venerdì 28 settembre 2012

La "benedetta" ignoranza dell'Assessore Ambiente Regione Puglia. di Taranto

Un assessore alla "Qualità dell'Ambiente" (sic), prima di assumere questo incarico,  è tenuto a fare un corso accelerato di Chimica Ambientale? E' lecito, quantomeno, chiedergli di documentarsi, prima di fare dichiarazioni su un argomento estremamente delicato come l'impatto ambientale e sanitario delle acciaierie di Taranto?
L'assessore di cui parliamo è Lorenzo Nicastro, della Regione Puglia.
Quella che segue è la sua dichiarazione rilasciata alcuni giorni fa, a commento dei più recenti dati sull'inquinamento a Taranto.
Con riferimento alle concentrazioni mensili di benzo(a)pirene (BaP), un potente cancerogeno prodotto da tutte le combustioni e presente in alta concentrazione nelle emissioni della cokeria di Taranto ha detto:

“Nei rilevamenti effettuati  nella zona più critica dei Tamburi, il BaP passa da 2,76 ng/m3 di gennaio a 0,67 ng/m3 di luglio,  con picchi che vanno sotto 0,20 ng/m3 nei mesi di aprile e giugno. Il dato medio è inferiore a quello dello scorso anno nello stesso periodo è potrebbe ulteriormente ridursi in funzione dei valori rilevati nei mesi caldi”

Da quanto riportato da Eco delle Città, il messaggio che l'assessore vuole trasmettere è di rassicurare i tarantini che, che per quanto riguarda questo pericoloso inquinante,  la situazione ambientale stia migliorando.
Peccato che le cose non stiano così.
E' noto da tempo che il BaP, esposto a radiazioni solari e ad ozono, decade rapidamente. Pertanto tutte le misure di BaP effettuate con regolarità nel corso dell'anno mostrano un tipico andamento stagionale, con valori massimi nella stagione invernale e minimi in quelli estivi, pur in presenza della stessa quantità di inquinante emesso, ad esempio, dal traffico veicolare.
Nel caso di una importante fonte inquinante fissa, come le acciaierie di Taranto, un'altra variabile importante è la direzione prevalente dei venti durante il campionamento. Ovviamente, anche questa direzione può avere caratteristiche stagionali.
A Taranto, durante l'inverno i venti soffiano da Nord, e con questi venti il quartiere di Tamburi si trova sottovento alle acciaierie, d'estate prevalgono i venti da Sud, e Tamburi e Taranto possono respirare.
A riguardo, è molto interessante la figura che segue tratto da un articolo pubblicato dai ricercatori del Dipartimento di Chimica dell'Università di Bari.

Fig. 1 Concentrazione giornaliera di IPA cancerogeni in due siti di Taranto (2005-2006)


La Figura  1 mostra la concentrazione giornaliera di sette IPA cancerogeni, compreso il BaP, misurati contemporaneamente in via Orsini, nel quartiere di Tamburi (grafico in alto) , nelle immediate vicinanze dell'acciaieria e in via Dante, al centro di Taranto (figura in basso).

Le misure sono state effettuate con continuità dal 2 ottobre 2005 al 28 febbraio 2006.
Le frecce indicano le misure effettuate con venti dominanti da Nord, situazione in cui, sia via Orsini che via Dante, si trovano sottovento.  Con venti da Nord, a Taranto maggiormente frequenti nel periodo invernale,  in entrambi i siti si registrano sempre le maggiori concentrazioni di IPA.

Da notare la diversa scala dei due grafici.
In via Orsini, più vicina alle acciaierie, le concentrazioni massime giornaliere superano i 50 nanogrammi per metro cubo (50 ng/m3), in via Dante,  la concentrazione massima di IPA è stata di 10 ng/m3, come ci si può aspettare a distanza maggiore dalla fonte inquinante.

In entrambi i casi, con venti provenienti da altre direzioni, l'inquinamento è nettamente più basso.

Pertanto, commentare misure mensili, come ha fatto l'Assessore Nicastro, ed essere contento del fatto che a Tamburi, nei mesi estivi le concentrazioni di BaP siano diminuite è un errore metodologico, una falsa rassicurazione che l'assessore si poteva evitare, consultando i tecnici dell'ARPA, prima di parlare.

L'unico confronto serie sarebbe stato quello effettuato, confrontando negli stessi mesi, le concentrazioni giornaliere, a parità di ore sottovento  alle acciaierie.

Comunque per futura memoria dell'assessore e di chiunque altro voglia giustificare la continuazione delle attività delle acciaierie, senza nessun serio intervento di risanamento, i confronti delle concentrazioni di BaP, si fanno, come la norma giustamente prescrive, tra le medie annuali di almeno 15 misure giornaliere effettuate ogni mese, in modo continuativo.

