domenica 7 gennaio 2018

Bio-polimeri amici dell'ambiente?

Ma le bioplastiche sono davvero amiche dell'ambiente?

Per avere una risposta corretta bisognerebbe riscoprire la "merceologia", una antica materia che si insegnava negli istituti tecnici e raccontava le storie delle cose: come si fanno gli oggetti e i prodotti che consumiamo giornalmente.

Le bio plastiche nascono a partire da grandi molecole sintetizzate dalle piante: amido, cellulosa, legno, zuccheri... Queste materie prime, a loro volta sono estratte da piante quali mais, grano, riso, patate, soia, canna da zucchero che devono essere opportunamente coltivate.

Il vantaggio delle bioplastiche, rispetto alle plastiche convenzionali è che la materia prima, prodotta grazie alla sintesi clorofilliana delle piante, è rinnovabile e biodegradabile.

Come si sa, non è così con i polimeri (le plastiche) prodotti a partire da derivati del petrolio, una risorsa che si avvia all'esaurimento e in gran parte non biodegradabili.

Pertanto l'anidride carbonica che si libera durante il compostaggio delle bioplastiche, giunte alla fine del loro cilo di vita utile restituisce all'atmosfera l'anidride carbonica che le piante hanno assorbito dell'atmosfera e, grazie all'energia solare, trasformato in amidi, cellulosa, zuccheri.

Tuttavia la coltivazione di mais, grano, canna da zucchero richiede fertilizzanti, erbicidi, pesticidi e l'uso di pompe per acqua, di trattori, di automezzi per il trasporto agli impianti.

E questo è il punto debole delle bioplastiche, in quanto con le attuali scelte produttive, si pongono in. concorrenza con la produzione di cibo e richiedono, comunque, l'uso di fonti di energia non rinnovabili.

Un altro punto di debolezza delle bioplastiche è che, al momento, gli oggetti fatti con questi materiali non sono riciclabili, non possono essere recuperati per diventare nuovi oggetti, come è possibile fare con tutte le plastiche "fossili".

Una volta che lo shopper di bioplastica usato per la spesa è vuotato, se è grande abbastanza e sufficientemente robusto può essere usato per la raccolta differenziata dell'umido e quindi avviato al compostaggio o alla digestione anaerobica per essere trasformato in metano e compost. Poi occorre coltivare nuovo mais , grano, soia... per poter produrre un nuovo sacchetto biodegradabile.

Anche la biodegradabilità merita un chiarimento. I biosacchetti si compostano completamente dopo alcune decine di giorni di trattamento solo in impianti industriali per il compostaggio e la digestione anaerobica di scarti biodegradabili.

Tuttavia, in compostiere domestiche la degradazione è estremamente lenta, tanto da sconsigliarne l'uso e ovviamente è molto probabile che la dispersione nell'ambiente delle bio-plastiche possa creare problemi di inquinamento non molto diversi da quelli prodotti dall'abbandono di plastiche convenzionali.

L'immagine che segue è la sequenza fotografica della degradazione di una bottiglia di Acido Polilattico ( PLA) prodotta a partir da zucchero.




La stessa bottiglia per degradare completamente  richiede 50 giorni di compostaggio a 65°C e 95% di umidità in un impianto di compostaggio industriale, in un impianto di compostaggio domestico a 40°C ci vogliono 120 giorni.

Se messo sotto terra o in acqua, per la completa biodegradazione ci vogliono rispettivamente 24 e 48 mesi!

I tempi di degradazione di polimeri di sintesi sono estremamente più lunghi,  ma dovrebbe essere evidente come sia opportuno evitare qualunque dispersione nell'ambiente di polimeri, qualunque sia la sua composizione.

Oggi l'impatto ambientale derivante dalla produzione ed uso dei bio-polimeri non desta particolare attenzione, ma occorre mettere a confronto l'attuale produzione mondiale di bio-polimeri (960.000 tonnellate nel 2017)  con i 200 milioni di tonnellate all'anno di plastiche derivanti dal petrolio prodotti in tutto il mondo.

Certamente non ci sono dubbi che l'uso di biopolimeri, al posto di polimeri di sintesi, riduca la perdita di risorse non rinnovabili e comporti un minore emissione di gas serra, ma chi vince se si mettono a confronto gli impatti ambientali dalla "culla alla tomba" di uno shopper di polietilene riciclato dopo l'uso, con un sacchetto di Mater B  delle stesse dimensioni che, una volta usato è avviato al compostaggio?

Questo confronto è stato realizzato da due ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Chimica dell'Università di Roma  che hanno usato le consolidate procedure di Analisi del Ciclo di Vita (LCA) per mettere a confronto gli impatti derivanti dalla produzione, uso e trattamento finale di due diversi tipi di sacchetto per la spesa.

Sorprendentemente il sacchetto di Polietilene, grazie al suo riciclo, che permette il risparmio di risorse non rinnovabili e al minor impatto nella fase di produzione della materia prima ( la coltivazione di mais per la produzione di amido) ha prestazioni migliori del sacchetto di Mater B con riferimento all'impatto sulla salute umana, la qualità degli ecosistemi e l'uso di risorse.

Per correttezza bisogna osservare che per il sacchetto in Mater B non è stato valutato l'evitato impatto che si può avere se questo sacchetto è usato per la raccolta dell'umido che potrebbe fargli guadagnare qualche punto a favore dell'impatto delle risorse.


Confronto LCA " dalla culla alla tomba" tra uno shopper in Mater B compostato (giallo)
  e uno shopper in polietilene riciclato (blu). Più alto il valore, maggiore l'impatto.
In conclusione, una valutazione più attenta dei processi produttivi, dovrebbe suggerire una maggiore prudenza nella sostituzione di polimeri di sintesi con biopolimeri, senza valutazioni critiche sulle modalità di produzione ed uso.

Certamente bisogna prepararsi per un futuro tutt'altro che remoto in cui non saranno più disponibili risorse fossili a costi accettabili e la possibilità di produrre polimeri da fonti rinnovabili è certamente una grande opportunità.

Ma è altrettanto importante prendere subito fatto che questa sceltadovrà accompagnarsi a preferire come materie prime biomasse di scarto di altre lavorazioni in modo da evitare di mettere il concorrenza la produzione di cibo con la produzione di plastiche.

E' infine indubbio, se qualcosa abbiamo imparato, che anche per i Bio-polimeri non è sostenibile una scelta finalizzata a produzioni "usa e getta "o ad oggetti non durevoli quali i sacchetti per la spesa o per pesare l'ortofrutta nei negozi della grande distribuzione.

Questi oggetti possono essere facilmente sostituiti con una bella borsa per la spesa  ( meglio se fatta con polimero di sintesi di cui si sfrutta la partita indistruttibilità) e per la pesata con sacchetti a rete su cui l'etichetta è facilmente toglibile e che sono anch'essi riutilizzabili molte volte.

Da tempo, in Svizzera fanno così.
















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