giovedì 29 novembre 2012

Come si differenziano gli scontrini fiscali


Certamente anche voi avete notato che, da quando c'è Monti,  gran parte dei negozianti vi tilascia lo scontrino fiscale. E' una bella cosa, ma crea un nuovo problema: in quale contenitore della raccolta differenziata devono essere messi?
Segue la risposta giusta.


Carta termica e bisfenolo A costituscono due fattori che impediscono il riciclo degli scontrini che infatti non vanno conferiti insieme alla carta. La scelta di questo tipo di carta per gli scontrini fiscali è però dettata da precise disposizione normative. Tuttavia esistono ricevute realizzate con il 70% di rifiuti post-consumo prive di BPA

di Giuseppe Iasparra
martedì 20 novembre 2012 14:24

clicca sull'immagine per ingrandire

Come avevamo già scritto in passato, lo scontrino fiscale non è riciclabilenon vanno infatti conferiti nei contenitori della carta in quanto gli scontrini, generalmente, sono fatti con carte termiche i cui componenti reagiscono al calore generando problemi nelle fasi del riciclo.

Un modo per riconoscere la carta termica è osservarla attentamente: è infatti lucida o semilucida su un lato. Dello stesso tipo di carta sono fatti anche le ricevute rilasciate dalle bilance elettroniche e dai pos per carte di credito, oltre alla carta per i fax e a quella di alcuni tipi di ricevute fiscali e dei biglietti aerei.

La scelta di questo tipo di carta per gli scontrini fiscali è però dettata da precise disposizione normative: il rotolo di carta in dotazione al misuratore fiscale - si legge su un sito di settore - deve essere in carta termica omologata dall'Istituto Superiore di Poste e Telecomunicazione. Inoltre recentemente un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, pubblicato il 31 Gennaio 2012, ha fissato nuovi e più stringenti requisiti tecnici necessari per la certificazione della carta termosensibile utilizzata gli scontrini fiscali.

A compromettere il riciclo di questa tipologia di carta c'è anche un componente "pericoloso": il 94% degli scontrini che riceviamo contiene infatti bisfenolo A (BPA) sostanza che secondo gli studiosi può provocare gravi danni alla salute. Secondo gli scienziati riciclare questi scontrini è quindi anche una fonte di contaminazione con BPA di tovaglioli di carta, carta igienica, imballaggi per alimenti e altri prodotti cartacei.

Tuttavia, navigando in rete si scopre che esistono tentativi di riciclo della carta termica andati a buon fine: come riportato su alcuni siti (www.thermalsolutionsinternational.com/recycled-thermal-paperrolls-en.html;www.barcodesinc.com/cats/receipt-paper/bpa-free.htm) esistono infatti ricevute realizzate con il 70% di rifiuti post-consumo. Questa carta sarebbe anche priva di BPA.


giovedì 22 novembre 2012

Ombrelli usa e ricicla

Ombrello portatile monomateriale: tutti i componenti sono in polipropilene.
Certamente gli ombrelli portatili sono comodi, ma dopo una giornata di pioggia e forte vento, i cestini dei rifiuti sono pieni dei miseri resti di tanti di questi ombrellini, distrutti da una folata di vento.
Alcune stime valutano in 900 milioni gli ombrelli "usa e getta" che ogni anno, a livello mondiale,  dopo una breve vita utile, finiscono in discarica o negli inceneritori.
E' uno spreco di denaro e di materie preziose (240 grammi di ferro ad ambrello) che non ci possiamo più permettere.
Il sistema migliore per evitare questa evitabile massa di "rifiuti" è quella di dotarsi di un classico ombrello sufficentemente robusto.
Se non lo perdete, vi durerà decenni; il tempo sufficente affinchè ritornino in auge gli ombrellai.
Se proprio abbiamo bisogno di un ombrello portatile l'inventiva e il design nazionale, grazie a Federico Venturi (designer) e Gianluca Saveli (ingegnere meccanico),  propone un obrello portatile bello ed innovativo.
La caratteristica principale di questo ombrello, battezzato Ginko e ripreso nella immagine,  è di essere tutto realizzato con un unico polimero, il polipropilene.
Questa scelta, oltre a garantire flessibilità e durata a tutti i componenti, permetterebbe un facile riciclo, quando l'ombrello, per naturale consuzione, sarà arrivato alla fine della sua prima vita.
Il condizione è d'obbligo, in quanto il Ginko, non essendo un imballaggio, non rientra negli accordi con il Consorzio Nazionale Imballaggi.
Se oggi mettete un ombrello Gimko nel bidone della plastica, sarebbe considerato un "contaminante" e deprezzerebbe l'intero contenuto del bidone giallo, tanto da destinarlo alle fiamme di un inceneritore.
Ed ecco un nuovo impegno che ci piacerebbe poter ascoltare dai tanti che in questi giorni si propongono al governo del Paese: autorizzare la raccolta differenziata di tutti gli oggetti di plastica e corrispondere ai comuni che differenziano le cifre pattuite a prescindere della loro natura di imballaggio.
Lo stesso Governo prevederà alla realizzazione, in ogni Regione, di un centro di separazione delle plastiche per tipo di polimero abbinato ad  un centro di recupero e riutilizzo di plastiche miste.
Il mio voto, a chi metterà nel suo programma questi obbiettivi che creeranno innovazione, occupazione, efficenza energetica ed eviteranno lo spreco di risorse non rinnovabili.


lunedì 19 novembre 2012

Un Piano per la Difesa del Suolo.

