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domenica 3 giugno 2018

Chiudere l'ILVA di Taranto con il metano


Nell'agosto  del 2016 uno studio epidemiologico, commissionato dalla Regione Puglia, ha stabilito, senza ombra di dubbio, che gli inquinanti emessi dalle attività a caldo dell'acciaieria di Taranto, sono responsabili di:
  • significativi aumenti (+ 24%) di ricoveri per malattie respiratorie dei bambini che abitano nei quartieri Tamburi e Paolo VI 
  • aumento  della mortalità, per tumore polmonare e infarti di chi abita sottovento agli impianti
L'indagine ha anche escluso che queste differenze siano attribuibili a fattori socioeconomici a fumo e alcool.
La responsabilità di questi danni alla salute è stata confermata dal fatto che l'andamento della mortalità corrisponde ad un simile andamento dell'inquinamento e della produzione di acciaio:
più acciaio prodotto, livelli di inquinamento più alti, maggior numero di morti nella popolazione esposta.
E' certo che la fonte prevalente dell'inquinamento, in particolare di elevate emissioni di potenti cancerogeni quali idrocarburi policiclici aromatici e diossine, siano i reparti che, a partire dl carbone, producono carbon coke.
Il carbon coke, mescolato all'ossido di ferro, trasforma questo minerale in ferro metallico ( ghisa) , con un processo chimico denominato riduzione.

Anche se il carbone è ancora la principale materia prima per produrre ghisa e successivamente acciaio, la riduzione dell'ossido di ferro si può ottenere anche senza carbone.

Per trasformare l'ossido di ferro in ghisa si può usare anche l'ossido di carbonio (CO)  e l'idrogeno che si ottiene per "reforming" del metano.

Questa tecnologia, denominata Midrex, è utilizzata da anni negli Stati Uniti e sostituisce i reparti più inquinanti della produzione dell'acciaio che fa uso di carbone: il deposito carbone, le cokerie, l'agglomerazione, gli altiforni.

I vantaggi ambientali della conversione al metano al posto del carbone, sono stati valutati dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile.

A  fronte di una produzione annua di  8 milioni di tonnellate di acciaio con il processo Midrex si ha una minore produzione di anidride carbonica (-63%) , di anidride solforosa ( - 68%), di ossidi di azoto ( -46%), l'azzeramento delle ricadute di polvere di carbone e l'azzeramento delle emissioni di particolato, di diossine, di idrocarburi policiclici aromatici.

Questa tecnologia è quella che applicherebbe la Jindal South West, una società indiana che, in cordata con la Cassa Depositi e prestiti, la Delfin di Del Vecchio e Arvedi, sono interessati all'acquisto delle acciaierie di Taranto.

Tuttavia,  al momento, sembrerebbe che abbia vinto il vecchio carbone, in quanto la gara è stata aggiudicata all'Arcelor Mittal, ma il Presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, ha fatto ricorso al TAR e il nuovo governo giallo- verde, con Di Maio al Ministero dello Sviluppo economico, potrebbe dar fiato alla "decarbonizzazione" dell'ILVA che tanto piace a Michele Emiliano che, anche su questo tema si è posto in rotta di collisione con il suo partito, il PD, uscito pesantemente penalizzato dalle ultime elezioni.

In particolare,  il Contratto tra il M5S e la Lega, per quanto riguarda l'ILVA di Taranto,  parla di una progressiva chiusura delle fonti inquinanti in grado di proteggere i livelli occupazionali: leggendo tra le righe si potrebbe prefigurare proprio la scelta del passaggio al metano.

Il partito del carbone, in gravi difficoltà a livello mondiale, a Taranto potrebbe essere sconfitto dal partito del metano che, grazie alla scelta di decarbonizzare, potrebbe prendere i classici 2 due piccioni con una fava": la chiusura dei reparti più inquinanti, una produzione di acciaio di qualità pari a 10-12 milioni di tonnellate/anno  di acciaio e il mantenimento della occupazione.

La nuova ILVA, se si riuscirà a farla, avrà bisogno di 3,5 miliardi di metri cubi di metano all'anno.

Il presidente Emiliano pensa che, a tale scopo, potrebbe venir bene il progettato metanodotto (TAP)  che, attraversato lo Ionio, dovrebbe approdare alle coste pugliesi e lasciando a Taranto il 17,5 % della portata di metano, potrebbe garantire l'operatività delle acciaierie.

All'interno dei Cinque Stelle, ci sono posizione contrarie al TAP, anche se questo tema non è esplicitato nel Contratto.

Tuttavia esiste un' altra interessante possibilità che si potrebbe agganciare al tema dell'economia verde, inserito nel Programma: un piano nazionale di efficienza energetica del patrimonio edilizio nazionale, finalizzato a ridurre il consumo di metano per il riscaldamento domestico che, nel 2016, ha usato 31,4 miliardi di metri cubi di metano.

Come si vede, basterebbe ridurre del 11% i consumi nazionali di metano, con una seria Grande Opera  un  migliore isolamento di tetti, infissi e pareti e una migliore regolazione delle temperature interne in gran parte delle abitazioni italiane, per avere a disposizione, senza TAP, tutto il gas che servirebbe all' ILVA di Taranto per produrre acciaio senza inquinamento.

E' un obiettivo assolutamente raggiungibile in quanto, se adottassimo per le nostre abitazioni gli standard di consumi energetici svedesi, la quota di gas metano che oggi usiamo per riscaldare le nostre case passerebbe dall'attuale 30% al 7%, di tutto il metano oggi usato nel nostro Paese.

E, in prospettiva, esiste anche una interessante soluzione per auto-produrre il metano da usare a Taranto.

La soluzione è quella del biometano,  che farebbe contento Salvini  (il bio-metano prodotto in Italia per gli italiani) ma anche Di Maio, che nel suo piano Rifiuti Zero, inserito in Contratto, non esclude che da tutti i nostri scarti biodegradabili si possa produrre biometano da immettere nella rete del gas.

