lunedì 30 dicembre 2013

Bio combustibili legnosi: il modello trentino 1.


FIGURA 1 Percentuale di emissioni di inquinanti atmosferici nella provincia di Trento (2004) da dieci macro-settori
Il Piano Provinciale di Tutela della Qualità dell'aria, approvato nel 2007 dalla Provincia Autonoma di Trento  e redatto in collaborazione con l' Università di Trento, affronta in modo organico il problema delle fonti inquinanti presenti sul territorio e suggerisce diverse azioni finalizzate a garantire, su tutta la provincia, il rispetto dei limiti di legge per la qualità dell'aria.

Limiti che, nel 2005, risultavano poco rispettati su gran parte del territorio di propria competenza.
Ad esempio, nel 2005, tutte le sette centraline attive, in gran parte in aree definite "background urbano", segnalavano netti superamenti dei limiti di legge per le PM10,

Di seguito riportiamo, in corsivo,  alcuni stralci del Piano.
Nel settore dell'energia, il Piano prevede:
- promozione della conversione a metano di impianti civili ed industriali
- completare la rete di metanizzazione sul territorio provinciale
- promuovere la realizzazione di impianti e reti di teleriscaldamento (fonti rinnovabile e metano)
- promuovere la gestione e/o l'adeguamento degli impianti termici per il miglioramento della qualità ambientale, il contenimento dei consumi energetici e lo sviluppo di fonti rinnovabili.

Vediamo, in dettaglio, alcune delle  azioni previste:
- Promozione della conversione a metano di impianti termici civili ed industriali e il completamento della rete di distribuzione del metano per il riscaldamento (l'Università di Trento conferma che il metano è il combustibile meno impattante, in particolare per le polveri sottili (PM10) ndr)

Il metano è favorito in quanto può essere impiegato con caldaie ad alta efficenza termica e questo comporta risparmi di gas e ovviamente di inquinamento.

Le caldaie a metano ad alta efficenza sono da preferire in quanto inquinano molto meno degli impianti a combustibili liquidi e solidi. La nuova rete del gas si dovrà realizzare nelle zone dove l'inquinamento è maggiore e sostituirà il gasolio.


Poichè gran parte dei centri urbani sono metanizzati, il contributo alla riduzione dell'inquinamento globale della Provincia di questo intervento si "limiterà" a 8 tonnellate/anno di PM10.

- Incentivazione alla sostituzione di impianti a legna domestici più inquinanti con tecnologie ad alta efficenza
   La sostituzione degli impianti a legna tradizionali con altri alimentati a metano comporterebbe una drastica riduzione delle emissioni di particolato, ma la non completa copertura del territorio con la rete di distribuzione del metano e la notevole disponibilità di combustibile legnoso inducono a pensare che sia opportuno uno sfruttamento sostenibile di questa risorsa.
La sostituzione di tutti gli impianti a legna più inquinanti con impianti moderni, alimentati a legna comporterebbe la riduzione  di 1.145-1. 264  tonnellate/anno di PM10

- favorire la diffusione di impianti di teleriscaldamento a biomassa nelle località non raggiunte dalla rete del gas metano
   La realizzazione di impianti di teleriscaldamento alimentato con cippato, principalmente derivante da scarti di attività industriali (segherie, falegnamerie...) o agricole (residui di potature, ramaglie..) porta ad una riduzione delle emissioni se ubicati in zone non servite dal metano ed installati in sostituzione di apparecchi privati obsoleti.
Se ne dovranno valutare gli effettivi vantaggi in zone gia servite dalla rete del gas, in particolare per le emissioni di PM10 e SO2.
La realizzazione di reti di teleriscaldamento alimentate a biomasse potrebbero comportare la riduzione di 30 tonnellate/anno di PM10

COMMENTO
Dal 1995 al 2004, nella provincia di Trento (Figura 1) la principale fonte di PM10 sono stati gli impianti di combustione non industriali (riscaldamento domestico) che nel 2004 hanno prodotto 1.473 tonnellate di polveri sottili (il 55% delle emissioni totali di polveri). Nonostante che metano e gasolio siano le principali fonti energetiche utilizzate per il riscaldamento domestico, la maggior parte di queste polveri (stima: 1.145 - 1.264 tonnellate) sono prodotte dagli impianti di riscaldamento alimentate a legna di tipo tradizionale.
All'uso della legna per il riscaldamento sono da attribuire anche gran parte  dei 464 chili di benzopirene,  stimati essere emessi nel territorio trentino durante il 2004, su un totale di 489 chili di benzopirene emessi da tutte le fonti (4,15 kg di benzopirene sono attribuiti al traffico).
Pertanto, anche per la provincia di Trento, come in Lombardia e nel resto d'Europa, si conferma come l'uso energetico della legna sia stata la principale fonte di inquinamento dell'aria in particolare per le polveri sottili e il benzopirene.
Nella provincia di Trento, il traffico, nel suo complesso, è la seconda fonte di polveri sottili, con 944 tonnellate nel 2004, pari al 34% del totale delle emissioni di PM10.
Come già avvenuto in numerosi altri paesi come Svezia, Stati Uniti, anche nel Trentino, non potendo utilizzare il metano come fonte energetica, nei paesi non serviti dalla rete di distribuzione del gas, si cerca, in modo razionale, di ridurre il problema incentivando la sostituzione di impianti termici tradizionali con impianti più efficienti.