A mio avviso, comunque casca l'asino, per il semplice fatto che l'assessore Nicastro sembrerebbe  non essere stato in grado di giustificare il motiovo del presunto calo del BaP, in quanto, al momento, nessuno intervento mi risulta sia stato fatto per ridurre seriamente le emissioni di BaP dalle cokerie.

A Genova, lo ricordo nuovamente, dopo diversi tentativi, simili a quelli già adottati a Taranto  ad esempio allungare i tempi di distillazione), l'unico modo per ridurre il BaP, nei limiti ammessi dalla legge,  è stato quello di chiudere definitivamente la cokeria.



martedì 25 settembre 2012

Gabbiani, aeroporti, discariche.

Se volete individuare da lontano una discarica di rifiuti, legale o illegale, basta dare  un'occhiata in cielo; se vedete stormi di gabbiani volteggiare a lungo su una determinata area, siate sicuri che li sotto c'è una discarica di rifiuti urbani, su cui i gabbiani banchettano, mangiando loro tutto il cibo che scartiamo e sprechiamo.
E, ovviamente, un gabbiano e una gabbiana satolli, mettono subito su casa e cominciano a sfornare uova e pulcini di gabbiano!
Ieri il volo Genova-Londra è stato interrotto subito dopo il decollo, per un impatto con uno stormo di gabbiani che ha mandato fuori uso un motore e costretto il comandante ad un atterraggio di emergenza. Esclusi i più o meno gravi inconvenienti per i passeggeri, che hanno dovuto rinviare il loro viaggio, è ancora andata bene, ma lo scontro non è stato un fatto casuale. E primo o dopo potrebbe esserci un decollo o un atterraggio non riuscito.
Da anni i gabbiami hanno adottato l'aeroporto di Genova come luogo del loro riposo notturno, al riparo di ogni pericolo.
Al mattino presto, a migliaia, si alzano in volo e tutti si dirigono verso i monti. Loro obiettivo è la discarica del monte Scarpino, a pochi chilometri dalla costa,  dove, da oltre 40 anni, mandiamo la rumenta dei genovesi e l'ora della partenza dei gabbiani non è affatto casuale, coincide esattamente con l'arrivo del primo camion, carico di rifiuti.
Prima che, come previsto, la rumenta spianata, sia ricoperta con uno strato di terra, i gabbiani hanno fatto piazza pulita degli scarti organici e, una volta satolli, ritornare tranquilli al mare, sui prati dell'aeroporto e sui moli che lo proteggono.
Per allontanarli ed evitare il ripetersi di incidenti, hanno provato di tutto: cannonate per spaventarli, registrazioni stazianti di gabbiani in agonia. Risultati zero. Grazie alla loro intelligenza, dopo un pò, capito che si trattava di falsi allarmi, i gabbiani sono ritornati. Una sagoma di un falco piazzato nell'aeroporto, molto ben realizzata, ha funzionato per qualche giorno, poi quattro gabbiani coraggiosi hanno dato l'assalto all'intruso, riducendolo comunque a brandelli, anche se di plastica.
Eppure sarebbe sufficente una conoscenza elementare di ecologia per risolvere alla radice il problema: eliminare totalmente l'alimentazione artificiale e costringere i gabbiani a ritornare ai loro antichi sistemi di sussistenza: pescare faticosamente pesci e crostacei.
Meno cibo, meno gabbiani: elementare Watson!
E dire che, in base a normative europee, da anni sarebbe vietato conferire scarti organici e biodegradabili in discarica; norma che elimina ben più gravi e costosi problemi, quali la produzione di eluato e il conseguente inquinamento di falde, di corsi d'acqua, del mare.
Ma tant'è, nel nostro Bel Paese, questa norma è regolarmente elusa, con continue deroghe.
Eppure basterebbe ridurre la produzione di rifiuti organici, eliminando gli sprechi di cibo (Banco Alimentare, Last Minute Market), organizzare su tutta la città una capillare raccolta differenziata dell'organico, da trasformare in buon compost da vendere  ed incentivare il compostaggio domestico da parte di tutte le famiglie che hanno giardini, orti, terrazzi e poggioli fioriti.
Ma così facendo, si potrebbe fare anche la raccolta differenziata Porta a Porta degli altri scarti e, a questo punto, con una raccolta differenziata superiore al 65%, cosa si darebbe da bruciare all'inceneritore/ gasificatore? Che fine farebbero i previsti lauti guadagni?  E i dividendi per il maggiore azionista (il Comune)?