La produzione di biometano avviene con tecniche di trattamento biologico delle frazioni biodegradabili dei nostri scarti agricoli, da allevamenti, da mense e cucine.
Queste tecniche sono mature e economicamente competitive, da un decennio già usate  in diversi paesi (Svezia, Svizzera, Germania...)  e con i primi impianti italiani già operativi.

A tal riguardo, uno studio ENEA ha valutato che la produzione nazionale di biometano potrebbe essere compresa tra 7,6 a 3,3 miliardi di metri cubi all'anno, compatibile con i consumi della acciaieria di Taranto convertita a metano.

Insomma, se si vorrà, tra qualche anno l'acciaieria di Taranto, completamente decarbonizzata, potrebbe produrre acciaio usando, come fonte di energia rinnovabile, il metano prodotto dagli scarti di cucina degli italiani, ovviamente rigorosamente raccolti in modo differenziato.

E anche questo potrebbe essere uno dei tanti  cambiamenti che il nuovo governo auspica e che, se vuole, potrebbe realizzare.

Aggiornamento di settembre 2018: il ministro Di Maio ha chiuso l'accordo per le acciaierie, che restano a carbone.










martedì 26 gennaio 2016

L'inquinamento del porto di Genova: i risultati del progetto APICE




Il ruolo dell'attività portuale nel Mediterraneo, sulla qualità dell'aria delle città che li ospitano è da tempo all'attenzione dell' Unione Europea.

Un apposito progetto, denominato APICE (Action for the mitigation of Port Industries and Cities Emissions), tra il 2010 e il 2013, ha messo sotto osservazione le emissioni in atmosfera di cinque porti del Mediterraneo: Barcellona, Genova, Marsiglia, Tessalonica, Venezia.


Obiettivi principali del progetto:
  • organizzare, in ognuna delle citta portuali, campagne di monitoraggio per stimare la quantità di polveri sottili (PM 2,5) trovate nelle corrispondenti aree urbane ed attribuibili all'attività portuale
  • realizzare inventari delle emissioni annuali di polveri sottili emesse delle navi in attracco
  • elaborare stime delle concentrazioni al suolo di polveri sottili di origine portuale
  • stimare la riduzione dell'inquinamento prodotta dalle misure di mitigazione previste in ciascuna delle aree portuali oggetto di studio
I risultati del progetto sono pubblici e qui illustriamo, in sintesi, i risultati che riguardano il porto di Genova.

Genova, nel corso del 2011, è stata oggetto di una specifica campagna di campionamento ed analisi che ha riguardato tre delle centraline della rete di monitoraggio della qualità dell'aria: corso Firenze e Multedo, di fronte alle due aree portuali genovesi e  Bolzaneto, a circa sette chilometri di distanza dal porto di Voltri.

Le polveri ultra-sottili (PM 2,5), raccolte in questi tre siti, sono state pesate e si è stimata la loro concentrazione nell'aria.

In tutti i tre i siti, le concentrazioni medie di PM 2,5 sono risultate intorno ai 14 microgrammi per metro cubo (ug/m3), quindi tendenzialmente inferiori all'obiettivo di qualità fissato a 25 ug/m3, come media annuale.

Nel 2011, le concentrazioni di  PM 2,5 misurate regolarmente per tutto l'arco dell'anno nel sito di via Buozzi, di fronte ai moli riservati ai traghetti e alla sopraelevata, sono state  di 22 ug/m3, di poco inferiori all'obiettivo di 25 ug/m3.

Di ognuno dei campioni si è analizzata la composizione chimica delle polveri raccolte.

L'abbondanza relativa di Carbonio organico, di dieci  metalli, in particolare Vanadio e Nichel, di solfati, nitrati, ioni ammonio, ha permesso di stimare la quantità di polveri sottili prodotta dalla combustione di olio pesante, il tipico combustibile utilizzato per trasporto navale, e quella attribuibile al traffico urbano.


Da febbraio ad ottobre, la percentuale di polveri sottili (PM 2,5) stimata essere prodotta dai generatori diesel delle navi attraccate ai moli  e ricadute al suolo, nei pressi delle tre centraline, sono state: 13,7% (corso Firenze), 11,8% (Multedo), 10,3% (Bolzaneto).

Negli stessi siti, le percentuali di polveri stimate derivanti direttamente dal traffico veicolare (tubi di scappamento, consumi di pneumatici, freni, asfalto...) sono state: 23% (corso Firenze), 17,8% (Multedo), 29,6% (Bolzaneto).

Circa il 60% delle polveri raccolte nei tre siti sono solfati e nitrati, derivanti da reazioni fotochimiche che sono avvenute in atmosfera, a partire da anidride solforosa e ossidi di azoto, in parte derivanti dalle stesse attività portuali, in particolare l'anidride solforosa, a causa della elevata concentrazione di zolfo presente nei combustibili usati per il trasporto navale.

Volutamente, una parte dei campionamenti effettuati nel corso del progetto APICE hanno riguardato solo i mesi primaverili ed estivi (da febbraio ad ottobre 2011) durante i quali, a Genova, i venti prevalenti provengono da Sud-Sud Est e, quindi gran parte della città si trova sotto-vento alle emissioni in atmosfera delle attività portuali.

Invece, nei mesi invernali, prevalgono forti venti da Nord-Est che portano lontano, verso il mare aperto, gli inquinanti emessi dalla attività portuale.

La Rosa dei Venti, riportata in Figura 1 e registrata a Genova nel corso del 2009, mostra che, su base annuale, per circa il 60% del tempo, l'area urbana di Genova si trova sopra-vento all'area portuale e quindi non subisce l'impatto delle sue emissioni inquinanti.
Fig. 1: Direzione e velocità (metri/sec) dei venti a Genova nel 2009

Questi risultati segnalano che d'estate, quando la città si trova prevalentemente sotto-vento alle attività portuali, le polveri sottili emesse dalle ciminiere delle navi si disperdono nell'entroterra, a distanza di diversi chilometri, coinvolgendo direttamente gran parte dell'area urbana genovese.