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domenica 29 dicembre 2013

Il crescente uso di biocombustibili preoccupa la UE

FIGURA 1. Andamento del consumo di biomasse  nei paesi della Unione Europea  (1990-2011) per usi domestici e la produzione di elettricità e calore
 Nell'ultimo decennio (vedi Figura 1) nei  27 paesi della Unione Europea, il consumo di biomasse a fini energetici ha visto un rapido aumento, in particolare nella produzione di elettricità e calore con centrali a cogenerazione, passata da 200 petajoules del 1990 a 1.400 petajoules nel 2011( peta: 1015 (1000000000000000)).

Anche il settore domestico europeo ha visto la crescita dei consumi di biomasse, prevalentemente legnose e, in entrambi i casi, la crescita è spiegata dagli incentivi pubblici alle fonti di energia rinnovabile ma anche dagli aumenti dei costi dei combustibili fossili e dalla recessione economica che spinge all'uso di combustibili più economici.

Nel rapporto 2013 sugli indicatori ambientali, edito dalla Agenzia Europea per l'Ambiente, questa crescita suscita qualche preoccupazione.

"Un aumento dell'uso di biomasse forestali è fonte di preoccupazione in quanto potrebbero essere necessari decenni per far si che la ricrescita del bosco tagliato possa controbilanciare l'iniziali rilascio di carbonio dal legname bruciato e dal terreno disboscato. La combustione di tutte le biomasse provoca l'emissione di gas clima alteranti e di inquinanti atmosferici.
Questo significa che in assenza di adeguati accorgimenti, alcuni usi energetici delle biomasse potrebbero offrire pochi vantaggi, rispetto ai combustibili fossili (EEA, 2013)".

Tra gli adeguati accorgimenti, normalmente assenti nei progetti di centrali a biomasse presentati in Italia, il teleriscaldamento, i cui alti costi di installazione sono sempre demandati ai Comuni ospitanti.
Senza teleriscaldamento, all'inquinamento degli impianti di riscaldamento domestici presenti nel Comune ospitante  si aggiunge quello della centrale a biomasse e del traffico pesante indotto dalla centrale,  per il conferimento delle biomasse e il ritiro delle ceneri.

Per l'Agenzia Europea per l'Ambiente, l'aumento del 56% della legna utilizzata per il riscaldamento domestico tra il 1990 e il 2011, anche se più contenuto degli usi termoelettrici, è ancora più preoccupante.

"La mancanza di filtri negli impianti di riscaldamento domestici significa che, in questo momento nei paesi dell'Unione Europea, le abitazioni sono la principale fonte di emissione di polveri fini e i loro abitanti sono i soggetti più direttamente esposti a queste emissioni.
L'aumento del ricorso a legname per il riscaldamento domestico crea ulteriori preoccupazioni sulla possibilità che le pratiche forestali utilizzate siano poco sostenibili (ndr: con tagli annuali superiori alla capacità rigenerativa del bosco)"

Nel prossimo post, vedremo quali dovrebbero essere le scelte razionali per gli usi energetici delle biomasse legnose che la politica nazionale dovrebbe promuovere.




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martedì 24 dicembre 2013

La qualità dell'aria. Bene comune disponibile alle leggi del mercato dei bio combustibili?


  

In Italia, di pari passo con lo sviluppo industriale e l'abbandono delle tradizionali attività agricole, forestali e artigianali, si sono ridotte le aree del Paese in cui la qualità dell' aria potrebbe definirsi buona, in base ai criteri stabiliti dalle Leggi nazionali. 

Il Decreto legislativo 155 del 2010, individua i composti tossici pericolosi per la salute, la cui presenza nell'aria deve essere regolarmente controllata per verificare che le loro concentrazioni medie siano inferiori a specifici valori,definiti come obbiettivi di qualità dell'aria.