lunedì 24 settembre 2012

Che aria si respira in Europa? Report 2012

Da poche ore, l'agenzia Europea per l'Ambiente  ha presentato il  rapporto 2012 sulla qualità dell'aria dei paesei dell'Unione.
Non a caso, l'immagine di copertina  del Rapporto, riprodotta in alto, è stata scattata in Italia.
Infatti, tra gli Stati fondatori dell'Unione Europea, l'Italia è la maglia nera, è il caso di dirlo per qualità dell'aria.
Fig. 1 Mappa della concentrazione media annuale di PM10  
La Figura 1 mostra la localizzazione delle stazioni di monitoraggio attive in tutta Europa. Quelle in rosso, nel 2010,  hanno fatto registrare il superamento dell'obbiettivo di qualità per la concentrazione media annuale di polveri sottili (PM10), pari a 40 microgrammi per metro cubo d'aria.
Quelle in arancio, hanno superato il limite previsto per le concentrazioni medie giornaliere delle stesse PM10.
L'Italia, tra i paesi fondatori dell'Unione Europea, è quello che mostra il maggior numero di punti rossi e arancioni!
Questo risultato, ovviamente, non è un caso in quanto in Italia è mancata una seria politica di incentivazione al trasporto urbano, i controlli sull'inquinamento industriale sono estremamente carenti ( Taranto, Brindisi docent) e la recente incentivazioni a realizzare centinaia di centrali alimentate a biomasse ha dato certamente il suo contributo a raggiungere questo record negativo.
Ma non è solo un problema simbolico di "maglia nera" della qualità dell'aria.
Il mancato rispetto delle normative europee ci costringe a pagare tasse salate, ma, ancora peggio, la situazione mostrata in figura dice anche che, a causa di questo inquinamento evitabile, l'aspettativa di vita degli Italiani che abitano le città in rosso e in arancio è minore di quella degli altri partner europei. Nelle città europee più inquinate si possono perdere da otto a ventiquattro mesi di vita.

venerdì 21 settembre 2012

Gli extra-costi dell'acciaio

Il prof Pope, ha sfruttato a fondo l'occasione di una lunga chiusura di una acciaieria e successivo riavvio della produzione. Dopo aver valutato gli effetti sull'inquinamento e sulla salute ( Post precedente) ha valutato il valore monetario dei danni sanitari.

Ecco il riassunto dell'articolo:

L'attività intermittente di una acciaieria , localizzata in una valle montuosa del centro Utah, ha offerto una eccezionale opportunità di valutare i costi esterni prodotti dai danni alla salute dell'inquinamento di questa fabbrica.
Una valle vicina ( che non risentiva dell'inquinamento dell'acciaieria e con una popolazione simile dal punto di vista socio-economico,  mia nota) è stat utilizata come controllo.
L'articolo ha analizzato i dati sui ricoveri ospedalieri e la mortalità giornaliera nelle due valli, utilizzando un modello di regeressione negativa binomiale dei ricoveri ospedalieri e della mortalità su base giornaliera.
I ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie  e la mortalità aumentavano in modo significativo quando l'acciaieria era in funzione.
I costi per i ricoveri ospedalieri in eccesso, attribuiti all'inquinamento dell'acciaieria, erano di circa 2 milioni di dollari all'anno e quelli della mortalità in eccesso furono stimati pari a 40 milioni di dollari.

M.R. Ransom, C.A. Pope III.  1995. External Health Cost of a Steel Mill. Contemporary Economic Policy. 13, 2, 86-97.

Questo articolo è stato scritto 17 anni or sono e in Italia non abbiamo imparato ancora niente.
Nel nostro Paese abbiamo un'occasione altrettanto eccezionale per valutare gli extracosti di una acciaieria costruita senza attenzione per il suo impatto sulla popolazione residente e i suoi lavoratori.

Parliamo dell'acciaieria di Genova di cui, prima che se ne perda la memoria, esistono ampi studi, migliori di quelli di cui ha potuto disporre Pope, sui livelli di inquinamento prodotti in corrispondenza dell'abitato, durante otto anni di funzionamento e almeno 5 anni dopo lo spegnimento dei reparti a caldo, quelli più inquinanti.
Genova, inoltre dispone di un Registro Tumori e Mortalità su scala unità censuarie e sono disponibili informazioni adeguate, sui ricoveri ospedalieri.

Evitiamo l'andazzo italiano del "Chi ha Dato Ha Dato, Scurdammoce o passato..".

Se si vuole, si possono calcolare gli extracosti in Italia, di scelte fatte pochi anni dopo la guerra. Gli sviluppisti non gradiranno, ma chi paga questi extracosti, certamente merita di saperlo.

giovedì 20 settembre 2012

Si respira meglio con una accieria acceso o spenta?