In sintesi, lo studio APICE ha dimostrato che le polveri sottili (PM 10-PM 2,5) prodotte dall'attività portuale sono in grado di raggiungere  aree urbane lontane anche diversi chilometri dal porto.


Nel periodo estivo, la concentrazione delle polveri "portuali" che si depositano lontano dalle vie più trafficate della città, come corso Firenze, è tutt'altro che trascurabile e confrontabile (circa la metà) con il contributo attribuibile a tutto il traffico cittadino, compreso il traffico leggero e pesante, indotto dalla stessa attività portuale, in particolare il traffico turistico associato ai traghetti per la Sardegna e la Corsica.

Tuttavia, al contrario delle città della pianura padana, i principale problema ambientale di Genova non sono le polveri sottili.

La Figura 2 mostra l'andamento delle concentrazioni medie annuali di PM10, dal 2008 al 2012, nelle sei centraline  cittadine.

In questi anni non abbiano mai registrato superamenti del limite di legge, pari a 40 ug/m3.

I siti più a rischio di superamento sono quelli di corso Europa e via Buozzi e il contributo di polveri primarie e secondarie di origine "portuale" potrebbe essere determinante per  il mancato rispetto dei limiti ma il problema principale della nostra città deriva dagli ossidi di azoto (Figura 3).

Fig. 2. Andamento della media annuale di PM10 a Genova (2008-2012)


La dimostrazione che tra il 10 al 14% delle polveri primarie che si trovano nell'area urbana genovese derivino dall'attività portuale, ci indica che un ruolo altrettanto determinante sulla qualità dell'aria genovese lo devono avere anche le emissioni di ossidi di azoto, prodotti dalle stesse combustioni che producono le polveri sottili.

Gli inventari delle emissioni in ambito portuale  ci dicono che  per ogni tonnellata di polveri sottili che escono dai camini delle navi,  ci sono anche circa 40 tonnellate di ossidi di azoto che, una volta in atmosfera, si disperdono con regole molto simili a quelle delle polveri sottili, diminuendo la loro concentrazione nell'aria, ma sempre mantenendo lo stesso rapporto di massa.

E' quindi molto probabile che anche gli ossidi di azoto prodotti dall'attività portuale abbiano un ruolo tutt'altro che trascurabile sui continui superamenti degli obiettivi di qualità del biossido di azoto che si registrano in città.
Fig. 3: concentrazioni medie annuali (1993-2009) di NO2  a Genova

La Figura 3 mostra l'andamento, dal 1993 al 2009, delle concentrazioni annuali di biossido di azoto (N02) a Genova, in tre delle nostre centraline: Quarto, Corso Firenze, Corso Europa.


Le concentrazioni più elevate  si sono sempre registrate nel sito di corso Europa, scelto per monitorare l'inquinamento da traffico.

Anche se le concentrazioni di NO2 sono progressivamente diminuite negli anni, a causa dell'aumento di auto catalizzate che, nel parco veicolare genovese a partire dal 1993, hanno sostituito le vetture Euro 0,  in corso Europa si è sempre superato il limite di 40 ng/m3.

Le concentrazioni più basse di NO2 si sono sempre registrate nella stazione di fondo urbano di Quarto che, tranne nel 1999 e 2008, è sempre stata al di sotto del limite di 40 ug/m3.

La centralina di corso Firenze, anch'essa scelta come fondo urbano, pur mostrando una tendenza alla diminuzione, sfora di circa il 10% il limite.

In anni più recenti (2012) la situazione appare stabilizzata (Fig. 4).
Corso Firenze, per pochi microgrammi rientra nei limiti, come pure l'Acquasola; tutti gli altri siti sono fuori regola, con i massimi in corso Buenos Aires nel centro città e in via Pastorino, a Bolzaneto.

Gli ultimi dati del 2015, continuano  a segnalare che la qualità dell'aria genovese è fuori legge per gli ossidi di azoto, con in testa Corso Europa a 69 ug/m3, seguita da via Pastorino con 58,8 ug/m3 di NO2.

Siamo fuori di circa il 70,  rispetto all'obiettivo di qualità e questo significa che per avere elevate probabilità di rientrare nei valori di legge, occorre ridurre del 70% le attuali emissioni di NO2. 



Fig. 4: andamento della concentrazione media annuale (2008-2012) di NO2 nei siti genovesi

Sappiamo che per evitare le salate multe dell'Unione Europea, per infrazione alle norme comunitarie a tutela della salute pubblica, il Sindaco di Genova ha vietato la circolazione a vespe a due tempi e alle vetture Euro 0 e Euro 1, poco meno del 10% dell'intero parco veicolare genovese.

E' un provvedimento che, dati alla mano, non risolverà il problema; la loro dismissione, qualora possibile, ridurrebbe solo di qualche per cento le emissioni inquinanti.

Sarebbe invece interessante sapere come cambierebbe la qualità dell'aria della nostra città, per le polveri sottili, ma ancor più per l'NO2,  se l'Ente che gestisce il Porto di Genova si desse una regolata sulle normative anti inquinamento, occupandosi anche della salute degli abitanti della città che ospita il porto.

A ben vedere questa risposta ce l'aveva, in parte, già data nel 2013, proprio il progetto APICE, che, giunto alla sua conclusione, aveva stimato che l' elettrificazione prevista (e non realizzata) al terminal cargo al VTE di Voltri, e al Terminal Traghetti, potrebbe ridurre del 10% le intere emissioni del porto e dell'80% quelle nelle immediate vicinanze di questi due approdi, oggi prodotte dai generatori diesel che le navi sono costrette a tenere continuamente accesi per alimentare i servizi di bordo.