Ad esempio l'obiettivo di qualità per le polveri sottili, in particolare per quelle il cui diametro è  inferiore a 10 micron (10 millesimi di millimetro) e definite PM10 è stato stabilito pari a 40 microgrammi (milionesimo di grammo) per metro cubo d'aria, come media annuale.

Questo significa che, se 365 misure giornaliere di PM10, realizzate regolarmente nell'arco di un anno, fanno registrare un valore medio superiore a 40 ug/m3 (ad esempio 41 ug/m3), il territorio controllato dalla centralina e' fuori legge,  in quanto la qualità della sua aria è peggiore a quella che la Legge, oggi giudica accettabile per la salute di chi quell'aria respira.

In questo caso, il Decreto impone alle Regioni interessate l'attivazione d'interventi finalizzati a migliorare la qualità dell'aria e a portarla a valori, almeno pari all'obiettivo di qualità, in questo esempio 40 ug/m3.

Per raggiungere quest’obiettivo e' necessario individuare la fonte che produce la maggiore quantità di polveri sottili e adottare tutte gli accorgimenti utili per ridurre le sue emissioni in atmosfera.

I monitoraggi effettuati dopo gli interventi di risanamento faranno fede sull’efficacia degli interventi adottati: anno dopo anno la concentrazione media di PM10 deve essere inferiore a 40 ug/m3 e più bassi saranno i valori riscontrati, meglio sarà.

Quest’ obiettivo si può raggiungere adottando trattamenti fumi più efficienti (filtri a maniche, marmitte catalitiche), utilizzando combustibili più "puliti (metano al posto del carbone e del gasolio), aumentando l'efficienza energetica degli impianti e delle abitazioni.

Oggi, in Italia, la rete di monitoraggio segnala che gran parte delle aree industriali e delle aree urbane del nostro Paese non rispettano gli obiettivo di qualità per il PM10.
In particolare e' "fuorilegge" gran parte della Pianura Padana, dove si concentrano le centraline che nel 2011 hanno registrato almeno 35 giorni con concentrazioni di PM10 superiori a 50 microgrammi per metro cubo (ug/m3).

Questo dato negativo è stato registrato presso 212 centraline di monitoraggio, il 48% di tutte le centraline di monitoraggio operative in Italia nel 2011.

La Tabella 1 riporta, in dettaglio,  le misure dell’inquinamento da PM10 registrate nelle zone trafficate di alcune città e i valori contemporaneamente registrati in alcune aree rurali del nostro Paese. Nella Tabella sono riportati in grassetto i valori superiori ai limiti di legge definiti dal Decreto Legislativo n.155 del 2010.

TABELLA 1  Concentrazioni di PM10 e  numero di giorni con superamenti di 50 ug/m3  nel 2011

Media annuale
microgrammi/m3
n. giorni  con valori di PM10 superiori a 50 microgrammi/m3
Aree urbane trafficate
Torino
50
133
Brescia
42
105
Milano
50
131
Parma
42
93
Verona
48
128
Padova
42
93
Firenze
38
59
Terni
36
69
Aree rurali
Renon (Bolzano)
9
0
Piana rotaliana (Trento)
25
19
Cavaso del Tomba (Treviso)
19
19
Denice Costa (Alessandria)
17
9
Donnas (Aosta)
22
39
Febbio / Reggio E.
9
0
Casa Stabbi (Arezzo)
13
0
Brufa (Perugia)
20
14


Qualità dell'aria in zone rurali e montane

Le aree rurali del nostro Paese sono state individuate come zone di controllo dell'inquinamento atmosferico prodotto dai cosiddetti inquinanti primari, quelli direttamente prodotti dalle attività umane: traffico, riscaldamento domestico, attività produttive.

La Tabella 1 mostra che queste aree, e i loro abitanti, nel 2011 hanno goduto di un’ottima qualità dell’aria con valori medi annuali delle PM10 nettamente inferiori agli attuali  limiti di legge.

Anche il numero di giorni con elevato inquinamento (PM10 superiore a 50 microgrammi/m3) è molto basso.

Nei casi riportati nella Tabella1 solo il sito di Donnas, in Val d’Aosta fa registrare un lieve superamento del limite massimo di 35 giorni all’anno.

Quest’invidiabile caratteristica, che si accompagna ad altre rare qualità di queste zone del nostro Paese (scarso traffico veicolare, bassa densità abitativa, bassi livelli di rumore, bel paesaggio, clima mite, buona cucina, ottima accoglienza, produzioni agro-alimentari di qualità) ricercate da turisti e villeggianti, da qualche tempo è sotto attacco a causa del proliferare di progetti e costruzioni di centrali termoelettriche alimentate a biomasse legnose.