L' acciaieria Geneva in costruzione. Utah, 1942
Non è affatto detto che una volta spenta, un'acciaieria non si possa riaccendere, dopo qualche tempo.
Certo, non è come spegnere la luce di casa, ma lo spegnimento di altoforni e cokerie è una procedura normalmente prevista quando si deve fare la manutenzione straordinaria, dopo un certo numero di anni di attività.
Negli Stati Uniti, ed in particolare nello stato dell'Utah, nel 1986 lo spegnimento e la riaccensione di una acciaiaieria, dopo circa un anno, sono stati sfruttati per fare un'interessante esperimento: verificare come variava la concentrazione di polveri sottili (PM10) e controllare se e come si modificava lo stato di salute di chi abitava nelle aree di ricaduta dell'inquinamento prodotto dalla acciaieria.
Lo studio è stato fatto dal prof Arden Pope, dell'Università di Brigam, e la sua pubblicazione è avvenuta nel 1989, su American Journal of Public Health, Vol 79, n°5, pag 623-628.
L'acciaieria , con il bel nome di Geneva, era la principale fonte di polveri sottili, di tutta la contea dell Utah; le sue emissioni rappresentavano l'82% di tutte quelle presenti nella Contea, comprese quelle delle centrali termoelettriche.
Nell'inverno 1986, con la accieria accesa, per 13 volte le misure giornaliere di PM10 superarono i 130 microgrammi per metro cubo (ug/m3).
Nell'inverno del 1987, con l'acciaieria spenta, non si registrò nessun superamento di 150 ug/m3; nell'inverno successivo, riaperta l'acciaieria, le polveri aumentarono e, durante 10 giorni, si ritornò a superare i 150 ug/m3.
Con l'acciaieria accesa, l'inquinamento da polveri era circa il doppio di quello misurato con l'acciaieria spenta.
Il prof. Pope, per tutto questo periodo ha tenuto sotto controllo i ricoveri ospedalieri della popolazione residente nella Contea dell'Utah, verificando che nelle giornate in cui le PM10 erano più elevate (acciaieria accesa), aumentavano i ricoveri per polmoniti, pleuriti, bronchiti ed asma. Nei giorni in cui le PM superavano i 150 ug/m3, sempre in concomitanza con l'acciaiaieria accesa, i ricoveri dei bambini per malattie respiratorie triplicavano.
Insomma, con le acciaierie in funzione, aumentava l'inquinamento da polveri e i ricoveri ospedalieri.
Dopo 25 anni, a Taranto si ritrova esattamente la stessa situazione.
Che cosa si aspettava il ministro Clini?

ps: segnalo come, nel 1986, in Italia,  neanche si sapeva che cosa fossero le PM10.

