Ricordate il nostro articolo sui biocarburanti? Quello nel quale mettevamo in evidenza l’ipocrisia che si cela dietro alla missione green di realizzare carburanti poco inquinanti ricavandoli da prodotti agricoli? In questi giorni è arrivata a riguardo una buona notizia dall’Unione Europea: a seguito di forti pressioni delle associazioni a tutela dell’ambiente e dei diritti umani e con il netto “no” espresso dalla società civile, Bruxelles ha lanciato un segnale forte all’industria di settore dei paesi comunitari annunciando che dovranno limitare la produzione di biocarburanti di prima generazione (derivati da culture alimentari) e incentivare quelli sostenibili (frutto delle ricerche più recenti, estratti da alghe, rifiuti, paglia e altri tipi di residui). Vediamo perché.
I carburanti biologici sono un prodotto che deriva dalla lavorazione di frumento, grano, zucchero di canna e altri vegetali; per ottenerne quantità utili a soddisfare il fabbisogno attuale occorre disporre di enormi appezzamenti di terra da trattare con il criticato metodo delle colture estensive. L’Europa non dispone di tali appezzamenti, dunque ha partecipato assieme agli altri paesi del mondo al cosiddetto “scippo della terra” o land grabbing consumato ai danni del sud del mondo, diventando parte attiva di processi di deforestazione, usurpazione dei diritti umani dei popoli autoctoni e così via. Il fenomeno ha destato scalpore e creato forte mobilitazione, così, in barba a chi pensa che la voce del popolo non conti, oggi possiamo raccogliere i frutti della protesta globale ed essere soddisfatti: la nuova proposta della Commissione punta a intervenire sulla legislazione europea portando un deciso cambiamento di rotta tramite ben quattro interventi:
- limitando fino al 202o al 5% la quantità di biocarburanti e bioliquidi derivati da colture alimentari;
- offrendo incentivi di mercato per i biocarburanti, in particolare di seconda e di terza generazione derivati da materie prime che non implicano una domanda supplementare di utilizzo di terreni (alghe, paglia e vari tipi di rifiuti);
- aumentando al 60% la soglia minima di riduzione dei gas a effetto serra per i nuovi impianti, in modo da migliorare l’efficienza dei processi di produzione dei biocarburanti e scoraggiare ulteriori investimenti in impianti che danno scarsi risultati nella riduzione delle emissioni;
- calcolando (finalmente) l’impatto della conversione dei terreni a livello mondiale (il cosiddetto fattore Iluc), nella valutazione delle prestazioni dei biocarburanti in termini di riduzione delle emissioni.
Un risultato che ci fa tirare un sospiro di sollievo (sopratutto lo tireranno foreste e popoli del sud del mondo) e che traduce alla perfezione l’idea di un’economia realmente sostenibileche si fonda sul minimo dispendio di risorse e minimo impatto ambientale.
Redazione Attenti all’uomo
“I biocarburanti che affamano la Terra”: leggi l’articolo.
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