Questa novità interessa in particolare le zone collinari e montane del nostro paese, dove la “pulizia” di grandi boschi è diventata la scusa per realizzare facili guadagni usando la legna per produrre energia elettrica, pratica che gode d’interessanti incentivi pubblici, garantiti dal Gestore dell’Energia per almeno 15 anni.

Poiché non tutti lo sanno, è utile ricordare che questi soldi vengono da una tassa sulla bolletta della luce (denominata A3), introdotta nel 1999 per incentivare le fonti di energia rinnovabile e che, mediamente, pesa nel bilancio famigliare con 83 euro all’anno, usati per alimentare il mercato dei “Certificati Verdi”.

Grazie ai Certificati Verdi chi produce elettricità da fonti rinnovabili, riceve dal Gestore della Rete un compenso, per ogni chilowattore immesso in rete, circa tre volte maggiore di quello pagato all’elettricità da fonte fossile (carbone, metano).

 Quanto pesa una centrale a biomasse sul territorio che le ospita 

La normativa a tutela dell’ambiente e della salute richiede alle Regioni di redigere piani di risanamento dell’aria.

Tra gli strumenti tecnici utili per redigere il piano di risanamento è prevista la stima delle emissioni d’inquinanti prodotti annualmente dalle principali fonti civili ed industriali presenti sul territorio di ciascun comune.

In questo modo si valuta la pressione ambientale che queste attività esercitano sul territorio e si possono facilmente individuare le priorità d’intervento.

Questa stima si realizza tramite un censimento di tutte le fonti emissive e il successivo calcolo dell’inquinamento prodotto annualmente da ciascuna fonte a cui si applicano specifici fattori di emissione, elaborati a livello europeo

In questo capitolo prenderemo due centrali a biomassa, che denomineremo Centrale A e Centrale B, recentemente proposte nel centro Italia.

I Comuni che dovrebbero ospitarle si trovano in aree collinari, con importanti superfici boscate, in un contesto a prevalente attività agricola e turistica.

La popolazione dei Comuni che dovrebbero ospitare le due centrali è, rispettivamente di 7.500 e 1.500 abitanti.

In entrambi i Comuni, gli standard di qualità dell’aria degl’inquinanti primari sono ampiamente e costantemente rispettati.

Le due centrali, hanno una potenza elettrica installata, inferiore a 1 Mega watt (1000 Kilo watt) e utilizzano biomasse legnose (centrale A 18.000 ton/anno; centrale B: 11.400 ton/anno).

Per produrre elettricità le centrali utilizzano due diverse tecnologie: forno a griglia nella Centrale A; piro-gassificazione della biomassa e uso del gas prodotto (syngas: miscela di ossido di carbonio e metano) per alimentare motori a combustione interna abbinati ad alternatori, nella Centrale B.

Entrambe le centrali prevedono moderne linee di trattamento fumi: catalizzatori per ridurre gli ossidi di azoto e filtri a maniche per le polveri sottili

Le due centrali producono prevalentemente elettricità che è immessa nella rete elettrica e, in entrambi i progetti, non si prevedono significativi recuperi di calore per il tele-riscaldamento degli edifici e abitazioni.

Per entrambi le centrali sono state calcolate le quantità d’inquinanti che immetteranno nell’ambiente durante il loro funzionamento che è previsto continuo per 24 ore su 24, con le sole interruzioni programmate per la manutenzione degli impianti, stimati pari a una trentina di giorni all’anno.

Il calcolo delle emissioni annuali è stato fatto in base alle concentrazioni medie degli inquinanti presenti nei fumi, valori dichiarati dai proponenti, e alla portata dei camini. In tutti i due casi le concentrazioni di inquinanti, in uscita dai camini, sono ampiamente inferiori ai limiti di legge.

Le Tabelle 2 e 3 riportano i valori delle emissioni annuali delle Centrali A e B e le stime delle emissioni annuali provenienti da tutte le fonti inquinanti presenti nei rispettivi territori comunali (traffico, riscaldamento domestico, agricoltura…).