mercoledì 19 settembre 2012

La crescita dei tumori italiani

In Italia, il numero di tumori diagnosticati e' in costante aumento.  Questo è quello che mostra la Figura in alto, che riporta l'andamento annuale del numero di diagnosi di tumori, ogni 100.000 abitanti: in rosso per gli  uomini e in verde per le donne.
I dati vanno dal 1989 al 2001, ultimo anno, al momento, disponibile e la linea tratteggiata riporta l'andamento medio del periodo studiato, con i tumori femminili che mostrano un aumento maggiore di quello maschile.
La fonte di queste informazioni sono sei registri tumore  in funzione in Italia (Firenze, Modena, Parma, Ragusa, Emilia Romagna, Torino).
Nel 1989, in una popolazione di 100.000 donne e di altrettanti uomini, si diagnosticavano, rispettivamente, 217 e 305 tumori.
Nel 2001 (ultimo dato disponibile), i casi diagnosticati sono passati a 261 donne e 337 uomini.
Questi dati denunciano una costante perdita di salute in una importante parte della popolazione italiana ( quella controllata dai sei registri),  peraltro una minoranza rispetto al resto dei connazionali che non hanno ancora un adeguato monitoraggio tramite Registi Tumori.
Questi  dati, sono anche il bilancio tra alcuni specifici tumori in calo (stomaco, per entrambi i sessi e tumore polmonare, solo negli uomini) e tutti i tumori in aumento o stabili che colpiscono gli altri organi.
Chi fosse interessato, può andare a vedere anche questi andamenti, non solo in Italia, ma in tutti i cinque Continenti.
Un simile andamento in crescita risulta in altri registri tumori italiani, non compresi in questa statistica, come il Registro Tumori della Liguria  e quello della provincia di Varese, il primo avviato in Italia, nel 1979.
La concordanza di tutti i dati disponibili e la serietà della Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro che li ha validati, non lascia dubbi: a prescindere dall'invecchiamento della popolazione, che e' stato opportunamente corretto nei dati riportati, gli italiani negli ultimi anni, si ammalano di tumore più facilmente di alcune decadi or sono.
E' anche questo l'obbiettivo che ci pone Monti, con il suo "mantra" sulla crescita?
Il grafico mostrato, ha un chiaro significato: in Italia, complessivamente,  la prevenzione primaria dei tumori non ha funzionato.
Nel tempo, nuove cause di tumore (campi elettromagnetici? ftalati? nanopolveri? distruttori sistema endocrino? Chernobil? ...) si sono aggiunti alle vecchie cause (amianto, sigarette, esposizioni professionali, cancerogeni ambientali) e non siamo riusciti, in modo adeguato, ad individuarle e ad eliminarle.
Questo scoraggiante risultato non e' casuale.
In Italia si e' investito poco o nulla nella ricerca sulla prevenzione primaria dei tumori e sulla ricerca in generale.
Anzi, con la scusa del debito, si stanno, di fatto,  smantellando tutti i centri di ricerca che si erano occupati di prevenzione.
Il motivo e' terribilmente semplice: ricerca e prevenzione non rendono!
Un esempio per tutti e' l'Istituto Tumori di Genova, nato proprio per studiare i tumori di origine ambientale e professionale e prevenirli, sede di uno di uno dei pochi registri tumori regionali e dell'unico Registro dei Mesoteliomi.
Con la scusa dell'efficienza e del risparmi la Regione Liguria ha realizzato una forzata fusione dell'Istituto con il mega ospedale di San Martino, ignorando il fatto che un centro di ricerca non e' un ospedale e che, le loro organizzazioni e i loro obiettivi, sono assolutamente diversi.
Nel mirino anche il Servizio di Chimica Ambientale dell'IST, che ho diretto fino a qualche mese fa e a cui va il merito, tra gli altri,  di aver contribuito alla chiusura della cokeria di Genova, risparmiando ai 15.000 genovesi, che abitavano in case con vista acciaierie, diverse tonnellate di cancerogeni riversati ogni anno in atmosfera.
In origine, l'organico del Servizio di Chimica Ambientale prevedeva un direttore, due assistenti, due tecnici e un contrattista: pochi, ma buoni.
Per il contrattista (a vita) non ci sono prospettive di assunzione e, al momento, è disoccupato. Per l'assistente e il direttore andati in pensione, non si prevedono nuove assunzioni e con loro si è persa tutta l'esperienza accumulata in decenni di ricerca sul campo.
I cancerogeni di origine ambientale, professionale ed industriale, noti e ancora ignoti, e chi continua a produrli ed usarli, ringraziano.
Da parte sua, il governo Monti e il governo regionale sono soddisfatti: il deficit si riduce e il PIL, anche grazie alle spese per curare i nuovi malati di cancro, aumenta.




venerdì 14 settembre 2012

La crescita dei gliomi

Aumenta la probabilità che dopo il mesotelioma, dovremo famigliarizzare con un nuovo tipo di tumore, oggi abbastanza raro: il glioma.
Il mesotelioma e' un tumore che colpisce le membrane che ricoprono i polmoni e la causa di questo tumore, che non perdona, e' l'amianto o asbesto che dir si voglia.
Il glioma e' un tumore del cervello e aumentano le evidenze sperimentali che l'esposizione ai campi magnetici della telefonia cellulare e wireless possano aumentare il rischio del suo sviluppo dal lato del cervello dove piu'chiaro spesso si usa il cellulare.
Era che il gli ora non perdona.
Quello che lascia perplessi e' che il Governo Monti, in nome della crescita infinita, voglia dare totale campo libero alle aziende telefoniche che potranno installare le loro antenne sui tetti di tutte le case di loro gradimento. I proprietari delle case non potranno opporsi e di fatto saranno espropriati con un indennizzo pari al deprezzamento della loro abitazione; inoltre i cantieri per la telefonia mobile non pagheranno eventuali tasse per occupazione suolo a favore dei Comuni.
Ovviamente con l'aumento dei glomi, aumenterà anche il PIL e magari diminuisce lo "spread".
In che mani siamo finiti?

lunedì 10 settembre 2012

Alluminio secondario, la green economy sarda?