Giorgio Nebbia è la memoria storica dell'ambientalismo italiano. 
E' utile leggere la sua proposta per Un piano per la Difesa del Suolo che ancora non ha trovato il suo realizzatore.

Giorgio Nebbia
nebbia@quipo.it

Si potrebbe scrivere una storia dell'Italia elencando le perdite di vite, di ricchezza, di beni, conseguenti le frane e le alluvioni e la siccità, tutte ricorrenti, in tutte le parti d'Italia, con le stesse modalità e cause, tutte rapidamente dimenticate. Come anno zero può essere preso il 1951, l'anno della grande alluvione del Polesine provocata dal dissesto idrogeologico del lungo periodo fascista e di guerra durante il quale si è aggravato il taglio dei boschi ed è venuta meno la manutenzione dei fiumi.

In quell'anno del grande dolore nazionale, ci si rese conto che la ricostruzione dell'Italia avrebbe dovuto dare priorità alle opere di difesa del suolo; molte indagini e inchieste misero in evidenza la fragilità di molti corsi d'acqua, oltre al Po, in cui i detriti dell'erosione si erano depositati nell'alveo e avevano fatto diminuire la capacità ricettiva dei corpi idrici. Inoltre era già stata avviata una graduale occupazione e privatizzazione delle fertili zone golenali, originariamente appartenenti al demanio fluviale proprio perché ne fosse conservata, libera da ostacoli di edifici e strade, la fondamentale capacità di accoglimento delle acque fluviali in espansione nei periodi di intense piogge.

Il "miracolo economico" degli anni cinquanta e sessanta del Novecento è stato reso possibile dalla moltiplicazione di quartieri di abitazione, di fabbriche e di attività di agricoltura intensiva che richiedevano una crescente occupazione del territorio, nelle pianure e nelle valli. Nello stesso tempo la intensa migrazione interna dalle zone più povere e dissestate del Mezzogiorno verso un Nord che prometteva lavoro in fabbrica e paesi e città più vivibili e con migliori servizi, ha lasciato vaste zone del Mezzogiorno e delle isole e delle montagne e colline esposte all'abbandono umano e esposte ad un crescente degrado del territorio e a una serie crescente di frane e alluvioni.

Per una nuova politica del territorio, per avviare serie iniziative di difesa del suolo non servì la frana di un pezzo del monte Toc nel bacino del Vajont, e i relativi duemila morti del 1963. E neanche la grande alluvione di Firenze e Venezia del 1966, un altro momento del grande dolore nazionale; anche allora fu riconosciuta, nel dissesto territoriale la causa prima della tragedia; fu istituita la Commissione De Marchi che riferì al Parlamento che occorrevano investimenti di diecimila miliardi di lire di allora (100 miliardi di euro 2012) in dieci anni per opere di difesa del suolo. Opere che non sono state fatte.

Nei decenni successivi la costruzione di edifici e strade ha continuato ad alterare, anzi in maniera accelerata, profondamente la superficie del suolo creando ostacoli al flusso delle acque; si è innescata una reazione a catena che ha fatto aumentare l'erosione del suolo, i detriti dell'erosione hanno invaso gli alvei dei fiumi e torrenti e, di conseguenza, è diminuita la capacità dei fiumi e torrenti e fossi di ricevere l'acqua, soprattutto a seguito di piogge più intense.

Nello stesso tempo si sta assistendo a modificazioni climatiche planetarie che alterano i cicli delle stagioni e delle piogge. Di conseguenza sempre più spesso, il territorio e la collettività italiani sono (e saranno) esposti a siccità e frane e alluvioni che distruggono edifici, strade, raccolti; sempre più spesso le comunità danneggiate richiedono la dichiarazione di stato di calamità, che significa che lo stato deve provvedere a risarcire i danni provocati da "calamità" considerate "naturali" ma che tali non sono: sono calamità dovute ad errori e imprevidenza umani: per evitarli la politica della "protezione civile" dovrebbe essere sostituita con una cultura della "prevenzione".

Le frane e le alluvioni derivano in Italia da vari fattori. Dalle piogge, prima di tutto, che si alternano rapide ed intense in certi mesi e scarse in altri; ma come si può organizzare la prevenzione delle calamità se non si sa neanche esattamente quanto piove in una regione in un anno ?

La velocità con cui le piogge scorrono nelle valli, sul fianco delle montagne e colline, e poi nei fiumi a fondovalle, la loro forza di erosione del suolo, dipendono dalla vegetazione: se il suolo è coperto di alberi e macchia spontanea, la "forza" contenuta nelle gocce d'acqua delle piogge si attenua cadendo sulle foglie e l'acqua scorre sul suolo abbastanza dolcemente. Se il suolo è nudo, la forza delle gocce d'acqua lo sgretola in particelle fini che rapidamente sono trascinate a valle e, quando il flusso di acqua è intenso, il ruscellamento si trasforma in un fiume di fango, quello che abbiamo visto tante volte nelle immagini delle alluvioni.