TABELLA 2: Centrale A: stima della quantità d’inquinanti emessi da tutte le attuali fonti presenti sul territorio comunale e delle emissioni annuali della centrale

Inquinante
Emissioni totali territorio comunale

tonnellate/anno
Emissioni
centrale A

tonnellate/anno
Variazione


%
Polveri totali
57 ^
1,3
+  2,3
Anidride solforosa
9
6,6
+ 73,3
Ossidi di azoto
123
26,3
+ 21,4
Monossido di carbonio
804
6,6
 +  0,6
^ PM10

TABELLA 3. Centrale B: stima della quantità d’inquinanti emessi da tutte le attuali fonti presenti sul territorio comunale e delle emissioni annuali della centrale

Inquinante
Emissioni totali
territorio comunale

tonnellate/anno
Emissioni
centrale B

tonnellate/anno 
Variazione


%
Polveri totali
16,1 ^
      0,82 ^
+ 5,1
Anidride solforosa
1,1
12,3
+ 1.118
Ossidi di azoto
14,5
            16,1
+ 111
Monossido di carbonio
124,7
            16,4
+ 13,1
^ PM10

Le Tabelle 2 e 3  mostrano come la pressione ambientale  esercitata da ognuna delle centrali a biomasse sul territorio ospitante potrebbe essere  tutt’altro che trascurabile.

Per entrambi i Comuni, la pressione maggiore deriverebbe dall’immissione in atmosfera di anidride solforosa e di ossidi di azoto.

Più contenute, ma non trascurabili le quantità di polveri che le centrali a biomasse potrebbero aggiungere all’aria dei territori che dovrebbero ospitarle.

In termini relativi, la centrale B sarebbe quella che eserciterebbe la pressione maggiore sul territorio ospitante.

La Tabella 3 mostra che, nel Comune B, con l’entrata in funzione della centrale a biomasse raddoppierebbero le emissioni di ossidi di azoto mentre la quantità di ossidi zolfo aumenterebbe di ben 11 volte.

Tutto questo ha una semplice spiegazione.

Il Comune B ha una popolazione di un migliaio di abitanti, non ospita attività industriali e il suo unico inquinamento di una certa importanza è quello del riscaldamento invernale, peraltro non particolarmente elevato, in quanto il paese è servito dalla rete di distribuzione del gas naturale.

Non a caso, il turismo estivo e le attività a esso correlato sono la principale fonte di reddito dei residenti del Comune B.


Con le centrali a biomasse come cambia la qualità dell’aria?

Ovviamente l’immissione in atmosfera di diverse tonnellate di’inquinanti peggiorerà la qualità dell’aria dei territori sottovento agli impianti.

Gli stessi proponenti confermano che le concentrazioni medie al suolo aumenteranno, ma poiché la somma dell’attuale inquinamento e di quello nuovo prodotto dalle centrali comporterà valori inferiori ai limiti di Legge, questo peggioramento è considerato accettabile.

Le Aziende Locali Sanitarie (ASL), a cui è delegato il parere sanitario sugli impianti, hanno fatto proprie queste affermazioni e di fatto autorizzato l’inquinamento.

Stupisce che l’autorizzazione delle ASL  all’entrata in funzione delle centrali a biomasse non abbia tenuto conto delle recentissime raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, alla luce di studi epidemiologici condotti in Europa, ha riconosciuto che rischi sanitari gravi sono stati riscontrati anche  a concentrazioni di PM2,5 inferiori a 10 ug/m3, ossia inferiori ai limiti che la nostra Legislazione prevede di introdurre nel 2020.

Riteniamo anche discutibile che le ASL non abbiano tenuto conto della possibile presenza di aree sensibili, nelle immediate vicinanze delle centrali, quali scuole e impianti sportivi.

In questi casi, quanto meno, riteniamo che sarebbe stato doveroso, da parte delle ASL, invocare il Principio di Precauzione a tutela della salute della popolazione più giovane.

Le stesse ASL, conseguentemente, avrebbe dovuto esprimere un proprio giudizio negativo rispetto al fatto che l’attività delle centrali non preveda efficaci interventi di teleriscaldamento.

L’utilizzo del calore a bassa temperatura (pari a circa l’80% del potere calorifico del cippato utilizzato), con un adeguato dimensionamento dell’impianto, durante il periodo invernale, avrebbe potuto permettere lo spegnimento di numerosi impianti termici utilizzati nei due Comuni, in particolare quelli alimentati a legna.

Certamente impianti domestici alimentati a legna di vecchia generazione (camini aperti, stufe), a parità di calore prodotto, emettono in atmosfera una maggiore quantità d’inquinanti rispetto a quelli emessi dalle centrali a biomasse.

Una progettazione delle centrali che fosse partita dall’analisi dei bisogni energetici del territorio ospitante gli impianti, con una cogenerazione a misura delle esigenze locali, avrebbe potuto ottemperare agli obiettivi del D.lgs 155/2010, addirittura migliorando ulteriormente la qualità dell’aria del Comune ospitante, qualora le emissioni spente avessero un carico inquinante superiore a quello della centrale.

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