All'ALCOA di Portovesme per produrre una tonnellata di alluminio primario, prodotto a partire dal minerale, ci vogliono 14.000 chilowattore di elettricità.
Per produrre  una tonnellata di alluminio secondario, sottoforma di lattine, basta  fonderle a 660 gradi centigradi in un forno elettrico, con il consumo di solo 700 chilowattore, il 95 % in meno.
Come abbiamo visto in Italia non esistono miniere di bauxite, il minerale da cui si produce l'alluminio primario, come fino ad oggi si fa ( faceva?) a Portovesme.
Al contrario il nostro Paese è ricco di alluminio secondario, sotto forma di lattine usate e rottami di alluminio.
E mentre a Portovesme, in un anno si producono ( producevano ) 194.000 tonnellate di alluminio primario, nello stesso anno (dati 2006), l'Italia produceva 666.000 tonnellate di alluminio secondario.
Insomma la raccolta differenziata è la nostra miniera, di fatto inesauribile, in quanto gli oggetti in alluminio, finita la loro funzione, possono essere riciclati praticamente all'infinito.
Dati più recenti (2010) ci dicono che nonostante la crisi, la produzione nazionale di alluminio secondario è aumentato (806.000 tonnellate), di cui 46.500 tonnellate sono di lattine di alluminio recuperate grazie alla raccolta differenziata e corrispondenti al 72% di lattine immesse in commercio.
Grazie all'attività di 25 fonderie, sparse in tutt'Italia, con il riciclo delle 806.000 tonnellate di alluminio secondario, abbiamo risparmiato 2,8 milioni di tonnellate di petrolio.

Sarebbe interessante sapere quanto petrolio spera di tirare su, il ministro Passera, trivellando tutti i mari Italiani.

Ritorniamo alla Sardegna e cominicamo a costruire uno scenario di economia verde sarda.
Ipotizziamo che a Portovesme si produca alluminio seondario, utilizzando solo fonti di energie rinnovabili.

Come abbiamo visto l'Italia produce quantità interessanti di alluminio secondario, in grado di coprire gran parte dell'uso interno di alluminio, e la Sardegna ha una buona disponibilità di energia idraulica, eolica e solare. La sua vocazione agro-pastorale, fa ritenere che, grazie alla digestione anaerobica degli scarti biodegradabili prodotti in loco, anche le biomasse sarde possano dare un loro valido contributo al Nuovo Piano.

Ipotizzando che, a Portovesme "verde", la produzione annua di alluminio secondario sia simile a quello primario (194.000 tonnellate), l'energia richiesta è di 136 milioni di chilowattore all'anno.
In base alla produzione degli attuali parchi eolici sardi, bastano 61 torri eoliche da un megawatt ciascuno per alimentare la fabbrica verde di Portoscuso. Se poi  le torri sono da 2,3 megawatt, come quelle che si sono installate a Porto Scuso, di turbine eoliche ce ne vogliono trentanove.

Una integrazione con le attuali centrali idroellettiche sarde e la realizzazione di nuovi impianti solari integrati sui tetti di edifici pubblici ed insustriali e una rete diffusa di impianti per la produzione di biometano immesso nella rete di distribuzione del gas, permetterebbero di minimizzare gli impatti paesagistici degli impianti eolici e solari

Ed ecco la bozza di una "Economia Verde" in grado di garantire occupazione stabile e sviluppo duraturo nel tempo: fare della Sardegna il campo di prova per una autosufficenza energetica basata su produzioni efficenti, a basso impatto ambientale, con l'uso prevalente di fonti di energie rinnovabili, inserite nella prima rete elettrica intelligente Italiana.
Sappiamo bene che oggi, le energie rinnovabili sono più costose di quelle fossili e che il paesaggio e la produzione agraria richiedono cura ed equilibrio nella realizzazione degli impianti a energia rinnovabile ma, una volta garantito il necessario equilibrio, come pensate che evolvano le cose nel prossimo futuro, in particolare i prezzi dell'energia e delle materie prime?

domenica 9 settembre 2012

CarboSulcis, Alcoa: errare humanum est...

Da tempo sto meditando che sono maturi i tempi per ripristinare, in chiave moderna, la "Colonna Infame", lapide in cui, ad imperitura memoria dei posteri, erano scolpiti i nomi di chi si era macchiato di gravi colpe e l'elenco delle loro nefandezze.
Oggi, degni di una "Nuova Colonna Infame" sono certamente quegli imbecilli che hanno deciso di creare occupazione in Sardegna, puntando sul carbone sporchissimo del Sulcis e sulla produzione sarda di alluminio primario.
Per chi non è informato, l'alluminio cosidetto primario, si produce partendo da un minerale ricco di alluminio, la Bauxite. Dalla Bauxite, dopo trattamenti chimici, l'alluminio è separato con elettrolisi del minerale allo stato fuso. Per questo trattamento, occorre una grande quantità di elettricità, ovviamente  a basso costo.
In Sardegna non esistono miniere di bauxite degne di questo nome e l'elettricità prodotta con il carbone del Sulcis costa una esagerazione.
Non bisognava essere un genio per capire che produrre alluminio primario in Sardegna, sarebbe stato un fallimento.
Ma, con denaro pubblico e per qualche voto in più si fa questo e ben altro e, nel 1969, il neonato Ente Partecipazione e Finanziamento Industrie Manifatturiere (EFIM),  finanzia la realizzazione in Sardegna, di due  industrie, la Euroallumina, per la lavorazione della bauxite (interamente importata) e l'ALSAR, per la produzione di alluminio con l'elettricictà prodotta dalla vicina centrale alimentata, in parte, con il carbone del Sulcis, ma sostanzialmente alimentata con olio combustibile, ovviamente importato.
Negli anni '90, con la privatizzazione dell'Ente, la multinazionale ALCOA acquista la fabbrica, attratta dagli interessanti incentivi, a carico dello Stato Italiano.
Passano venti anni,  l'ALCOA, finito di spennare la gallina dalle uova d'orio,  trova che sia più conveniente produrre alluminio primario nei paesi in cui abbonda la bauxite e l'elettricità costa poco e chiude baracca e burattini.
Tanto per cominciare a scolpire qualche nome sulla "Nuova Colonna Infame", nel 1969, chi governava questo benedetto Paese, chi era il presidente della EFIM?

