tradizionali attività agricole, forestali e artigianali, si sono ridotte le
aree del Paese in cui la qualità dell' aria potrebbe definirsi buona, in base
ai criteri stabiliti dalle Leggi nazionali.
Il
Decreto legislativo 155 del 2010, individua i composti tossici pericolosi per
la salute, la cui presenza nell'aria deve essere regolarmente controllata per
verificare che le loro concentrazioni medie siano inferiori a specifici valori,definiti
come obbiettivi di qualità dell'aria.
Ad
esempio l'obiettivo di qualità per le polveri sottili, in particolare per
quelle il cui diametro è inferiore a 10
micron (10 millesimi di millimetro) e definite PM10 è stato stabilito pari a 40
microgrammi (milionesimo di grammo) per metro cubo d'aria, come media annuale.
Questo
significa che, se 365 misure giornaliere di PM10, realizzate regolarmente
nell'arco di un anno, fanno registrare un valore medio superiore a 40 ug/m3 (ad esempio 41 ug/m3), il territorio controllato dalla centralina e' fuori
legge, in quanto la qualità
della sua aria è peggiore a quella che la Legge, oggi giudica accettabile per la salute di chi
quell'aria respira.
In
questo caso, il Decreto impone alle Regioni interessate l'attivazione
d'interventi finalizzati a migliorare la qualità dell'aria e a portarla a
valori, almeno pari all'obiettivo di qualità, in questo esempio 40 ug/m3.
Per
raggiungere quest’obiettivo e' necessario individuare la fonte che produce la
maggiore quantità di polveri sottili e adottare tutte gli accorgimenti utili
per ridurre le sue emissioni in atmosfera.
I
monitoraggi effettuati dopo gli interventi di risanamento faranno fede
sull’efficacia degli interventi adottati: anno dopo anno la concentrazione
media di PM10 deve essere inferiore a 40 ug/m3 e più bassi saranno i valori
riscontrati, meglio sarà.
Quest’
obiettivo si può raggiungere adottando trattamenti fumi più efficienti (filtri
a maniche, marmitte catalitiche), utilizzando combustibili più "puliti (metano
al posto del carbone e del gasolio), aumentando l'efficienza energetica degli
impianti e delle abitazioni.
Oggi,
in Italia, la rete di monitoraggio segnala che gran parte delle aree
industriali e delle aree urbane del nostro Paese non rispettano gli obiettivo
di qualità per il PM10.
In
particolare e' "fuorilegge" gran parte della Pianura Padana, dove si concentrano le centraline che nel 2011
hanno registrato almeno 35 giorni con concentrazioni di PM10 superiori a 50
microgrammi per metro cubo (ug/m3).
Questo
dato negativo è stato registrato presso 212 centraline di monitoraggio, il 48%
di tutte le centraline di monitoraggio operative in Italia nel 2011.
La Tabella 1 riporta, in dettaglio, le misure dell’inquinamento da PM10 registrate
nelle zone trafficate di alcune città e i valori contemporaneamente registrati
in alcune aree rurali del nostro Paese. Nella Tabella sono riportati in
grassetto i valori superiori ai limiti di legge definiti dal Decreto
Legislativo n.155 del 2010.
TABELLA 1 Concentrazioni di PM10 e numero di giorni con superamenti di 50 ug/m3 nel 2011
|
Media
annuale
microgrammi/m3
|
n.
giorni con valori di PM10 superiori a
50 microgrammi/m3
|
Aree
urbane trafficate
|
Torino
|
50
|
133
|
Brescia
|
42
|
105
|
Milano
|
50
|
131
|
Parma
|
42
|
93
|
Verona
|
48
|
128
|
Padova
|
42
|
93
|
Firenze
|
38
|
59
|
Terni
|
36
|
69
|
Aree
rurali
|
Renon
(Bolzano)
|
9
|
0
|
Piana
rotaliana (Trento)
|
25
|
19
|
Cavaso
del Tomba (Treviso)
|
19
|
19
|
Denice
Costa (Alessandria)
|
17
|
9
|
Donnas
(Aosta)
|
22
|
39
|
Febbio
/ Reggio E.
|
9
|
0
|
Casa
Stabbi (Arezzo)
|
13
|
0
|
Brufa
(Perugia)
|
20
|
14
|
Qualità
dell'aria in zone rurali e montane
Le
aree rurali del nostro Paese sono state individuate come zone di controllo
dell'inquinamento atmosferico prodotto dai cosiddetti inquinanti primari,
quelli direttamente prodotti dalle attività umane: traffico, riscaldamento
domestico, attività produttive.
La
Tabella 1 mostra che queste aree, e i loro abitanti, nel 2011 hanno goduto di
un’ottima qualità dell’aria con valori medi annuali delle PM10 nettamente
inferiori agli attuali limiti di legge.
Anche
il numero di giorni con elevato inquinamento (PM10 superiore a 50
microgrammi/m3) è molto basso.