Se poi il flusso delle acque incontra ostacoli, edifici, muraglioni, il fiume di acqua e fango si rigonfia, cambia strada, si infiltra dovunque e spazza via tutto. E di ostacoli le acque sul suolo italiano, in tutte le regioni, ne incontrano tanti: decisioni miopi ed errate e l'abusivismo edilizio, tollerato dalle autorità locali e addirittura incentivato con due devastanti "condoni", hanno fatto moltiplicare sul fianco delle valli, addirittura nel greto dei fiumi, case, fabbriche, edifici, strade.

Nel 1989 era stata emanata una legge, la "centottantatre", che stabiliva come rallentare ed evitare i disastri delle frane e delle alluvioni. La difesa del suolo e delle acque deve, indicava giustamente la legge, essere organizzata per bacini idrografici, quelle unità geografiche ed ecologiche che comprendono le valli, gli affluenti, i fiumi principali, dalle sorgenti al mare. Poiché i confini dei bacini idrografici non coincidono con quelli delle regioni e delle province, per ciascun bacino idrografico deve essere istituita una autorità di bacino che deve redigere un "piano" per indicare dove devono essere fatti i rimboschimenti, dove devono essere vietate le costruzioni, deve devono essere fermate le cave o le discariche dei rifiuti, dove devono essere costruiti i depuratori. Al piano di ciascun bacino dovrebbero attenersi --- lo voleva la legge, non sono ubbie di ecologisti --- le autorità amministrative, i consorzi di bonifica, le comunità montane, gli enti acquedottistici. Anche questa legge è stata abrogata dal testo unico delle leggi sull'ambiente approvato dal governo nel giugno 2006.

Eppure la salvezza del territorio contro le alluvioni e l'aumento delle risorse idriche richiederebbero un grande illuminato programma di opere pubbliche, sull'esempio di quelle intraprese dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt, nel 1933, per far uscire l'America dalla crisi con investimenti per la sistemazione delle valli e del corso dei fiumi, creando occupazione e tornando a rendere fertili terre erose e assetate proprio per l'eccessivo sfruttamento del suolo.

Tali opere richiederebbero un piano quinquennale che dovrebbe cominciare con una indagine dello stato del territorio, oggi facilmente eseguibile con mezzi tecnico-scientifici come rilevamenti satellitari e aerei. Tanto per cominciare gran parte di questo lavoro è disponibile, sparso per diversi ministeri e agenzie: in parte è stato fatto (avrebbe dovuto essere fatto) nell'ambito delle autorità di bacino idrografico secondo quanto richiesto a suo tempo dalla legge 183; in parte fu (avrebbe dovuto essere) predisposto dal decreto del 1999 dopo l'alluvione di Sarno. Tale indagine dovrebbe rilevare le vie di scorrimento delle acque dalle valli verso il mare e gli ostacoli attualmente esistenti a tale flusso, rivo per rivo, fosso per fosso, torrente per torrente, fiume per fiume.

Come secondo passo, l'indagine sullo stato del territorio indica (indicherebbe) dove non devono essere fatte nuove opere come costruzioni di edifici e strade e dove sarebbe opportuno localizzare futuri edifici e strade in moda da assicurare il deflusso senza ostacoli delle acque. Le decisioni conseguenti la pianificazione dell'uso del territorio --- l'indicazione di dove si può e di dove non si deve intervenire con opere nel territorio --- comporta due sgradevolissime conseguenze: la modificazione del valore di molte proprietà private e la necessità di una moralizzazione della pubblica amministrazione alla quale dovrebbe essere iniettato il coraggio di "dire no" alle pressioni di molti proprietari di suoli.

Come terzo passo l'indagine sullo stato del territorio indica (indicherebbe) dove esistono ostacoli al flusso delle acque; tali ostacoli sono costituiti da edifici o opere costruiti, abusivamente o anche "legalmente", al fianco dei torrenti e fossi, talvolta nelle golene e negli alvei; dalle arginature fatte per aumentare lo spazio occupabile a fini economici e che fanno aumentare la velocità e la forza erosiva delle acque, dai ponti e dalle strade e dalle opere che ostacolano il deflusso delle acque o che si trovano in zone esposte ad erosione, alluvioni e frane.

In parte tali ostacoli devono essere rimossi; sarà una scelta politica trovare delle forme di indennizzo per i costi di spostamento e di demolizione di proprietà private o di opere pubbliche; in qualche caso basta eliminare la cementificazione dei fianchi di colline; in altri si tratta di recuperare e riattivare antiche note pratiche di drenaggio delle acque, abbandonate in seguito allo spopolamento delle colline e montagne; in altri casi si tratta di praticare una pura e semplice "pulizia" di canali e torrenti. Opere di "manutenzione idraulica" esattamente equivalenti alla manutenzione che viene praticata sulle strade, negli edifici, ai macchinari, ma mirate allo scorrimento delle acque.

Come quarto passo, una accurata indagine territoriale è in grado di indicare come è variata, nei decenni, la capacità ricettiva dei torrenti e fiumi; tale variazione è dovuta sia al deposito di prodotti dell'erosione nell'alveo dei fiumi e torrenti, sia all'escavazione di sabbie e ghiaie; nel primo caso le acque piovane tendono ad uscire dagli argini e ad allagare le zone circostanti, e non servono le opere di innalzamento o cementificazione degli argini, ché anzi aggravano la situazione, trasferendo a valle materiali che ostacolano altrove il deflusso delle acque: nel secondo caso i vuoti lasciati dall'escavazione fanno aumentare la velocità e la forza erosiva delle acque in movimento.