In particolare, il progetto APICE ha stimato che con questi due interventi,  gli ossidi di azoto, oggi prodotti dalle navi in attracco, si ridurrebbero del 38% e le PM10 del 35%, con indubbi riflessi positivi sulla qualità dell'aria delle abitazioni di Genova e Voltri, in particolare quelle più vicine ai moli.

Forse l'elettrificazione dei moli non è la soluzione definitiva ma ci avvicineremmo molto all'obiettivo che probabilmente potrà essere raggiunto con la chiusura delle centrale a carbone, ancora in parte attiva, sotto la Lanterna, in area portuale.


Non sarebbe meglio che il Sindaco, la sua Giunta, l'intero Comune, facendo le debite pressioni politiche sugli Enti di controllo (USL, ARPAL), il  Consorzio del Porto, l' ENEL, il Governo focalizzassero su questi specifici obiettivi i loro sforzi, nell'interesse dell'intera comunità, compresa quella dei lavoratori portuali che, non dobbiamo dimenticare, è la popolazione più esposta ai fumi del porto?

Sullo stesso argomento:

- Chi inquina l'aria di Genova?















venerdì 31 luglio 2015

E se Genova fosse la prima città a Rifiuti Zero, senza inceneritori?

Con la chiusura della discarica di Scarpino, per il divieto di conferire frazioni organiche e indifferenziato tal quale, Genova, da quasi un anno, non ha impianti dove smaltire sia i suoi scarti indifferenziati che la frazione umida che si comincia a differenziare presso i centri commerciali ed in alcuni quartieri cittadini. 

Pertanto è stato giocoforza portare fuori regione queste due frazioni, affinché siano compostati o inceneriti.

Questa scelta ha aggravato i costi del servizio, ma ha permesso di tenere la città sufficientemente pulita, senza reali emergenze rifiuti che qualcuno, nei propri interessi, certamente auspica.

Tuttavia, come a volte succede, questa grave crisi potrebbe diventare un'opportunità. in quanto costringerebbe AMIU a trasformarsi: da azienda capace solo di raccogliere i rifiuti da smaltire  in discarica, diventare una nuova azienda che deve imparare come raccogliere in modo innovativo (Porta a Porta) i Materiali post consumo selezionati dai genovesi, migliorarne la qualità e immetterli in nuovi cicli produttivi.

Dalla Economia Lineare (produci, consuma, smaltisci), AMIU potrebbe diventare la prima azienda italiana della nuova Economia Circolare (produci, usa e ricicli).

Ma i vecchi interessi, compresi quelli malavitosi, che hanno fatto grandi e facili affari con lo smaltimento dei rifiuti tal quale in discarica o negli inceneritori, non hanno alcuna voglia di mollare l'osso.

Nel corso della Tavola rotonda del 29 luglio, organizzata a Genova dalla associazione Gestione Corretta dei Rifiuti, con la partecipazione, tra gli altri,  del presidente AMIU Castagna, dell'assessore Ambiente Porcile e del consigliere Pignone, con delega alla gestione dei materiali post consumo, si è appreso che nel territorio provinciale non si trovano i 40.000 metri quadrati  necessari per l'impianto per il trattamento a freddo delle frazioni indifferenziate (con recupero di materia) e per l'impianto di digestione anaerobica per il trattamento della frazione organica, predisposto per la produzione di
compost e di biometano da utilizzare come combustibile per l'autotrazione.

Questa carenza di spazi, oltre alla orografia ligure, deriva anche dal fatto che, a quanto affermato dal presidente Castagna, la scusa addotta è che le poche aree disponibili a Genova sono già state accaparrate a servizio dei futuri lavori del terzo valico e della "gronda autostradale", grandi opere di dubbia utilità e, a mio avviso, fuori tempo massimo, rispetto ai profondi cambiamenti in atto nelle modalità di trasporto.

Se in questo modo, alcuni "poteri forti" si stanno mettendo  di traverso per impedire, di fatto, il progetto innovativo di realizzare in Liguria una economia circolare, basata sul riutilizzo degli scarti dei genovesi, ci sono anche cinque presidenti dei Municipi genovesi a fare orecchio da mercante rispetto alla pressante richiesta di realizzare nei quartieri di loro competenza le Isole Ecologiche, servizi di estrema utilità per i loro concittadini che, in questo modo, potrebbero conferire i loro scarti ingombranti, quelli pericolosi e le apparecchiature elettriche e elettroniche.




Oggi, su nove Municipi, solo quattro sono dotati di Isole Ecologiche (lungo Bisagno, val Polcevera, Pontedecimo, Pra) e ognuna di loro permette il recupero di 5.000 tonnellate all'anno di scarti, evitandone l'abbandono e lo smaltimento indiffereziato, con pesanti costi a carico della comunità per la bonifica dei siti contaminati e per il pagamento delle ecotasse regionali.

Come ha ricordato Castagna, presidente AMIU, se tutte le isole ecologiche fossero operative, 45.000 tonnellate di rifiuti potrebbero essere riciclati ogni anno, circa il 22% dell'intera produzione genovese di Materiali Post Consumo indifferenziati (205.900 tonnellate nel 2014).


Nella Tavola Rotonda è anche emersa la perplessità della CGIL rispetto al nuovo piano di gestione dei Materiali Post Consumo,  nonostante il fatto documentato che l'introduzione del Porta a Porta aumenti in modo significativo l'occupazione.

Al sindacato, il passaggio al Porta a Porta (unico modo per raggiungere e superare il 65% di raccolta differenziata) non andrebbe bene, in quanto questo servizio potrebbe essere assegnato a basso costo alle coperative sociali e inoltre potrebbe essere un intollerabile aggravio alla salute dei lavoratori.
Posizione miope, non adegatamente documentata, incapacità di governare l'inevitabile cambiamento? 


E invece sicuro che dalla attuali grave crisi Genova può uscire con un vero piano  che adotti la strategia Rifiuti Zero, incentrato sul massimo recupero di materia e su raccolta porta a porta su tutta la città'.