Nei
casi riportati nella Tabella1 solo il sito di Donnas, in Val d’Aosta fa
registrare un lieve superamento del limite massimo di 35 giorni all’anno.
Quest’invidiabile
caratteristica, che si accompagna ad altre rare qualità di queste zone del
nostro Paese (scarso traffico veicolare, bassa densità abitativa, bassi livelli
di rumore, bel paesaggio, clima mite, buona cucina, ottima accoglienza,
produzioni agro-alimentari di qualità) ricercate da turisti e villeggianti, da
qualche tempo è sotto attacco a causa del proliferare di progetti e
costruzioni di centrali termoelettriche alimentate a biomasse legnose.
Questa
novità interessa in particolare le zone collinari e montane del nostro paese, dove
la “pulizia” di grandi boschi è diventata la scusa per realizzare facili
guadagni usando la legna per produrre energia elettrica, pratica che gode d’interessanti
incentivi pubblici, garantiti dal Gestore dell’Energia per almeno 15 anni.
Poiché
non tutti lo sanno, è utile ricordare che questi soldi vengono da una tassa
sulla bolletta della luce (denominata A3), introdotta nel 1999 per incentivare
le fonti di energia rinnovabile e che, mediamente, pesa nel bilancio famigliare
con 83 euro all’anno, usati per alimentare il mercato dei “Certificati Verdi”.
Grazie
ai Certificati Verdi chi produce elettricità da fonti rinnovabili, riceve dal
Gestore della Rete un compenso, per ogni chilowattore immesso in rete, circa
tre volte maggiore di quello pagato all’elettricità da fonte fossile (carbone,
metano).
Quanto pesa una centrale a biomasse sul territorio che le
ospita
La
normativa a tutela dell’ambiente e della salute richiede alle Regioni di
redigere piani di risanamento dell’aria.
Tra
gli strumenti tecnici utili per redigere il piano di risanamento è prevista la
stima delle emissioni d’inquinanti prodotti annualmente dalle principali fonti
civili ed industriali presenti sul territorio di ciascun comune.
In
questo modo si valuta la pressione ambientale che queste attività
esercitano sul territorio e si possono facilmente individuare le priorità d’intervento.
Questa
stima si realizza tramite un censimento di tutte le fonti emissive e il
successivo calcolo dell’inquinamento prodotto annualmente da ciascuna fonte a
cui si applicano specifici fattori di emissione, elaborati a livello europeo
In
questo capitolo prenderemo due centrali a biomassa, che denomineremo Centrale A
e Centrale B, recentemente proposte nel centro Italia.
I
Comuni che dovrebbero ospitarle si trovano in aree collinari, con importanti
superfici boscate, in un contesto a prevalente attività agricola e turistica.
La
popolazione dei Comuni che dovrebbero ospitare le due centrali è,
rispettivamente di 7.500 e 1.500 abitanti.
In
entrambi i Comuni, gli standard di qualità dell’aria degl’inquinanti primari
sono ampiamente e costantemente rispettati.
Le
due centrali, hanno una potenza elettrica installata, inferiore a 1 Mega watt
(1000 Kilo watt) e utilizzano biomasse legnose (centrale A 18.000 ton/anno; centrale
B: 11.400 ton/anno).
Per
produrre elettricità le centrali utilizzano due diverse tecnologie: forno a
griglia nella Centrale A; piro-gassificazione della biomassa e uso
del gas prodotto (syngas: miscela di ossido di carbonio e metano) per alimentare
motori a combustione interna abbinati ad alternatori, nella Centrale B.
Entrambe
le centrali prevedono moderne linee di trattamento fumi: catalizzatori per
ridurre gli ossidi di azoto e filtri a maniche per le polveri sottili
Le
due centrali producono prevalentemente elettricità che è immessa nella rete
elettrica e, in entrambi i progetti, non si prevedono significativi recuperi di
calore per il tele-riscaldamento degli edifici e abitazioni.
Per
entrambi le centrali sono state calcolate le quantità d’inquinanti che
immetteranno nell’ambiente durante il loro funzionamento che è previsto continuo
per 24 ore su 24, con le sole interruzioni programmate per la manutenzione
degli impianti, stimati pari a una trentina di giorni all’anno.
Il
calcolo delle emissioni annuali è stato fatto in base alle concentrazioni medie
degli inquinanti presenti nei fumi, valori dichiarati dai proponenti, e alla
portata dei camini. In tutti i due casi le concentrazioni di inquinanti, in
uscita dai camini, sono ampiamente inferiori ai limiti di legge.
Le
Tabelle 2 e 3 riportano i valori delle emissioni annuali delle Centrali A e B e
le stime delle emissioni annuali provenienti da tutte le fonti inquinanti presenti
nei rispettivi territori comunali (traffico, riscaldamento domestico,
agricoltura…).