Va anche tenuto presente che quanto avviene nel corso di fiumi e torrenti influenza i profili delle coste provocando avanzata o erosione delle spiagge, con conseguente, rispettivamente, interramento dei porti o perdita di zone di valore economico turistico --- e quindi ancora una volta costi per la collettività e anche per privati.

La quinta azione --- ma dovrebbe andare al primo posto come efficacia --- per rallentare e fermare i costi per frane e alluvioni, e per aumentare la disponibilità di acqua di buona qualità, consiste nell'aumento della copertura vegetale del suolo. La presenza di alberi e vegetazione fa sì che la pioggia cada sulle foglie, anziché direttamente sul terreno; le foglie e i rami sono elastici e attenuano la forza di caduta e quindi la forza erosiva delle acque. Inoltre la loro presenza e la presenza di sottobosco rallenta la discesa delle acque e quindi la loro forza erosiva.

Normalmente si ragiona in termini di rimboschimento delle terre esposte ad erosione; il rimboschimento tradizionale richiede pazienza, cultura e conoscenza delle caratteristiche del suolo, oltre che delle specie vegetali, e tempo e manutenzione perché il trasferimento delle piante dai vivai al terreno è opera lunga e delicata; ma l'attenuazione del moto delle acque è svolto anche dalla vegetazione "minore", dalla macchia e dalla vegetazione spontanea. Purtroppo esiste una anticultura che suggerisce o impone la "pulizia", che vuol dire distruzione, del verde, dalle campagne alle valli, ai giardini privati e pubblici urbani.

La macchia è spesso estirpata per lasciare spazio per strade o parcheggi o edifici: non ci si rende conto che ogni foglia, anche la più piccola e insignificante, anche quella che cresce negli interstizi delle strade, ha un ruolo positivo non solo come "strumento" per sequestrare dall'atmosfera un po' dell'anidride carbonica responsabile dell'effetto serra e dei mutamenti climatici, ma anche per contribuire allo scambio di acqua fra il suolo e l'atmosfera --- essendo, ancora una volta, l'acqua la fonte vera della vita anche economica.

Alla distruzione del poco verde contribuisce la gestione del territorio agroforestale, l'abbandono dell'agricoltura di collina e montagna, la diffusione di seconde case e attrezzature sportive proprio nelle valli, una parte molto desiderabile del territorio, la mancanza di "amore" per la vegetazione che è la forma prima di "vita", dalla quale dipendono tutte le altre forme di vita umana ed economica.

La poca cura e protezione del verde spontaneo è la fonte degli incendi (alcuni, molti sono provocati proprio per sgombrare il terreno dal verde che ostacola costruzioni e speculazioni); gli incendi, a loro volta lasciano il terreno esposto a crescente erosione.

C'è una sesta azione di sostegno alle cinque precedenti che avrebbe anche il vantaggio di non costare niente; un'opera di informazione e di "pedagogia" delle acque, di narrazione di come le acque si muovono nelle valli e nelle città, delle interazioni fra il moto delle acque e il suolo e la vegetazione e le opere umane; al di là dell'utilità pratica, appunto per diminuire i costi annui dovuti al risarcimento delle perdite economiche provocate da frane e alluvioni, la "cultura delle acque" avrebbe un valore politico e civile, mostrando come la popolazione di ciascuna valle è unita, nel bene e nel male, dalle acque che scorrono nella valle stessa, mostrando le forme di violenza che opere sconsiderate a monte esercitano sugli abitanti a valle.

Alla Valle D'Aosta piace fredda: la gestione dei rifiuti

ULTIME NOTIZIE: IL SI AL NUOVO TRATTAMENTO A FREDDO E' PASSATO CON IL 94% DEI VOTI?
Ieri i Valdostani, grazie al loro Statuto Speciale, sono stati chiamati ad esprimersi per un referendum propositivo, approvare una nuova legge regionale in grado di realizzare una innovativa gestione dei loro materiali post consumo, a basso impatto ambientale.
Votare SI, significava risolvere i problemi degli scarti con trattamenti a freddo; votare NO significava il via libera alla scelta della Regione di puntare tutto su un pirogasifficatore, un impianto che ad alta temperatura, in assenza di ossigeno, avrebbe trasformato in gas (una miscela di ossido di carbonio, idrogeno e metano) tutti gli scarti combustibili e usato questo gas per produrre elettricità.
Il referendum propositivo esiste solo in Val D'Aosta e a Bolzano e richiede un quorum del 45%.
Fino ad oggi nessun referendum proposto da queste due Regioni a Statuto Speciale è passato.
Ieri sera si! Circa il 50% dei Valdostani è andato a votare.
Visto che i partiti al governo hanno consigliato l'astensione, è già certa la loro sconfitta politica, e tra qualche ora, siamo altrettanto certi, sarà confermata la netta affermazione dei SI.
Ed ecco il piano "rifiuti" che la maggioranza dei Valdostani ha deciso di appoggiare.
Il perno della nuova gestione è la raccolta differenziata Porta a Porta o di prossimità che punta alla alta qualità delle frazioni raccolte e alla loro commercializzazione. Con il Porta a Porta è introdotta anche la tariffazione puntuale, per ridurre la produzione alla fonte e premiare economicamente che produce meno rifiuti indifferenziati.
La frazione umida è destinata ad impianti di compostaggio e di digestione anaerobica; quest'ultima produce compost per uso agricolo dai digestati e biogas che, depurato a biometano, può essere immesso nella rete di distribuzione del gas per i consueti usi civili ed industriali.
La frazione non differenziata è inviata ad impianti di Trattamento Meccanico Biologico, finalizzati ad ulteriore recupero di materia. I residui di questo processo, esenti da materiali organici fermentabili possono essere messi in discarica, in attesa che diventino commerciabili tecniche che possono trasformare le plastiche miste e gli scarti cellulosici non riciclabili, rispettivamente in  olio diesel e bioetanolo per l'autotrazione.
Non è un caso, ma è proprio il Modello Genova che, a nome di Italia Nostra, sto da tempo proponendo in tutt'Italia.
Certamente la Regione Val D'Aosta tenterà di ostacolare questo piano, che ha il difetto di venire incontro solo agli interessi dei Valdostani.
Vedremo.
Comunque ieri la DEMO CRAZIA (il governo del popolo) ha segnato un punto a favore.
Ho l'impressione che sia solo l'inizio.

