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sabato 30 dicembre 2023

Trattiamoli a “freddo”: riciclo meccanico dalle “miniere urbane” .


Come fanno carta e cartoni, imballaggi di plastica, lattine, tutti mescolati nella pattumiera a ritrovarsi, ben separati l’uno dall’altro, distinti per colore e ben impacchettati in grandi cubi della stessa dimensione, come si vede in queste due prime immagini?


In Italia, a “combattere” contro il “naturale” disordine dei rifiuti, provvede un esercito sempre più numeroso di cittadini che, a casa, in ufficio, nel loro negozio, differenziano diligentemente i loro scarti nelle sei  tipologie previste (vetro, carta e cartoni, imballaggi in plastica, metalli, organico e secco residuo) prima di consegnarli, per la raccolta domiciliare, negli appositi contenitori.

Subito dopo, interviene un altro piccolo esercito di operatori che, nei giorni previsti, provvede a raccogliere le singole frazioni.

Il passo successivo è quello che sfugge ai più, ma è quello più importante per garantire la realizzazione della nuova “economia  circolare”, quella che trasforma i vecchi rifiuti in una nuova risorsa,  in grado di dare nuova vita a carta, plastica, metalli…: le aziende che provvedono alla “valorizzazione” delle frazioni raccolte, realizzando una ulteriore selezione, finalizzata al riciclo, con metodi di tipo fisico e meccanico.

In Italia, nel 2022, nel solo settore di chi da una seconda vita delle materie plastiche, hanno operato  191 aziende, addette alla trasformazione, e altre 54, specializzate nel riciclo della plastica raccolta, tutte aziende aderenti all’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo



Figura 1. Ciclo di operazioni per “ valorizzare” le plastiche raccolte in modo differenziato e avviarle al riutilizzo.

La Figura 1 mostra, in forma schematica, la sequenza di operazioni, di tipo meccanico, ottico e elettronico che permettono di separare i polimeri più facilmente riciclabili (polietilene, polietilene alta densità, polipropilene),  in base alla composizione chimica e al colore,  e immetterli in nuovi cicli produttivi.

In sintesi, aperti i sacchi usati per le raccolte domiciliari e di prossimità, i materiali raccolti, sono inseriti su un nastro trasportatore dove avviene, spesso a mano, una prima separazione che elimina conferimenti errati (cartoni, legno, scarti elettronici…), successivamente un setaccio rotante provvede a separare frazioni di piccole dimensioni e in un passaggio successivo, flussi di aria a pressione effettuano la separazione tra imballaggi pesanti (flaconi..) e leggeri (buste, fogli..).

Un trituratore provvede a ridurre in piccoli pezzi le plastiche selezionate che sono separate per colore e composizione chimica che, in questo schema,  prevede il riuso solo di polietilene (PE), polietilene ad alta densità (HDPE) e polipropilene (PP). 

In questa figura si prevede che tutte le altre plastiche non riciclabili e gli scarti combustibili, siano utilizzate per produrre calore. E’ un procedimento utilizzato, la cosiddetta “termovalorizzazione”, ma non obbligatorio.

La natura inerte di questi residui ne può permettere lo stoccaggio temporaneo, in previsione di un riciclo di tipo chimico, già ora tecnicamente possibile e di sicuro sviluppo nei prossimi anni.

In Italia, nel 2022, con simili trattamenti meccanici, grazie a cittadini e aziende che amano il riciclo, con riferimento solo agli imballaggi, sono stati avviati al riuso e al riciclo:

- 418.000 ton di acciaio
- 60.000 ton di alluminio
- 4.311.000 ton di carta
- 2.147.000 ton di legno
- 1.122.000 ton  di plastica e bioplastica
- 2.293.000 ton di vetro 

E, sempre nel 2022, complessivamente l’80,5% degli imballaggi  immessi  al consumo in Italia e’ stato raccolto in modo differenziato e riciclato.

Utile ricordare che, di fatto, il costo del recupero e del riciclo di tutti gli imballaggi e’ a carico di chi li acquista, in quanto, nel prezzo di un prodotto imballato (cibo, bevanda, bene di consumo…) è inserito una apposita onere, finalizzato al riciclo dell’imballaggio. 



E’ evidente la partita vincente della raccolta differenziata e del riciclo e la necessità e opportunità di fare di più e meglio.

Peccato che il governo Meloni marci contro. Il rinvio al prossimo anno della tassazione prevista dalla UE sui prodotti “usa e getta”, ha fatto un favore alle tante piccole aziende del settore, ma ha danneggiate quelle nuove, che stanno investendo sul riciclo delle plastiche usate, il cui costo, nella situazione attuale, e’ maggiore di quelle delle plastiche “vergini”, ottenute dal petrolio e dal gas fossili e quindi pesantemente clima alteranti. 