Come brevemente descitto da Federico Valerio, ricercatore esperto in chimica ambientale,  la scelta di gestire la frazione organica con la digestione anaerobica può assecondare gli obiettivi di un elevato recupero di materia con il minimo impatto ambientale se l'impianto, come è possibile, sarà predisposto a produrre e commercializzare compost di qualità prodotto con il compostaggio del digestato e a privilegiare la raffinazione del biogas (miscela anidride carbonica e metano ) per produrre metano ad elevata purezza, materia di alta qualità, ancorché in fase gassosa, utilizzabile per movimentare l'intera  flotta automezzi AMIU e AMT, una volta che questi automezzi pesanti fossero trasformati per essere alimentati a metano.

Grazie a questa rivoluzione, Genova potrebbe diventare la prima grande città italiana a Rifiuti Zero, con raccolta porta a porta estesa a tutto il suo territorio, senza inceneritori e senza produzione di combustibili da rifiuto.

Ci sono le premesse perché questo possa realmente avvenire, in quanto questa è la volontà politica del Comune, in sintonia con le scelte del Presidente AMIU, condivise dal nuovo Direttore Generale e con l'appoggio di una buon numero di genovesi.
 

Per non perdere altro tempo e dar così fiato agli amici dell'incenerimento tal quale (sempre in agguato) Genova, nei prossimi due anni,  deve essere aiutata a trovare le aree per i suoi impianti e per le Isole Ecologiche, a superare l'emergenza della discarica e a far partire la raccolta porta a porta di tutte le frazioni, separate con cura dai cittadini.

E se nel frattempo si studiasse come passare alla Tariffazione Puntuale per far pagare meno a chi differenzia di più, non sarebbe male.

Resta i problema di chi paga questi interventi.

Ieri il Comune ha votato perchè IREN entri a far parte della partita. E' una scelta molto criticata, in quanto potrebbe aprire la via ad una privatizzazione dei servizi di gestione dei materiali post consumo, a danno dei cittadini che comunque dovranno pagare questa operazione.

C'è comunque da sperare che anche IREN abbia capito che oggi e ancor piu nel prossimo futuro i materiali post consumo sono una vera risorsa economica, solo se riciclati.

Se fossi un imprenditore,  non investirei un soldo nei termovalorizzatori e nei combustibili da rifiuto.

Infatti dubito che si possa continuare ad incentivare con denaro pubblico l'incenerimento di rifiuti o di combustibili solidi ricavati dai rifiuti, sistemi che conti alla mano, inquinano, sprecano energia e materia e contribuiscono pesantemente alla emissione di gas clima alteranti.

E senza incentivi questi impianti sono destinati ad un rapido fallimento.

venerdì 7 marzo 2014

E Genova, finalmente, si "composta bene"!

 
Compostiera collettiva nel giardino pubblico di Bogliasco

E finalmente, in tutta  Genova, partirà la raccolta differenziata della frazione organica presente negli scarti della città. 

Per convincere AMIU e il Comune  a fare questo passo, fondamentale per rispettare gli obiettivi di Legge (almeno 65% di raccolta differenziata) c'è voluto un mezzo disastro ambientale creato dall'anomala produzione di percolato della discarica di Scarpino, percolato finito nel torrente che scende dalla grande discarica che, quaranti anni fa, Genova ha realizzato in un vallata, sui monti alle spalle della città.

Ma, ancor di più, ha  pesato l'indagine aperta dalla Procura della Repubblica su questa vicenda che ha messo sotto accusa un bel pò di dirigenti AMIU, l'Azienda per l'Igiene Urbana genovese.

Con la loro differenziazione all'origine,  gli scarti di cibo, gli sfalci e le potature saranno sottratti alla discarica, non produrranno più percolato, tossico per tutte le forme di vita che popolavano i torrenti e,  grazie al processo "naturale" del compostaggio, diventeranno un ammendante agricolo per produrre ortaggi, basilico, fiori, olive...

Ma c'è un problema, in Liguria non c'è un solo impianto di compostaggio e, fino ad oggi, nessun sindaco dei Comuni della Provincia di Genova se l'è sentita di scegliere il sito dove ospitare i quattro impianti di compostaggio previsti, a cominciare dal lontano 2003, dal Piano provinciale per la gestione dei rifiuti.

Nell'ultima edizione del Piano Provinciale, l'impianto più importante, che avrebbe dovuto trattare 60.000 tonnellate annue di frazione organica, avrebbe dovuto essere realizzato dal Comune di Genova; altri due impianti erano previsti in Valle Stura e Val Graveglia. Fino ad ieri non se ne fatto nulla.

Motivi di questa  non scelta: il timore di perdere consenso da parte dei cittadini più vicicni agli impianti e il fatto che il compostaggio non gode dei succulenti incentivi pubblici previsti, invece, per la termovalorizzazione.

Pertanto, l'inerzia dei Sindaci ci costringerà ancora per qualche anno a mandare i nostri scarti di cibo negli impianti di compostaggio alessandrini, con un costo di smaltimento, a carico di noi tutti, di circa 90 euro per tonnellata, più le spese di trasporto.

Non sarebbe male che la Corte dei Conti indaghi su questi e sui numerosi altri danni economici fatti pagare ai contribuenti a causa della pervicace resistenza di tutte le pubbliche amministrazioni liguri a fare raccolta differenziata e a realizzare impianti di compostaggio.

Infatti, questa inerzia ci è costata un bel pò di euro, sotto forma di ecotasse pagate per il conferimento a discarica  (14 euro a tonnellata) e ci costerà anche negli anni a venire, per il trattamento del percolato di Scarpino che continuerà per decenni, anche dopo la chiusura della discarica.

E nel conto delle scelte sbagliate bisogna anche mettere gli sprechi alimentari indotti dai meccanismi della grande distribuzione e persino i costi per allontanare i gabbiani dalla pista dell'aeroporto di Sestri, che sono così numerosi in quanto, letteralmente, all'ingrasso grazie al pasto giornaliero che gli forniamo quando i camion della rumenta tal quale si liberano del carico sulle alture di Scarpino.