sabato 17 novembre 2012

Val D'Aosta a zero rifiuti?


Oggi in Val d'Aosta può vincere la democrazia.
A me sembra una bella notizia ma, stranamente, tutti i mezzi di comunicazione tacciono.
Gli abitanti di questa Regione sono chiamati a votare un referendum proposito che chiede che la gestione dei loro scarti avvenga sono con trattamenti a freddo e di tipo biologico: riduzione, riciclo, compostaggio, trattamenti meccanico biologici.
Se il referendum passa, resta al palo la decisione che la regione ha già fatto: bruciare quasi tutto in un pirogasificatore  con recupero energetico.
Per una regione con circa 150.000 abitanti, neanche quelli di un piccolo quartiere di Genova, il pirogasificatore sarebbe un'opera inutile e costosa.
Per giustificarne la realizzazione c'è anche chi ha proposto che l'impianto servirà per la bonifica della discarica di Aosta.
Insomma la Val D'aosta non produce abbastanza rifiuti combustibili per giustificare questa ennesima piccola grande opera.
Alcuni mesi or sono ho partecipato ad una audizione con i rappresentanti del Consiglio Regionale della Val D'Aosta e ho cercato di convincerli che in una Regione che punta sul turismo, sulla qualità del suo territorio, non dovrebbero avere dubbi, dovendo scegliere tra una tecnologia (la pirogassificazione) che inquina molto di più di un Trattamento Meccanico Biologico che, con l'uso del biometano  prodotto dalla fermentazione anaerobica ed immesso nella rete di distribuzione del gas, sarà possibile produrre calore ed elettricità senza aumentare le attuali emissioni prodotte dal gas naturale già oggi utilizzato nella Val D'Aosta.
Non so se son riuscito a convincerli, certamente il presidente della Commissione era decisamente schierato per il pirogassificatore, senza se e senza ma.
I Valdostani sono stati invitati a desertare le urne ed impedire il raggiungimento del quorum.
A favore del Referendum è sceso in campo  Beppe Grillo.
Vedremo se oggi la democrazia vince o anche i valdostani sono stati politicamente anestetizzati.

ps: tra i sostenitori del Referendum è stato inserito anche il mio "convinto" nome :-)

Notizia dell'ultima ora: le affluenze alle urne fanno ritenere possibile il raggiungimento del quorum.
Invitate tutti i vostri amici valdostani ad andare a votare.

giovedì 15 novembre 2012

Chi non fa la raccolta differenziata danneggia anche te.

QUESTA SI CHE E' UNA BUONA NOTIZIA!

15 novembre. Repubblica Genova

Rifiuti, i sindaci pagano i danni
Raccolta differenziata misera, la Corte dei Conti chiede risarcimenti
milionari

SINDACI, assessori e funzionari della Liguria che non hanno fatto nulla
per alzare la misera percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti,
rischiano di tasca loro. La procura della Corte dei Conti, infatti, ha
appena mandato a giudizio l’attuale e l’ex sindaco di Recco e i loro
rispettivi assessori, per non aver rispettato le percentuali minime di
differenziata imposte dalla legge. Stima dello spreco di soldi pubblici:
un milione e 200 mila euro. Contestato il danno economico derivante da
tributi e sanzioni per l’eccessivo conferimento in discarica, ma anche, ed
è la prima volta in Italia, il danno ambientale. E ora nel mirino ci sono
Genova e altri venti comuni. La Guardia di Finanza ha già acquisito
documenti, contratti e statistiche da Sarzana a Ventimiglia.