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martedì 26 dicembre 2023

Trattiamoli a "freddo": riciclo chimico delle plastiche miste

 

La nostra generazione ha scoperto le plastiche con “Carosello”, il siparietto serale di pubblicità, comparso nel 1957, con le prime trasmissioni televisive. 

Alla scoperta ci ha guidato l'attore comico Gino Bramieri che, dopo aver fatto vari disastri, improvvisandosi "donna di casa", concludeva con: “ E mo? E mo, Moplen,”. 

Senza saperlo, stavamo assistendo all’avvio della rivoluzione che introduceva nelle case, e poi in tutti gli ecosistemi del pianeta, uno dei primi polimeri, una macromolecola, mai esistita prima, il cui nome commerciale era, appunto, "Moplen", con riferimento alla Montedison, che lo produceva a Ferrara, a partire dal 1957.

E la caratteristica, vantata da Bramieri,  era che il catino di “moplen”  che sostituiva quello in stagno zincato, era leggero, non arrugginiva e non si rompeva: una serie di vantaggi che, pochi decenni dopo, si sarebbero trasformati nell’attuale problema planetario delle “microplastiche”.

Il nome chimico del Moplen e’ poli-propilene, una invenzione tutta italiana, fatta nel 1954 dal professor Giulio Natta  che,  per questo, vinse il premio Nobel nel 1963.

Come suggerisce il nome, il poli-propilene  e’ una lunga molecola (polimero)  fatta da molecole  più piccole (propilene), unite insieme.

In particolare, il nome chimico del  “Moplen” è “poli-propilene isotattico” e il termine "isotattico" sottolinea l'organizzazione simmetrica di questa macromolecola, in cui i  gruppi metilici (CH3 ) e gli atomi di idrogeno sono regolarmente distribuiti lungo la catena del polimero. 




Figura 1. Struttura molecolare del poli-propilene isotattico.
In rosso gli atomi di carbonio, in blu gli atomi di idrogeno



Figura 2. Struttura molecolare  di propilene e poli-propilene


Da questa prima scoperta sono nate tutte le altre “macromolecole", decine di diverse "grandi molecole",  materie plastiche  con strutture molecolari organizzate ad arte, per offrire vantaggi e caratteristiche diverse: resistenza agli urti, impermeabilità a gas, trasparenza, leggerezza,…

Tutto questo, a partire da una miscela complessa e variabile di idrocarburi gassosi, liquidi e solidi estratti dalle viscere della terra, petrolio e  gas naturale, successivamente trattati in impianti petrolchimici, con processi chimico-fisici complessi e supportati da “catalizzatori” che aumentano le rese e guidano le trasformazioni chimiche, verso prodotti con le caratteristiche desiderate.

Quindi non dovrebbe stupire che le conoscenze sviluppate dai chimici per la produzione di polimeri possano essere applicate anche al riciclo e riutilizzo di polimeri di scarto, compresi le plastiche miste da raccolte differenziate di qualità non particolarmente elevata

In effetti le caratteristiche di questa frazione (abbondanza di carbonio organico, presenza di molecole organiche di composizione diversa, impurezze...,) rimandano alle caratteristiche del petrolio, miscele complesse di idrocarburi "fossili" dai quali processi fisici e chimici, altrettanto complessi,  riescono a produrre combustibili, manufatti, tessuti, detergenti, solventi, lubrificanti...


Figura 3. Processi utilizzabili per il riciclo avanzato dei materiali di plastica post consumo

La Figura 3 sintetizza i numerosi procedimenti attualmente messi in atto per "riciclare" gli scarti polimerici.

Nella Figura 3,  al primo posto a destra, c'è anche l'incenerimento con recupero energetico che, ovviamente, non è una forma di riciclo chimico.

L'incenerimento non è una forma di "riciclo" della materia perché le macromolecole, portate a temperature maggiori di 850°C, in presenza di ossigeno,  si trasformano in anidride carbonica la quale, vista l'origine fossile del carbonio presente nelle plastiche,  dà un pesante contributo al cambiamento  climatico. Quindi, correttamente, questa emissione sarà pesantemente tassata, a danno di aziende e famiglie che saranno costrette a pagare TARI molto più salate.

Anche gasificazione, pirolisi e depolimerizzazione sono trattamenti a "caldo" in quanto ci vuole molta energia "termica" per rompere i legami che, nei polimeri,  tengono insieme i monomeri, le molecole alla base delle catene polimeriche.