Genova, ogni anno produce circa 160.000 tonnellate di scarti organici. Per rispettare l'obiettivo del 65% di raccolta differenziata, dovremmo separare alla fonte e compostare, circa 100.000 tonnellate, con un costo per il solo compostaggio di ben 9 milioni di euro.

Ma il Comune e AMIU potrebbero, almeno in parte,  ridurre questi costi, approvando una delibera già pronta fin dai tempi della Giunta Vincenzi la quale prevede l'estensione della riduzione TARSU anche a chi fa compostaggio domestico su un piccolo balcone o un terrazzino del centro antico.

Oggi questa riduzione (15 euro all'anno) è riconosciuta solo a chi dispone di un terrazzo di 15 metri quadrati e circa 4.000 famiglie genovesi hanno goduto di questo sconto autocertificando di fare compostaggio.

Per vincere la diffidenza dei dirigenti comunali, l'assessorato ambiente del comune di Genova, circa tre anni fa, ha avviato una sperimentazione per verificare se il campostaggio fosse possibile anche in piccoli spazi verdi quali i numerosi balconi fioriti che abbelliscono la città.

Dieci famiglie, dotate di balconi e terrazzini fioriti, dopo un corso a loro dedicato, per sei mesi hanno avviato esperienze di compostaggio. Tutti hanno portato a termine il loro compito e trasformato in tre mesi tutti i loro scarti di cucina, potenzialmente puzzolenti, in un bel terriccio profumato di bosco utulizzato nei vasi dei gerani e di basilico coltivati nel balconcino di casa. Il successo di questa iniziativa è stato confermato dal fatto che nessun vicino di casa si sia mai lamentato!

Estendere lo sconto TARSU a chi composta su un balcone o un terrazzino fiorito del centro antico potrebbe ridare fiato al progetto "30.000 compostiere in città" che il comitato scientifico del Museo della "Rumenta" (Palazzo Verde, nei magazzini dell'Abbondanza al Molo), tre anni or sono aveva già proposto all'amministrazione.

A Genova ci sono almeno 80.000 famiglie che, grazie a un orto, a un giardino, a un terrazzo e a un balcone fiorito praticano regolarmente il giardinaggio.

Tutti costoro sono dei potenziali compostatori  in quanto hanno l'interesse a trasformare gli scarti delle piante da loro coltivate e quelli della loro cucina,  in compost, di fatto un terriccio fertile da riutilizzare nell'orto e nei vasi da fiore.

Pensare che un terzo delle famiglie genovesi con il pollice verde si possa dedicare regolarmente anche al compostaggio è molto realistico. E i numeri in gioco sarebbero molto interessanti.

Una famiglia tipo di tre membri, produce annualmente circa duecento chili di scarti compostabili.
Pertanto, trentamila compostatori urbani, immediatamente, potrebbero sottrarre dal ciclo dei rifiuti seimila tonnellate di scarti organici, il 6% dell'obiettivo annuo di umido da differenziare.

Il dr Pietro D'Alema, Direttore Generale AMIU, su mia esplicita richiesta, ha confermato il suo impegno affinche l'Assessore Garotta firmi la Delibera che estende lo sconto TARSU a tutti i compostatori urbani.

Stiamo a vedere. 

Per chi fosse interessato, a questo indirizzo (http://www.federico-valerio.it/?page_id=77) può scaricare la sesta edizione del Corso di Compostaggio Domestico in Campagna e in Città, realizzato a cura di Italia Nostra, con la collaborazione della Scuola Agraria del Parco di Monza.
Il Manuale, unico in Italia, fornisce tutte le informazioni utili per realizzare delle compostiere da balcone e i trucchi per compostare senza impatto ambientale.

A quest'altro indirizzo ( http://www.youtube.com/watch?v=moiUeUwIe7c )  un filmato della Provincia di Genova che fa vedere come sia possibile compostare sul balcone di casa.

lunedì 17 febbraio 2014

Una centrale elettrica a Cornigliano?

Le aree industriali di Genova Cornigliano
Nelle aree industriali di Cornigliano, liberate nel 2002 dagli inquinanti impianti a caldo, potrebbe ritornare una centrale elettrica e, con la centrale potrebbero ritornare anche un bel pò di polveri sottili e di ossidi di azoto, di cui i corniglianesi non sentono proprio la mancanza.

La disponibilità di 10 ettari, magnanimamente restituiti dall'ILVA, stanno suscitando gli appetiti di facili e grandi guadagni.

IREN, Ansaldo, AMIU, con la benedizione del Comune di Genova, stanno pensando di prendere due piccioni con una fava: grazie alla nuova disponibilità di aree, accanto al previsto depuratore che libererà Cornigliano dai suoi miasmi, potrebbe sorgere una centrale elettrica alimentata con il biogas prodotto dalla digestione anaerobica dei fanghi di tutti i depuratori genovesi che già si prevedeva dovessero confluire qui.

Il facile affare è quello delle generose incentivazioni date all'elettricità prodotta da fonti di energie rinnovabile, denominati "Certificati Verdi", in realtà una tassa pagata, a loro insaputa, da tutti gli italiani, con le bollette della luce.

Il biogas sarà anche una fonte di energia rinnovabile, ma la sua combustione, inevitabilmente produce, a norma di legge, inquinamento e giustamente, gli abitanti di Cornigliano potrebbero dire: "Abbiamo già dato".

E anche tutti gli altri genovesi avrebbero qualche cosa da ridire, in quanto l'entrata in funzione di questa nuova centrale che, visti i grandi appetiti,  temiamo possa essere di grandi dimensioni,  inevitabilmente immetterà in atmosfera diverse tonnellate di nuovi inquinanti e questo fatto, dal punto di vista giuridico, è in contrasto con la legge che tutela la qualità dell'aria e la salute di tutti noi.