La raccolta differenziata non decolla la Corte dei Conti processa i sindaci
Recco primo caso, chiesto un milione di multa per gli amministratori della
città
L’inchiesta
MARCO PREVE

L’ATTUALE sindaco di Recco e il suo predecessore, i rispettivi assessori
all’ambiente e il dirigente comunale responsabile del settore sono stati
citati a giudizio dalla procura della Corte dei Conti per aver causato un
danno erariale derivante dal mancato rispetto delle percentuali di
raccolta differenziata dei rifiuti. I cinque, in caso di condanna,
dovranno risarcire un milione e 200 mila euro.
Se per il danno economico originato dai maggiori tributi e dalle sanzioni
per i quantitativi extra conferiti in discarica, si tratta del terzo
processo del genere in Italia, per la prima volta nel nostro paese è
stato, invece, contestato ai cinque “invitati” (l’invito a dedurre è
l’equivalente dell’avviso di garanzia penale) il danno ambientale, pari a
circa 80 mila euro. Il procuratore regionale Ermete Bogetti lo collega
all’aumento illegittimo di rifiuti portati in discarica,
che contribuiscono ad aumentare il «deterioramneto della risorsa naturale
terreno, mediante l’introduzione di sostanze e organismi nocivi per
l’ambiente e nell’immissione in atmosfera di gas nocivi».
Ma, aldilà di questi aspetti, l’inchiesta della Corte affidata ai
finanzieri della Sezione Accertamenti Danni Erariali del Nucleo di Polizia
Tributaria di Genova, rappresenta un vero e proprio terremoto per quasi
tutti i comuni liguri visto che — e lo raccontiamo in queste stesse pagine
— la nostra regione è all’ultimo posto tra quelle del centro nord per la
raccolta differenziata e al sud è superata anche dalla Campania.
Per quanto riguarda Recco verranno processati Gianluca Buccilli, sindaco
dal 1999 al 2009, l’attuale primo cittadino Dario Capurro, l’ex assessore
Stefano Bersanetti e il suo successore Franco Senarega, oltre al
funzionario Franco Canovi. Gli anni presi in esame vanno dal 2006 al 2010
quando era in vigore una convenzione siglata nel 2003 tra il Comune di
Recco e quello di Genova che affidava il servizio di raccolta e
conferimento all’Amiu. Nel 2010, Recco ha assegnato ad un’altra società il
servizio dopo lo svolgimento di una gara d’appalto.
La citazione della Corte contesta le bassissime percentuali di
differenziata. Se le leggi in materia stabilivano che per il 2006 e il
2010 i livelli minimi dovevano essere del 35% e del 60%, le statistiche di
Recco fanno segnare rispettivamente dei miseri 11,89% e 22,83%.
La colpa di amministratori e
funzionari, secondo la procura è di aver «omesso di assumere qualsivoglia
iniziativa atta a ricondurre la gestione dei rifiuti nell’ambito della
legge.. promuovere azioni nei confronti di Amiu che in violazione del
contratto... non ha rispettato i limiti minimi di legge di raccolta
differenziata». I cinque sono difesi dall’avvocato Alessandro Ghibellini.
L’ex gloria della pallanuoto locale è da tempo un consulente del Comune di
Recco e di recente si è pure occupato di igiene urbana, ma in questo caso
si smarca dal suo precedente ruolo, con un ardito dribbling al conflitto
d’interessi, difendendo amministratori che sono accusati di aver procurato
un danno proprio al Comune.
Nelle memorie difensive vengono citati vari aspetti, tra cui: la
regolarità dell’appalto, la circostanza che la maggior parte dei comuni
liguri siano fuorilegge, errata programmazione di Regione e Provincia,
l’assenza di danno ambientale visto che la discarica
è autorizzata, il costo maggiore della raccolta differenziata rispetto a
quella indifferenziata. Obiezioni alle quali replica la procura punto per
punto. Ad esempio con i dati del Rapporto Ispra (Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero per l’Ambiente) che
«mostra inequivocabilmente come all’aumentare della percentuale di
raccolta differenziata decresce il costo annuo complessivo della gestione
dei rifiuti».
L’avvocato Ghibellini arriva anche a contestare lo scarso effetto
deterrente della cosiddetta ecotassa (ossia l’addizionale del 20% per i
rifiuti finiti in discarica «ove non siano conseguiti gli obiettivi minimi
di raccolta differenziata previsti dalla legge»), perché troppo lieve. «E’
come sostenere — replica il procuratore Bogetti — che se il ladro ruba è
perché la pena per il furto è troppo bassa e dunque non sussiste la
responsabilità del ladro».

E adesso si aprono nuovi fronti anche Genova finisce nel mirino
Liguria in clamoroso ritardo, solo al Sud si fa peggio

