La nostra generazione ha scoperto le plastiche con “Carosello”, il siparietto serale di pubblicità, comparso nel 1957, con le prime trasmissioni televisive.
Alla scoperta ci ha guidato l'attore comico Gino Bramieri che, dopo aver fatto vari disastri, improvvisandosi "donna di casa", concludeva con: “ E mo? E mo, Moplen,”.
Senza saperlo, stavamo assistendo all’avvio della rivoluzione che introduceva nelle case, e poi in tutti gli ecosistemi del pianeta, uno dei primi polimeri, una macromolecola, mai esistita prima, il cui nome commerciale era, appunto, "Moplen", con riferimento alla Montedison, che lo produceva a Ferrara, a partire dal 1957.
E la caratteristica, vantata da Bramieri, era che il catino di “moplen” che sostituiva quello in stagno zincato, era leggero, non arrugginiva e non si rompeva: una serie di vantaggi che, pochi decenni dopo, si sarebbero trasformati nell’attuale problema planetario delle “microplastiche”.
Il nome chimico del Moplen e’ poli-propilene, una invenzione tutta italiana, fatta nel 1954 dal professor Giulio Natta che, per questo, vinse il premio Nobel nel 1963.
Come suggerisce il nome, il poli-propilene e’ una lunga molecola (polimero) fatta da molecole più piccole (propilene), unite insieme.
In particolare, il nome chimico del “Moplen” è “poli-propilene isotattico” e il termine "isotattico" sottolinea l'organizzazione simmetrica di questa macromolecola, in cui i gruppi metilici (CH3 ) e gli atomi di idrogeno sono regolarmente distribuiti lungo la catena del polimero.
Figura 1. Struttura molecolare del poli-propilene isotattico. In rosso gli atomi di carbonio, in blu gli atomi di idrogeno |
Figura 2. Struttura molecolare di propilene e poli-propilene |
Da questa prima scoperta sono nate tutte le altre “macromolecole", decine di diverse "grandi molecole", materie plastiche con strutture molecolari organizzate ad arte, per offrire vantaggi e caratteristiche diverse: resistenza agli urti, impermeabilità a gas, trasparenza, leggerezza,…
Tutto questo, a partire da una miscela complessa e variabile di idrocarburi gassosi, liquidi e solidi estratti dalle viscere della terra, petrolio e gas naturale, successivamente trattati in impianti petrolchimici, con processi chimico-fisici complessi e supportati da “catalizzatori” che aumentano le rese e guidano le trasformazioni chimiche, verso prodotti con le caratteristiche desiderate.
Quindi non dovrebbe stupire che le conoscenze sviluppate dai chimici per la produzione di polimeri possano essere applicate anche al riciclo e riutilizzo di polimeri di scarto, compresi le plastiche miste da raccolte differenziate di qualità non particolarmente elevata
In effetti le caratteristiche di questa frazione (abbondanza di carbonio organico, presenza di molecole organiche di composizione diversa, impurezze...,) rimandano alle caratteristiche del petrolio, miscele complesse di idrocarburi "fossili" dai quali processi fisici e chimici, altrettanto complessi, riescono a produrre combustibili, manufatti, tessuti, detergenti, solventi, lubrificanti...
La Figura 3 sintetizza i numerosi procedimenti attualmente messi in atto per "riciclare" gli scarti polimerici.
Nella Figura 3, al primo posto a destra, c'è anche l'incenerimento con recupero energetico che, ovviamente, non è una forma di riciclo chimico.
L'incenerimento non è una forma di "riciclo" della materia perché le macromolecole, portate a temperature maggiori di 850°C, in presenza di ossigeno, si trasformano in anidride carbonica la quale, vista l'origine fossile del carbonio presente nelle plastiche, dà un pesante contributo al cambiamento climatico. Quindi, correttamente, questa emissione sarà pesantemente tassata, a danno di aziende e famiglie che saranno costrette a pagare TARI molto più salate.
Anche gasificazione, pirolisi e depolimerizzazione sono trattamenti a "caldo" in quanto ci vuole molta energia "termica" per rompere i legami che, nei polimeri, tengono insieme i monomeri, le molecole alla base delle catene polimeriche.
I processi di trasformazione con cui si trattano le miscele di polimeri "post consumo", per essere considerati un vero "riciclo chimico", devono avere come prodotto finale nuovi composti chimici da immettere all'uso, dando la priorità a nuovi polimeri.
