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sabato 30 aprile 2016

Il lungo filo nero del petrolio di Genova


La sera del 17 aprile, con le urne del referendum sulle trivelle ancora aperte, la rottura di un oleodotto che attraversa i quartieri a ponente di Genova, ha riversato nei vicini torrenti 700 tonnellate di greggio.

Il forte odore di petrolio dopo la rottura dell’oleodotto, i disturbi di chi era costretto a respirare idrocarburi, la morte biologica del rio Fegino e della foce del Polcevera, il petrolio in mare, sono la punta dell’iceberg dell’impatto ambientale, degli extra costi, dell’era del petrolio che si avvia alla sua inevitabile fine.


Dalla Nigeria il greggio è arrivato al “porto petroli” di Multedo, un porto in mezzo alle case, i cui abitanti, da decenni, sono costretti a respirare idrocarburi in quantità maggiore dei loro concittadini, con possibili danni alla salute.

Il filo nero, lungo l’oleodotto saltato, arriva a Busalla con una raffineria, racchiusa tra l’autostrada e le case.

Il filo nero, sotto forma di 800.000 tonnellate all’anno di diesel a basso tenore di zolfo, da Busalla si disperde fino al milione di autovetture alimentate con questo combustibile.
E dai loro tubi di scappamento, il filo nero raggiunge l’aria del nostro Pianeta, in cui sono scaricate tonnellate di polveri ultrafini e ossidi di azoto, responsabili, per la loro quota, delle 84.000 morti premature registrate nel 2012 in Italia e attribuite all’inquinamento atmosferico.
Ma la combustione del gasolio produce anche anidride carbonica, 150 chili per ogni pieno, che aumentano la concentrazione di questo gas nell’atmosfera del nostro pianeta e ne modificano il clima.

E i nubifragi e le alluvioni che hanno colpito la Liguria negli ultimi anni hanno a che fare con questo drastico cambiamento, con la concentrazione di CO2 passata, in 150 anni,  da 270 a 400 parti per milione.

La conferenza di Parigi sul clima, ha ratificato la fine dell’era dei fossili: per evitare un aumento disastroso della temperatura media del Pianeta, oltre il 50 % di petrolio e gas non ancora sfruttato deve rimanere sotto terra.

Il premier Renzi era a Parigi, ma nel momento decisivo deve essersi distratto, in quanto, con il decreto Sblocca Italia, aveva fatto diventare la trivellazione del paese, a caccia dell’ultimo gas e petrolio, una scelta strategica d’interesse nazionale, i cui inevitabili extra-costi ci toccherà pagare negli anni a venire, compreso il tempo perso per realizzare l'inevitabile cambiamento verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica.

sabato 9 aprile 2016

L'Ecoistituto RE-GE il 17 aprile vota SI


Il comitato scientifico dell'Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova invita a votare SI al Referendum del 17 aprile 


Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati a dare il proprio parere sul decreto "Sblocca Italia" che incentiva la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti di gas e petrolio sul territorio nazionale.

Il governo, nel Decreto 133 del 1279/2014, ha ufficialmente riconosciuto le trivellazioni come "attività di interesse strategico e di pubblica utilità urgente ed indifferibile" e in questo modo ha scavalcato le competenze in materia delle Regioni.

Per questo motivo, nove regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise) hanno chiesto l'abrogazione di sei articoli del decreto; solo un articolo è stato ritenuto ammissibile.

In particolare, si tratta dell'abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell'articolo 6 del dlgs n. 152 del 2006, limitatamente alle parole: "Per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale".

L'abrogazione di questo comma bloccherebbe l'attività estrattiva delle piattaforme attualmente operative entro le 12 miglia dalla costa, una volta che sia stata raggiunta la durata delle attuali concessioni.

E' evidente il limite di questo quesito referendario, comune ai referendum che possono solo abrogare una norma già approvata dal Parlamento.

L'ECO istituto RE-GE, insieme ad altri soggetti contrari a nuove trivellazioni, ritiene che la partecipazione al voto referendario, con il superamento del quorum ( 50% degli aventi diritto+uno) ed una netta affermazione del SI, avrebbe un importante valore politico, di chiara contrarietà del "popolo sovrano" alle scelte energetiche del governo Renzi, il cui interesse è tutt'altro che strategico e niente affatto di pubblica utilità, come le dimissioni del ministro Guidi hanno chiaramente evidenziato.

L'ECOistituto RE-GE ritiene che il maggior pericolo del decreto a favore di nuove trivellazioni sia quello di far perdere al Paese altri anni preziosi per attuare il drastico cambiamento dell'attuale modello di crescita dei consumi, cambiamento richiesto dall'esaurimento di risorse non rinnovabili e dagli incombenti cambiamenti climatici.

L' informazioni che manca agli Italiani è che le riserve nazionali di gas e petrolio sono scarse e niente affatto strategiche.

I nostri giacimenti di gas, a partire dal 1994 hanno superato il picco della massima produzione e si stanno avviando all'esaurimento.




Inoltre, in base a stime ufficiali sulle riserve nazionali accertate, probabili e possibili, tutto il gas e petrolio recuperabile a fini energetici che potrebbe essere presente nel territorio nazionale coprirebbe a malapena due anni di consumi nazionali.


La quantità complessivamente recuperabile di gas e petrolio dai giacimenti italiani, confrontati con i rispettivi consumi nazionali del 2014


Dopo una decina di anni di sfruttamento di questi giacimenti avremo definitivamente "raschiato il fondo barile" con il sicuro effetto negativo della perdita definitiva dei posti di lavoro legati alla estrazione e alla raffinazione.

Un sicuro effetto negativo del decrteto "Sblocca Italia" è quello prodotto da una significativa emissione in atmosfera di gas clima alteranti, sia durante la fase di estrazione che di consumo, con un maggior contributo alle emissioni di gas serra,  pari a 9,2 milioni di tonnellate all'anno.

L'aumento del numero di pozzi in funzione e la durata del loro sfruttamento, altrettanto inevitabilmente, aumenterà la probabilità di incidenti con emissioni di greggio e gas nell'ambiente.

Le scelte veramente strategiche per il paese, quelle che l'ECOistituto RE-GE appoggia e che la vittoria del SI renderebbe possibile sono:
- incentivazione dell'efficenza energetica degli edifici pubblici e privati
- disincentivazione al trasporto di persone e merci su gomma e con motori a combustione interna
- rilancio del trasporto pubblico prevalentemente su ferro (tram, treno)
- una energica politica a favore delle fonti rinnovabili a partire dal biometano da immettere in rete, prodotto con trattamenti biologici degli scarti biodegradabili che stime ENEA valutano pari al 50% dell'attuale produzione nazionale di gas fossile.
- una nuova economia basata sul riciclo dei materiali correttamente differenziati, una volta arrivati al termine del loro ciclo di utilizzo.
- un piano nazionale per ampliare l'installazione di impianti fotovoltaici sui tetti di edifici pubblici e privati, la loro interconnessione e la possibilità di scambio di elettricità tra gli autoproduttori e gli utenti.

Tutte queste scelte permetterebbero di avviarci verso l' ineludibile scelta di abbandono delle fonti fossili e avvio di una nuova era, basata sulle diverse forme di energia rinnovabile che il Sole ci garantirà nei millenni a venire.

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