A titolo di esempio, da misure effettuate su centyrali danesi, per ogni Giga joule ( 277 kwh) di elettricità prodotta, una centrale a biogas immette in atmosfera 451 milligrammi di PM10.

Se IREN, Ansaldo, AMIU volessero rinunciare ai facili affari dei "Certificati Verdi" e a produrre elettricità, una soluzione ci sarebbe: a Cornigliano si realizza un impianto biologico integrato per il trattamento delle acque fognarie, dei fanghi di depurazione e delle frazioni organiche da raccolta differenziata.

Risolti in questo modo i miasmi dell'attuale depuratore di Cornigliano e del fangodotto della Volpara, il nuovo impianto biologico potrà produre compost di qualità, da vendere al migliore acquirente e metano (biometano) da utilizzare per gli autoconsumi dei nuovi impianti biologici e come combustibile per i mezzi AMT e AMIU, convertiti alla trazione a metano.

Un' eventuale quota eccedente di biometano potrebbe essere immessa nella rete di distribuzione del gas ed utilizzata in sostituzione di analoghi volumi di gas libico e siberiano.

Infine, una progettazione attenta agli interessi del territorio che ospita l'impianto, potrebbe dimensionare il nuovo impianto, per fornire calore e frigorie agli edifici più vicini e quindi permettere  lo spegnimento delle attuali caldaie.

Con questa soluzione a Cornigliano e a Genova non ci sarebbe nessuna nuova fonte inquinante e Genova potrebbe continuare ad essere tra le poche grandi città italiane, dove si rispettano i limiti per le polveri sottili, le micidiali PM10.




giovedì 9 gennaio 2014

Con il nuovo Piano Industriale Genova cancella il termovalorizzatore: Italia Nostra festeggia con cautela.




Ieri, a Genova, il Presidente della Azienda Municipale Igiene Urbana (AMIU) in accordo con il Comune, ha presentato le linee guida del nuovo Piano Industriale per la gestione di quelli che, ormai ufficialmente, anche per AMIU, sono diventati Materiali Post Consumo.

E' una vera rivoluzione culturale, di rilevanza internazionale, che passa da una gestione lineare (produci, consuma, smaltisci), ad una gestione circolare (produci, usa, riusa, ricicla).

Per l' 80% il piano industriale AMIU ricalca quanto proposto alcuni anni or sono da Italia Nostra.

Le principali divergenze di questo Piano Industriale con il Modello Italia Nostra sono:
1- una crescita della raccolta differenziata troppo lenta, con il rinvio al 2020 dell'obiettivo di legge del 65%, che bisognava raggiungere nel 2012.
2- l'uso come combustibile per i cementifici della frazione non riciclabile
3- l'ipotesi che la legna recuperata dalla pulizia di boschi e rii possa essere utilizzata per produrre energia.

Ma con un buona volontà, nell'interesse di tutti, il Piano potrebbe  migliorare se si faranno anche queste tre cose:

1- La rapida realizzazione del previsto impianto di compostaggio (ci vogliono due anni, autorizzazioni comprese), dovrebbe permettere di accelerare questi tempi, con l'estensione della raccolta differenziata dell'umido (il 35% dei nostri scarti) a nuovi quartieri della città, evitando, come avviene oggi, di trasportare l'organico negli impianti di compostaggio dell'alessandrino.
Una volta identificato il sito, Italia Nostra si impegna ad sostenere questa scelta. Già lo sta facendo con i suoi corsi di compostaggio che hanno reso famigliare a migliaia di liguri questa pratica che utilizzano per compostare, senza problemi, i loro scarti umidi. Intercettato, con l'umido,un buon 30% degli scarti genovesi, aggiunti al 33% già oggi differenziato, il gioco sarà fatto.

2- Genova dispone di un impianto per la valorizzazione e la commercializzazione delle plastiche miste destinate al riuso.
Ulteriori sistemi di raffinazione di queste plastiche sono possibili e obbligatori per ottenere  la qualità richiesta per i Combustibili Solidi Secondari e per i Combustili da Rifiuti di qualità.
Ma a questo punto il materiale in uscita da questi impianti è di una qualità tale da essere appetibile anche  al nuovo  mercato delle plastiche miste.
Sappiamo di contatti di AMIU con industriali italiani del settore del riuso di plastiche miste.
Pertanto esiste  la possibilità, molto reale, che anche per le plastiche miste differenziate a Genova si possa creare una filiera industriale finalizzata al loro riuso, molto più remunerativa e meno impattante del loro uso come combustibile.

3- Per quanto riguarda l'ipotesi di utilizzare la legna dei boschi per produrre energia elettrica, Italia Nostra ha una proposta molto più interessante e molto più utile per la qualità dell'ambiente e per ridurre le emissioni di gas clima alteranti: usare ramaglie, potature, tagli di alberi necessari per la salvaguardia dei versanti, legname accumulato da fenomeni alluvionali, per produrre il cippato di legno necessario per il buon funzionamento dei previsti impianti di compostaggio.
Solo per Genova, per compostare le 70.000 tonnellate annue di frazione organica, come prevede il piano, ci vogliono circa 15.000 tonnellate di cippato di legno vergine e pulito.

Il nuovo piano AMIU prevede che i materiali raccolti in città, in modo differenziato (carta, cartoni, vetro, alluminio, ferro, frazione organica) saranno in gran parte utilizzati in nuovi cicli produttivi che, in toto o in parte, potranno essere gestiti dalla stessa Azienda.

In questo modo AMIU si trasforma da azienda per lo smaltimento ad azienda per il riciclo e il riuso.

La frazione organica, in un impianto di compostaggio e di digestione anaerobica, sarà trasformata in compost di qualità e in metano da immettere nella rete di distribuzione del gas e da utilizzare per l'auto trazione.

Anche le demolizioni edili troveranno nuovi utilizzi.