Critiche, sulla reale "ciclicità" di tecniche che utilizzano la pirolisi di polimeri post consumo per produrre oli e combustibili, sono state formulate da Zero Waste Europe.
Grazie ai diversi approcci offerti dalla chimica delle macromolecole, sono numerose le aziende chimiche che stanno investendo per trasformare, in risorsa, l'immensa quantità di plastiche che ogni anno, dopo una breve vita utile, si trasformano in rifiuti: nel 2019, a livello mondiale, sono stati prodotte 450 milioni di tonnellate di polimeri, di cui il 70% è finito in discarica o è stato abbandonato nell'ambiente.
E in Italia, nel 2020, sono stati immessi nel mercato 5,9 milioni di tonnellate di plastiche, di cui solo 1,6 milioni di tonnellate sono state differenziati.
Oggi, delle plastiche raccolte in modo differenziato in Italia, solo il 39% (624.000 tonnellate) è stato riciclato, il resto incenerito o inviato in discarica.
Ma tutto fa pensare che le cose stiano cambiando.
E proprio a Ferrara, a distanza di oltre sessanta anni, negli stessi laboratori dove è nato il "Moplen", suoi "discendenti" sono rinati a seconda vita.
1) La "rinascita" avviene grazie al processo MoReTec, che si basa sulla pirolisi catalitica, messa a punto dalla LyondellBasell, in un impianto pilota localizzato a Ferrara, della BasellPolietilene Italia spa.
Alla fine di novembre 2023, la LyondellBasell ha annunciato la costruzione a Wesseling (Germania) di un impianto di riciclo chimico di 50.000 tonnellate/anno di scarti di imballaggio, in prevalenza poliolefine ( polietilene, polipropilene, poli-iso butilene) che si prevede possa entrare in funzione nel 2025. Con questo metodo, l'olio ottenuto con la pirolisi, sarà usato per produrre nuovi polimeri.
2) E' in fase di realizzazione a Chieti, l' impianto pilota, su scala industriale, per il riciclo chimico di PoliEtilenTereftalato (PET) e il Poliestere con il processo GR3N basato sull'idrolisi alcalina e sull'uso di micronde per accelerare la depolimerizzazione degli scarti e il successivo riuso dei monomeri.
3) Nel 2023 è stato siglato un accordo tra SAIPEM e Garbo per l'industrializzazione del processo di riciclo chimico CHEMPET, che sarà realizzato a Cerano (Novara).
Con il processo ChemPET , che si basa sulla glicolisi, possono essere recuperati diversi prodotti a base di PET, difficilmente recuperabili con le attuali tecnologie di tipo meccanico: sfridi da termoformatura e vaschette multi-strato, sfridi e film accoppiati con alluminio, bottiglie in PET opaco (contenente additivi minerali come TiO2, CaCO3, Silice), polveri di PET colorati, vassoi in PET nero, reggette in PET/PP, tessuti non tessuti, fibre miste poliestere/cotone.
Basato sulla tecnologia ChemPet, GR3N e Intectesa Industrial hanno siglato, sempre nel 2023, un accordo per realizzare, nel 2027, il primo impianto spagnolo di riciclo chimico di scarti di tessuti tessili.
5) ChemCycling è il processo di riciclo chimico, messo a punto dalla BASF , che utilizza la pirogassificazione a 300-700 C°, in assenza di ossigeno, di poli-etile, polipropilene, polistirolo, plastiche multi strato. Il prodotto è un olio che viene utilizzato come materia seconda in ingresso negli impianti petrolchimicio dell BASF in sostituzione di materie fossili.
6) Infine, anche la Eastman, ha deciso di investire in Francia (Port- Jerone-sur-Seine), realizzando un impianto per il riciclo di 200.000 tonnellate/anno di scarti di poliesteri ,con la tecnica della metanolisi. I lavori partiranno nel 2026 e la piena attività è prevista per il 2030.
Tutto fa pensare che investire, oggi, in nuovi "termovalorizzatori" sia un clamoroso "fiasco" economico: raccolte differenziate sempre più efficaci e di migliore qualità, crescenti quantità di plastiche post consumo avviate al riuso e riciclo, taglieranno agli inceneritori con recupero energetici, combustibili e guadagni.
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