giovedì 6 settembre 2012

Differenzia con il fruttivendolo

Alla festa del PD di Genova si parla di raccolta differenziata.
Una signora del pubblico, non ancora servita dalla raccolta differenziata dell'organico, e  poco incline a compostare i suoi scarti di cucina per paura di mosche e moscerini, ma con anima verde, ci racconta come ha risolto il problema: separa gli scarti verdi nel sacchetto traspirante che si porta dietro quando va a fare la spesa.
Con il suo fruttivendolo ecxtracomunitario c'è un accordo; il verduraio aggiunge l'organico della signora a quelli che lui già differenzia (e l'AMIU raccoglie) e la signora fa i suoi acquisti nel suo negozio.
Alla fine sono tutti contenti: il verduraio che ha fidelizzare una cliente, la signora che consegna i suoi scarti verdi quando le viene comodo,  il Comune che risparmia qualche euro di ecotassa regionale e aumenta la sua percentale di raccolta differenziata.
Come sarebbe bello se questo tipo di collaborazione riguardasse anche il giornalaio, a cui consegnare il giornale del giorno prima e  le friggitorie sotto casa, a cui portare gli oli delle fritture di casa.

martedì 4 settembre 2012

Sulcis in fundo


Per evitare equivoci, premetto che sono solidale con i minatori di carbone del Sulcis, ai quali è dovuta la possibilità di un lavoro dignitoso e sicuro.

Fatta questa premessa, non posso esimermi dall'affermare ho dei forti dubbi che il loro diritto al lavoro, possa continuare a basarsi sull'estrazione del carbone sardo.

Nessuno dei telegiornali e dei talk show di questi giorni ha fatto sapere agli italiani che, il carbone estratto in Sardegna nessuno lo vuole, perchè sporco e povero.

La sporcizia è dovuta alla sua alta concentrazione di zolfo (6%).
Durante la combustione questo zolfo si trasforma in anidride solforosa, gas tossico, che,  a contatto con acqua, si trasforma in acido solforico, acido molto corrosivo per gli stessi impianti della centrale termoelettrica che utilizza questo carbone, ma anche corrosivo per i polmoni umani, per le piante, i monumenti, i manufatti metallici.
Anidride solforosa e acido solforico immessi in atmosfera, oltre ad aumentare la quantità di polveri fini, rendono le piogge altamente acide e questo danneggia i raccolti e libera metalli pesanti dai terreni, metalli che a loro volta possono contaminare la falda acquifera.

Per questi motivi in tutta Europa e negli USA, da diversi decenni, si brucia solo carbone a basso contenuto di zolfo che deve essere al massimo pari all'1%, rispetto al carbone.

L'unico paese europeo a fare eccezione è l'Italia, che ha ottenuto una deroga e può utilizzare il carbone del Sulcis solo in impianti realizzati a bocca miniera, cioè solo in Sardegna.

E' vero che è possibile limitare i danni ambientali e sanitari dello zolfo, depurando i fumi, ma ovviamente questo ha un costo e, ovviamente non elimina del tutto l'inquinamento.

Il carbone del Sulcis è sporco anche perchè produce una grande quantità di ceneri, avendo una percentuale di impurezze non combustibili, pari al 16%.

Un buon carbone (litantrace) ha un contenuto di  ceneri tra lo 0,5 e 4%.

Il carbone del Sulcis è anche povero.
Ha un potere calorifico inferiore tra 5.000 e 6.000 chilocalorie per chilo.
A confronto, un chilo di litantrace produce tra 6.500 e 7.500 chilocalorie.

Insomma il carbone del Sulcis non avrebbe mercato se il suo uso non fosse generosamente sovvenzionato da tutti gli Italiani, ai quali non è stato detto che con la loro bolletta della luce sovvenzionano la produzione di elettricità con carbone del Sulcis, per l'occasione "assimilato a fonte di energia rinnovabile".
Incredibile a dirlo e a pensarlo, ma è proprio così.

