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venerdì 23 giugno 2023

Trattiamoli a freddo: Trattamenti Meccanico Biologici

Con una raccolta differenziata spinta si ottengono diversi flussi di materiali (vetro, cellulosa, plastiche miste, metalli misti, frazioni biodegradabili...) che richiedono ulteriori lavorazioni di "raffinazione", necessarie per avere a disposizione materiali più "puliti" ed idonei per nuovi cicli produttivi.

Poi ci sono le frazioni che, per vari motivi,  non sono state differenziate alla fonte. 

Nel caso di Roma, si tratta di quelle 600.000 tonnellate all'anno che si sta ipotizzando di "termovalorizzare".

In entrambi i casi  (scarti differenziati e indifferenziati), per garantire un efficace recupero di materia e il suo riciclo finalizzato alla produzione di nuovi manufatti, sono a disposizione da alcuni decenni, impianti " a freddo" denominati Trattamenti Meccanico Biologici (TMB).

I trattamenti meccanici, con opportune tecniche, ampiamente collaudate e in fase di ulteriore sviluppo,  provvedono a separate i diversi tipi di metalli (ferro, alluminio...) , la carta dal cartone, il vetro in base al colore, le materie plastiche in base alla loro composizione chimica.

Con questi metodi gran parte dei materiali raccolti è avviato a nuovi cicli produttivi.

Gli scarti indifferenziati hanno il grave problema di essere composti da oltre il 30% di scarti putrescibili.

In questo caso il primo trattamento TMB è quello biologico, di fatto un compostaggio veloce in apposite biocelle con insufflazione d'aria. 

L'alta temperatura (60-70 C°) sviluppata dall'attività microbica che "composta" la componente biodegradabile, è sfruttata per essiccare e igienizzare l'intera massa trattata, con il duplice vantaggio di evitare la formazione di cattivi odori, di trasformare in anidride carbonica e acqua gran parte della frazione biodegradabile, di ridurre drasticamente il contenuto di acqua degli scarti.

In questo modo i materiali essiccati, più facilmente possono essere trattati con gli stessi sistemi "meccanici" e "fisici", illustrati in precedenza, e pertanto si può procedere al recupero di ulteriore materia differenziata da avviare a nuovi cicli produttivi.

Fig. 1. Flusso di materiali in un impianto di bio-essicazione  e separazione meccanica

La Figura 1 mostra come questo trattamento generi flussi di scarti non recuperabili con le attuali tecnologie e quindi destinate in discarica o al recupero energetico come Combustibile Solido Secondario (CSS) utilizzato da cementifici o da centrali termoelettriche alimentate a carbone.

Questa soluzione a caldo, di fatto una "termovalorizzazione",  ha diversi problemi tra i quali il principale è che i cementifici si fanno pagare per usare il CSS nei loro impianti!

Il CSS, più o meno raffinato, è di fatto costituito da polimeri di sintesi (plastiche e tessuti ) e da polimeri organici (cellulosa, lignina..)  sostanzialmente materiali inerti, il cui volume si può ridurre con idonee presse.

Fig. 2. Scaglie di plastiche miste da trattamento meccanico (impianto TMB di Montello)




Fig. 3. Balle di CSS pressato 

La proposta che sottoponiamo ai tecnici e ai decisori politici (motivata dai non trascurabili rischi ambientali della combustione degli scarti urbani, sia in impianti dedicati che in cementifici) è quella di realizzare delle vere e proprie miniere urbane in cui stoccare temporaneamente le balle prodotte da un impianto TMB, come quelle mostrate in Figura 3, realizzato per trattare sia  scarti indifferenziati che quelli differenziati di Roma.

Questo impianto TMB, di adeguata capacità (200.000 ton/anno?) definita  in base alla quantità di rifiuti indifferenziati residuali ad una energica politica di riduzione alla fonte e ad una raccolta differenziata di qualità, con costi più contenuti e minore impatto ambientale, potrebbe sostituire la scelta del "termovalorizzatore".

Certamente questo deposito temporaneo richiederà adeguati volumi, ma non bisogna dimenticare che il termovalorizzatore che si vorrebbe realizzare a servizio di Roma produrrà ogni anno 190.000 tonnellate di rifiuti solidi, in parte altamente pericolosi, che richiederanno apposite discariche, adeguatamente controllate.

E quanto potrebbe durare lo stoccaggio temporaneo? 


Tutto fa pensare che tra il 2025 e il 2030,  si possa cominciare a sfruttare le nostre "miniere urbane" se avremo avuto la sagacia di avviarle, e utilizzarle per la produzione di nuovi polimeri, destinati a durare nel tempo.

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