I processi di trasformazione con cui si trattano le miscele di polimeri "post consumo", per essere considerati un vero "riciclo chimico", devono avere come prodotto finale  nuovi composti chimici da immettere all'uso, dando la priorità a nuovi polimeri.

Critiche, sulla reale "ciclicità" di tecniche che utilizzano la pirolisi di polimeri post consumo  per produrre oli e combustibili, sono state formulate da Zero Waste Europe.

    Grazie ai diversi approcci offerti dalla chimica delle macromolecole, sono numerose le aziende chimiche che stanno investendo per trasformare, in risorsa, l'immensa quantità di plastiche che ogni anno, dopo una breve vita utile, si trasformano in rifiuti: nel 2019, a livello mondiale, sono stati prodotte 450 milioni di tonnellate di polimeri, di cui il 70%  è finito in discarica o è stato abbandonato nell'ambiente.

E in Italia, nel 2020, sono stati immessi nel mercato 5,9 milioni di tonnellate di plastiche, di cui solo 1,6 milioni di tonnellate sono state differenziati.

Oggi, delle plastiche raccolte in modo differenziato in Italia, solo il 39%  (624.000 tonnellate) è stato riciclato, il resto incenerito o inviato in discarica.

Ma tutto fa pensare che le cose stiano cambiando.

E proprio a Ferrara, a distanza di oltre sessanta anni, negli stessi laboratori dove è nato il  "Moplen",  suoi "discendenti" sono  rinati a seconda vita.

1) La "rinascita" avviene grazie al processo MoReTec,  che si basa sulla pirolisi catalitica, messa a punto dalla LyondellBasell, in un impianto pilota localizzato a Ferrara, della BasellPolietilene Italia spa.

Alla fine di novembre 2023, la LyondellBasell ha annunciato la costruzione a Wesseling (Germania)  di un impianto di riciclo chimico di 50.000 tonnellate/anno di scarti di imballaggio, in prevalenza poliolefine ( polietilene, polipropilene, poli-iso butilene) che si prevede possa entrare in funzione nel 2025. Con questo metodo, l'olio ottenuto con la pirolisi, sarà usato per produrre nuovi polimeri.

2) E' in fase di realizzazione a Chieti, l' impianto pilota, su scala industriale, per il riciclo chimico di PoliEtilenTereftalato (PET) e il Poliestere con il processo GR3N basato sull'idrolisi alcalina e sull'uso di micronde per accelerare la depolimerizzazione degli scarti e il successivo riuso dei monomeri.

3) Nel 2023 è stato siglato un accordo tra SAIPEM e Garbo per l'industrializzazione del processo di riciclo chimico CHEMPET, che sarà realizzato a Cerano (Novara).

Con il processo ChemPET , che si basa sulla glicolisi, possono essere recuperati diversi prodotti a base di PET, difficilmente recuperabili con le attuali tecnologie di tipo meccanico: sfridi da termoformatura e vaschette multi-strato, sfridi e film accoppiati con alluminio, bottiglie in PET opaco (contenente additivi minerali  come TiO2, CaCO3, Silice), polveri di PET colorati, vassoi in PET nero, reggette in PET/PP, tessuti non tessuti, fibre miste poliestere/cotone.

Basato sulla tecnologia ChemPet, GR3N e Intectesa Industrial hanno siglato, sempre nel 2023, un accordo per realizzare, nel 2027, il primo impianto spagnolo di riciclo chimico di scarti di tessuti tessili.

5) ChemCycling è il processo di riciclo chimico, messo a punto dalla BASF , che utilizza la pirogassificazione a 300-700 C°,  in assenza di ossigeno, di poli-etile, polipropilene, polistirolo, plastiche multi strato. Il prodotto è un olio che viene utilizzato come materia seconda in ingresso negli impianti petrolchimicio dell BASF in sostituzione di materie fossili.

6) Infine, anche la Eastman,  ha deciso di investire in Francia  (Port- Jerone-sur-Seine), realizzando un impianto per il riciclo di 200.000 tonnellate/anno di scarti di poliesteri ,con la tecnica della metanolisi. I lavori partiranno nel 2026 e la piena attività è prevista per il 2030.

Tutto fa pensare che investire, oggi, in nuovi "termovalorizzatori" sia un clamoroso "fiasco" economico: raccolte differenziate sempre più efficaci e di migliore qualità, crescenti quantità di plastiche post consumo avviate al riuso e riciclo, taglieranno agli inceneritori con recupero energetici, combustibili e guadagni.

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