Ai poveri minatori (e agli Italiani ingenui) stanno facendo credere che, nonostante quello che abbiamo detto,  anche il carbone del Sulcis può produrre elettricità in modo pulito.

E l'ultima idea è quella di togliere l'anidrida carbonica dai fumi della ciminiera e di pompare questo gas clima-alterante, nelle viscere della terra, ancora ricca di carbone, ma ad una profondità (intorno ad 800 metri) irraggiungibile da minatori e macchinari.

Il progetto prevede che l'anidride carbonica sia assorbita dal carbone, il quale, a sua volta rilascia il metano, presente nei suoi pori; metano che può essere recuperato, portato in superfice  ed utilizzato per la produzione di energia.

Quanto possa costare questa operazione e chi paga resta molto nel vago, ma abbiamo l'impressione che nessuna azienda privata rischierebbe un euro in questa impresa.

Nesuno invece parla di un altro importante problema: di quanto carbone, nelle viscere della Terra Sarda, possa essere estratto ed utilizzato.

Una fonte indipendente, quale la Energy Information Administration (EIA)  riporta che in Italia ci sono riserve di carbone per 11 milioni di tonnellate e come sappiamo, quella del Sulcis è l'unica miniera di carbone in Italia.

Tanto per capire cosa vogliono dire questi numeri, la stessa fonte (EIA) stima che la Germania abbia riserve di carbone pari a 44.863 milioni di tonnellate.

Poichè in Italia, ogni anno, nelle centrali termoelettriche si bruciano 22,8 milioni di tonnellate di carbone, tutto il carbone del Sulcis, anche se fosse della migliore qualità, basterebbe per tenerle accese per soli sei mesi.

Non sarebbe meglio, per i minatori sardi, lottare per un radicale cambiamento del modello di sviluppo e occupazionale che abbandonasse definitivamente le fonti energetiche sporche, poche,  povere ed assistite e  puntasse decisamente verso un uso diffuso, equilibrato e durevole di  fonti di energie rinnovabili quali Sole e Vento che certamente non mancano in Sardegna e ben si conciliano con le altre vocazioni dell'Isola quali turismo, agricoltura, pastorizia?

lunedì 3 settembre 2012

Treni solari

Dalle parti di Anversa, sulla linea ferroviaria ad alta velocità, Parigi-Amsterdam,  da un anno circolano treni alimentati ad energia solare.
La novità è che questa energia è fornita da un impianto fotovoltaico posizionato su una galleria di protezione della ferrovia stessa.
La galleria è lunga tre chilometri e il suo principale scopo è proteggere i treni dalla caduta di rami della antica foresta che fiancheggia il percorso della ferrovia e dell'autostrada.
Con questa scelta si è preferito investire in una nuova infrastruttura, piuttosto che tagliare alberi.
La copertura del tunnel, con 50.000 metri quadrati di pannelli foto-voltaici, è un investimento che, con la realizzazione di una centrale solare con la potenza di picco di 3,3 megawatt elettrici, fornisce l'elettricità per i treni e per servizi ausiliari (segnalazione, illuminazione...).
La galleria ha un percorso Est-Ovest e i pannelli hanno una leggera inclinazione verso Sud, per una maggiore captazione delle radiazioni solari.
Faccio notare che dalle nostre parti, più a Sud del Belgio, la quantità di energia solare che inciderebbe  su una simile superfice sarebbe significativamente maggiore. Questo significa che, in Italia, l'investimento per una simile opera, sarebbe ammortizzato in un numero minore di anni.
In Italia, invece, grazie a troppo generosi incentivi, e alla miopia (ignoranza?) della nostra attuale classe politica, si preferisce coprire grandi estensioni di terreni agricoli con pannelli fotovoltaici.
Un indubbio danno estetico al paesaggio agrario italiano e una poco lungimirante riduzione della nostra produzione di alimenti.
L'unica consolazione è che sconci come questo, fatto in Puglia, sono reversibili.
E quando il nostro governo sarà finalmente rinsavito, impianti come questi, oltre ad essere definitivamente vietati, potrebbero essere obbligati allo smaltellamento e al riuso dei pannelli per coprire gallerie, barriere fono- assorbenti, tetti di capannoni industriali...
Chi ha investito continuerebbe a poter utilizzare e vendere l'energia prodotta.
Per gli agricoltori che hanno svenduto la loro terra, bisognerebbe, comunque,  inventare scelte più sagge e durature: svincolo dallo strozzinaggio della grande distribuzione, autonomia energetica con la produzione diffusa di biometano utilizzando la digestione anaerobica dei loro scarti agricoli.