E ADESSO tocca a Genova e ad un’altra ventina di località liguri tra le
quali i capoluoghi di provincia. In questi ultimi mesi, i finanzieri della
Sezione Danni Erariali hanno raccolto in molti uffici, da Sarzana a
Ventimiglia, la documentazione relativa ai dati della raccolta
differenziata e, dopo aver mandato a giudizio amministratori e funzionari
per il primo caso, quello di Recco, sono stati aperti altri fascicoli. Sui
nomi dei comuni “indagati” non trapela alcunché, ma l’accesso dei
finanzieri a Tursi non lascia dubbi sul fatto che quella di Genova sia una
delle amministrazioni nel mirino. Naturalmente, la Procura della Corte dei
Conti se è vero che parte da un dato oggettivo come il mancato adeguamento
ai livelli stabiliti dalla legge lo è altrettanto che analizza anche un
elemento soggettivo quale può essere il comportamento di sindaci,
assessori e funzionari. Ossia se si sono dati da fare per migliorare la
situazione, se hanno contestato eventuali violazioni
contrattuali con le aziende cui era stato affidato il servizio con precisi
accordi e obiettivi.
Detto ciò, il quadro ligure sulla differenziata è quanto mai sconfortante.
La nostra è una regione che
per quanto riguarda i rifiuti sembra appartenere al profondo Sud, e
purtroppo non è in questo caso una nota positiva.
Se nel 2010 la percentuale di raccolta differenziata in Italia fa
registrare una media nazionale
del 35,3% (dati ministeriali del-l’Ispra, Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale), al Nord la percentuale sale al 49,1%.
Ma se il Veneto è la regione più virtuosa con il 58,7%, la Liguria è la
cenerentola con
appena il 25,6%. Addirittura sotto la media del Centro Italia (27,1%) e
poco sopra la media del Sud (21,2%), ma decisamente staccata dalla
Campania che fa registrare un 32,7%.
Per quanto riguarda i dati città
per città, si passa all’Osservatorio Regionale sui Rifiuti gestito da
Arpal. Genova, nel 2011, si assesta ad un dignitoso, ma nulla più, 31%,
che comunque è sempre appena la metà di quanto previsto dagli obiettivi
minimi
fissati dal combinato di articoli del Codice dell’Ambiente del 2006 e
della legge finanziaria del 2007.
Certo i genovesi possono consolarsi se guardano le altre province: Savona
si ferma ad un inquietante
21,9%; Imperia fa un po’ meglio con 24,5% mentre La Spezia va decisamente
meglio con il 35,9%Nella sua citazione agli amministratori di Recco, il procuratore Ermete
Bogetti sottolinea come «la circostanza che tanti non rispettino la legge
non costituisce scriminante per il singolo che non la rispetta».
E poi cita il Rapporto Ispra attraverso il quale «si evince che regioni
italiane paragonabili per condizioni di territorio e distribuzione della
popolazione hanno ampiamente conseguito e superato in tutti gli anni gli
obiettivi minimi di legge, dimostrando la effettiva realizzabilità del
risultato voluto dal legislatore nazionale e comunitario».
Insomma, l’esperienza degli altri dimostra che se proprio non è possibile
raggiungere nei tempi le tabelle ministeriali perlomeno, con un po’ di
impegno, si può tentare di sfilarsi la maglia
nera di ultimi del gruppo.
(m.p.)

mercoledì 14 novembre 2012

Far la pace con l'organico.


Nei giorni scorsi ho inviato questa lettere al mio Sindaco.

Al Sindaco di Bogliasco
Luca Pastorino

oggetto: proposta di incontri pubblici sulla raccolta della "Frazione Organica"


Caro Luca

per inaugurare la nuova delibera sul volontariato, propongo al Comune, la mia disponibilità a gestire alcuni incontri pubblici a Bogliasco e nelle frazioni, finalizzati a migliorare la raccolta differenziata della frazione organica.

Gli incontri avranno il titolo "Facciamo la pace con l'organico. Confronto di esperienze nella raccolta differenziata della frazione organica".

Obbiettivo degli incontri sarà quello di condividere i problemi che le famiglie hanno incontrato a separare la frazione organica, ma ancora di più di condividere le soluzioni che le stesse famiglie possono avere trovato.

Le soluzioni migliori e condivise, saranno adeguatamente divulgate.

In quest'incontri, nella duplice veste di "Bogliaschino" e di referente scientifico di Italia Nostra sulle tematiche ambientali, avrò il ruolo di "facilitatore"  del confronto, introducendo l'argomento, aggiornando i risultati della raccolta differenziata,  raccogliendo i problemi, ma ancor più raccogliendo le soluzioni, confrontandole e ragionando insieme su quelle che meglio potrebbero aiutare  le famiglie bogliaschine per migliorare il servizio ed annullare eventuali disagi.

Se questa mia proposta ti trova d'accordo, sarebbe utile che essa sia inserita in un "pacchetto" organico di iniziative del Comune quali, ad esempio:

- calendario di corsi di compostaggio gestiti da ERICA e dal sottoscritto per chi vuol compostare su un piccolo terrazzo

- riconoscimento di sconti sulla tariffa rifiuti per chi autocertifica di realizzare il compostaggio, sia famigliare che condominiale

- corsi-laboratorio per l'autocostruzione di compostiere

- noleggio di bio-trituratori per il trattamento in loco di potature da utilizzare per pacciamatura e compostaggio.

A tua disposizione per i dovuti approfondimenti.

Cordiali saluti

Federico Valerio

martedì 13 novembre 2012

Poseidonia: rifiuto o risorsa?