TABELLA 2: Centrale
A: stima della quantità d’inquinanti emessi da tutte le attuali fonti presenti
sul territorio comunale e delle emissioni annuali della centrale
Inquinante
|
Emissioni totali territorio comunale
tonnellate/anno
|
Emissioni
centrale A
tonnellate/anno
|
Variazione
%
|
Polveri totali
|
57 ^
|
1,3
|
+ 2,3
|
Anidride solforosa
|
9
|
6,6
|
+ 73,3
|
Ossidi di azoto
|
123
|
26,3
|
+ 21,4
|
Monossido di carbonio
|
804
|
6,6
|
+ 0,6
|
^ PM10
TABELLA 3. Centrale B: stima della quantità d’inquinanti
emessi da tutte le attuali fonti presenti sul territorio comunale e delle
emissioni annuali della centrale
Inquinante
|
Emissioni
totali
territorio
comunale
tonnellate/anno
|
Emissioni
centrale B
tonnellate/anno
|
Variazione
%
|
Polveri
totali
|
16,1
^
|
0,82 ^
|
+
5,1
|
Anidride
solforosa
|
1,1
|
12,3
|
+
1.118
|
Ossidi
di azoto
|
14,5
|
16,1
|
+
111
|
Monossido
di carbonio
|
124,7
|
16,4
|
+
13,1
|
^ PM10
Le
Tabelle 2 e 3 mostrano come la pressione
ambientale esercitata da ognuna delle
centrali a biomasse sul territorio ospitante potrebbe essere tutt’altro che trascurabile.
Per
entrambi i Comuni, la pressione maggiore deriverebbe dall’immissione in
atmosfera di anidride solforosa e di ossidi di azoto.
Più
contenute, ma non trascurabili le quantità di polveri che le centrali a
biomasse potrebbero aggiungere all’aria dei territori che dovrebbero ospitarle.
In
termini relativi, la centrale B sarebbe quella che eserciterebbe la pressione
maggiore sul territorio ospitante.
La
Tabella 3 mostra che, nel Comune B, con l’entrata in funzione della centrale a
biomasse raddoppierebbero le emissioni di ossidi di azoto mentre la quantità di
ossidi zolfo aumenterebbe di ben 11 volte.
Tutto
questo ha una semplice spiegazione.
Il
Comune B ha una popolazione di un migliaio di abitanti, non ospita attività
industriali e il suo unico inquinamento di una certa importanza è quello del
riscaldamento invernale, peraltro non particolarmente elevato, in quanto il
paese è servito dalla rete di distribuzione del gas naturale.
Non
a caso, il turismo estivo e le attività a esso correlato sono la principale
fonte di reddito dei residenti del Comune B.
Con le centrali a biomasse come
cambia la qualità dell’aria?
Ovviamente
l’immissione in atmosfera di diverse tonnellate di’inquinanti peggiorerà la
qualità dell’aria dei territori sottovento agli impianti.
Gli
stessi proponenti confermano che le concentrazioni medie al suolo aumenteranno,
ma poiché la somma dell’attuale inquinamento e di quello nuovo prodotto dalle
centrali comporterà valori inferiori ai limiti di Legge, questo peggioramento è
considerato accettabile.
Le
Aziende Locali Sanitarie (ASL), a cui è delegato il parere sanitario sugli
impianti, hanno fatto proprie queste affermazioni e di fatto autorizzato
l’inquinamento.
Stupisce che l’autorizzazione
delle ASL all’entrata in funzione delle centrali a biomasse non abbia tenuto conto delle recentissime raccomandazioni
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, alla luce di studi
epidemiologici condotti in Europa, ha riconosciuto che rischi sanitari gravi
sono stati riscontrati anche a
concentrazioni di PM2,5 inferiori a 10 ug/m3, ossia inferiori ai limiti che la
nostra Legislazione prevede di introdurre nel 2020.
Riteniamo anche discutibile che le
ASL non abbiano tenuto conto della possibile presenza di aree sensibili, nelle
immediate vicinanze delle centrali, quali scuole e impianti sportivi.
In questi casi, quanto meno,
riteniamo che sarebbe stato doveroso, da parte delle ASL, invocare il Principio
di Precauzione a tutela della salute della popolazione più giovane.
Le stesse ASL, conseguentemente,
avrebbe dovuto esprimere un proprio giudizio negativo rispetto al fatto che
l’attività delle centrali non preveda efficaci interventi di teleriscaldamento.
L’utilizzo del calore a bassa
temperatura (pari a circa l’80% del potere calorifico del cippato utilizzato),
con un adeguato dimensionamento dell’impianto, durante il periodo invernale,
avrebbe potuto permettere lo spegnimento di numerosi impianti termici utilizzati
nei due Comuni, in particolare quelli alimentati a legna.
Certamente impianti domestici
alimentati a legna di vecchia generazione (camini aperti, stufe), a parità di
calore prodotto, emettono in atmosfera una maggiore quantità d’inquinanti rispetto a quelli emessi dalle centrali a biomasse.