Grazie a questo piano industriale, certamente Genova e molto probabilmente la Liguria, non avranno bisogno di inceneritori e gasificatori.

E oggi festeggiano, con cautela, tutti coloro che nell'ultimo decennio, con forze impari, si sono opposti con competenza e credibili proposte alternative, all'imbroglio della  termovalorizzazione, Italia Nostra è tra questi.

Grazie a questo impegno, che ha mobilitato molti cittadini, associazioni e qualche forza politica, Genova ha evitato, negli ultimi 15 anni,  la realizzazione di tre inceneritori, uno dei quali avrebbe visto svettare il suo camino accanto alla Lanterna, il faro medioevale simbolo della Città, ipotesi che Italia Nostra ha fortemente contrastato.

In assenza di questi vincoli, che avrebbero ammazzato sul nascere qualunque scelta virtuosa di riduzione e di riciclo, oggi può partire questa nuova sfida.

Per accettarla e vincerla la Dirigenza e le maestranze AMIU dovranno crescere in conoscenza, cultura, esperienza e la stessa crescita sarà richiesta a tutti i genovesi.

La semina fatta in questi anni,  per la costruzione di un modello di sviluppo durevole, ha già creato un terreno fertile in città e in Liguria.

E per far crescere con robuste radici questa nuova pianta, nei prossimi giorni, AMIU presenterà il progetto per la realizzazione di "AMIU, azienda intelligente": un tavolo di lavoro che metterà insieme le migliori teste della città, della Ricerca, delle realtà produttive,  per costruire insieme la Genova di domani prossimo.

E che la soluzione alla crisi mondiale possa partire da Genova, dalla rivalutazione della sua "Rumenta", trasformata da problema a risorsa, e' una sfida singolare, ma certamente molto stimolante.

Anche Italia Nostra è disposta, per la sua parte, ad accettare questa sfida.

domenica 4 settembre 2011

Centrali a metano a Genova

Condivido la scelta del Comune di Genova della chiusura definitiva della centrale a carbone in porto e dell'esclusivo ricorso a metano per la centrale elettrica che dovrà alimentare i laminatoi Riva, a Genova Cornigliano.

Quindi, a Genova niente più carbone e niente olio di palma.

Invece l'annunciata chiusura dell'impianto di cogenerazione a metano di Genova Sampierdarena, come minimo, richiede una esauriente spiegazione.

A mio avviso, devono essere esplicitate e rese pubbliche altre precisazioni su queste scelte: la nuova centrale a metano deve essere rigorosamente a cogenerazione e deve poter fornire calorie e frigorie agli edifici vicini, in primo luogo il nuovo polo tecnologico degli Erzelli e se possibile il centro commerciale di Fiumara che è un gigantesco colabrodo energetico. Questo permetterebbe di spegnere le sua attuali caldaie e di azzerarne i consumi di elettricità per il condizionamento.

Occorre che tutti non dimentichiamo che ENEL (con la centrale a carbone) e Riva con cokerie e altoforno,  hanno contratto un pesante debito con i genovesi che abitavano e abitano sottovento ai loro impianti.

Una forma di risarcimento potrebbe venire da Riva con la scelta doverosa di mettere a disposizione del Comune la grande superficie dei tetti dei suoi reparti per realizzare un'altrettanto grande centrale fotovoltaica, la cui elettricità potrà essere ceduta al Comune e utilizzata per usi pubblici.

Ovviamente sarebbe utile ed opportuno che i pannelli fotovoltaici utilizzati da questo mega impianto, uno dei più grandi in Europa, possano essere prodotti dalla Ferrania Solis, azienda che opera nel savonese, in Val Bormida a tutela dell'occupazione ligure.

Ci aspettiamo che IREN, Riva e ENEL studino anche la possibilità che la centrale Riva,  possa essere in parte alimentata con  bio-metano ottenuto depurando il biogas prodotto a Scarpino dai rifiuti dei genovesi e così depurato immesso nella rete di distribuzione del gas cittadino.

Questa scelta permetterebbe di aumentare enormemente l'efficenza energetica del polo di trattamento rifiuti di Scarpino, di fatto realizzando un impianto di teleriscaldamento a biometano, a favore di tutta la città.

Comunque è assolutamente obbligatorio, anche in nome del "sano" sviluppo di Genova, che la quantità di polveri sottili e ossidi di azoto emessi dalla  centrale a metano di Riva  e dal futuro gassificatore di rifiuti di Scarpino,  sia nettamente inferiore a quanto oggi emettono la centrale a carbone, l'impianto di cogenerazione di Sampierdarena, gli impianti di condizionamento del centro Commerciale di Fiumara e alcuni dei traghetti attraccati in porto.

In quanto ai costi, cogenerazione, biometano, fotovoltaico, potrebbero usufruire di tutti gli incentivi che questo governo ha ancora lasciato.

E nella colonna, "ricavi" di questa scelta epocale, mi piacerebbe che qualcuno calcolasse e inserisse  i mancati costi, negli anni a venire, per l' evitata cura di asme infantili e di malattie croniche di anziani, derivanti dalla prevista riduzione dell'inquinamento.

Valutazioni  su quanto si potrebbe ridurre il bilancio regionale per la sanità, con l'evitato inquinamento, potrebbero venire da uno studio sullo stato di salute dei Corniglianesi, dopo la chiusura, dieci anni fa,  di cokerie e acciaierie. E per fare questi conti Genova ha una risorsa che, in nome dei contenimenti dei costi la città rischia di perdere, il Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell'IST di Genova,  a cui sarebbe bello affidare lo studio, visto che, oltre alle competenze, i dati fondamentali sono già in possesso dei suoi ricercatori.

Ritengo opportuno precisare che, pur essendo un dipendente IST,  nel fare questa proposta non ho nessun conflitto di interesse, in quanto il prossimo gennaio andrò in pensione ( che lo crediate o no, ho superato i 65 anni  :-)).