Cumuli di foglie di posidonia sulla spiaggia di Bogliasco (GE)



D'autunno le prime mareggiate accumulano quantità, spesso elevate, di foglie secche di posedonia.
E' un fenomeno assolutamente naturale, segnale della buona salute dei fondali marini dove vive questa pianta marina.
La Poseidonia, è una vera e propria pianta, con foglie, radici e fiori, che colonizza con ampie praterie i fondali sabbiosi del Mediterraneo.
La sua presenza è un indicatore della salubrità dei mari che la ospitano e le sue praterie sono assolutamente da proteggere.
Tuttavia, lo spiaggiamento delle sue foglie secche, sottili nastri marroni traslucidi, non è ben visto dai gestori dei bagni che si affrettano a toglierle e a smaltirle come rifiuti.
E' un grave errore, frutto di ignoranza e superficialità.
Ignoranza e superficialità che rischia di essere pagato caro.
Infatti il mio sindaco è preoccupato perchè i dati più recenti segnalano che non riusciremo a raggiungere il 65% di raccolta differenziata.
E il motivo può essere proprio il conferimento a discarica della posidonia spiaggiat, pesantissima, non solo perchè ancora impregnata di acqua di mare, ma anche perchè l'operaio del comune, per far prima con la ruspa, oltre alla poseidonia ha preso anche delle belle palate di sabbia!
In conclusione, questa stupida ed inutile "bonifica", ci costerà una barcata di soldi per il trasporto in discarica e lo smaltimento. E questo nuovo "rifiuto indifferenziato" prodotto dal Comune di Bogliasco, abbasserà la nostra percentuale di raccolta differenziata, per cui, non raggiungendo gli obbiettivi di legge ( 65% di RD entro la fine del 2012), ci toccherà pagare la sovratassa regionale.
Mi sono affrettato a spiegare al sindaco che le foglie di Poseidonia sono un ottimo strutturante per gli impianti di compostaggio. Pertanto l'ho consigliato di contattare il gestore dell'inpianto di compostaggio che riceve la nostra frazione organica, per verificare se, ricevendo dell'ottima Poseidonia, non possa farci un piccolo sconto per l'evitato acquisto di cippato di legno.

lunedì 12 novembre 2012

Studiare il meteo per vivere sicuri i cambiamenti climatici




















Nessun buon velista, come il sottoscritto, si mette in mare senza aver prima consultato il bollettino meteo e, ovviamente, la patente nautica prevede anche un esame di meteorologia.
I cambiamenti climatici in atto, rendono pericolosi anche i viaggi terrestri e il numero crescente di vittime del maltempo, suggerisce una urgente alfabetizzazione popolare, per interpretare ed usare in modo corretto le previsioni meteo.
Sabato scorso, 10 novembre, ero stato invitato a partecipare ad un convegno a Bagni di Lucca, per spiegare per quale motivo la conversione di una fabbrica di tannino, in una centrale elettrica alimentata a legna, è una scelta sbagliata, senza futuro.
Quello stesso giorno, a partire dalle ore 9,  tutta la Liguria era in allarme meteo 2, il massimo livello di allerta.
Per decidere che fare, se partire o meno, ho consultato il sito il Meteo.it, che si è dimostrato molto affidabile.
Ho trovato molto utile le previsioni dell'intensità e della localizzazione delle piogge, quali quelle riportate nelle figure in alto.
Le zone colorate corrispondono a quelle dove si prevede pioggia e il passaggio dal celeste al viola rappresenta piogge via via più intense.
Dalla figura a sinistra si capisce che stamattina c'è un'alta probabilità che piogge forti si verifichino nelle aree del levante veneto e che in Istria sono molto probabili veri e propri nubifragi. Nel pomeriggio i nubifragi diventano più probabili a sud della Toscana, dalle parti di Grosseto.
A questo punto un provetto navigatore terrestre, se proprio deve andare a Grosseto, decide di partire presto la mattina, se invece deve recarsi a Pola, in Istria, rinvia il viaggio nel tardo pomeriggio, dopo aver verificato se il temporale ha creato problemi alla viabilità. Ovviamente, se possibile, entrambi i viaggi si riinviano a tempi migliori.
Questo fine settimana, lo studio di queste previsioni mi hanno permesso di fare la mia conferenza sabato pomeriggio e rientrare  domenica, in tarda mattinata, senza particolari problemi, in quanto sabato mattina, quando sono partito da Genova, la perturbazione stava arrivando sulla Liguria e a Bagni di Lucca non pioveva.
Durante la notte la perturbazione si è spostata sulla Toscana e la mattina presto, la visione del Serchio, ad alcune decine di metri dal nostro albergo, sotto una pioggia torrenziale, non era affatto rassicurante, simile a quella riportata nella fotografia che segue, ripresa nelle stesse ore, a poche chilometri da Bagni di Lucca.
Controllata sull'Ipad la viabilità sull'autostrada e confermato, con una telefonata, che a Genova aveva smesso di piovere e che non c'erano stati particolari problemi sulla viabilità ordinaria, siamo partiti sotto la pioggia battente, prevedendo, come avvenuto, che l'ondata di piena del Serchio si poteva verificare nelle ore successive.
Peraltro, poche ore di forte pioggia, avevano già prodotto frane e l'interruzzione della strada sulla sponda sinistra del Serchio. Per fortuna, la via di sponda destra era libera e senza particolari problemi abbiamo preso l'autostrada a Lucca e siamo arrivati a casa, con un filo di Sole sul mare.
La morale di questa piccola epserienza è che è utilile avere rudimenti di meteorologia e che sarebbe opportuno che la Protezione Civile gestisca un sito ufficiale al quale ricorrere per conoscere,  in tempo reale, lo stato della viabilità della rete stradale ordinaria e i percorsi da evitare per il loro potenziale pericolo di inondazione.
Il Serchio,  la mattina dell'11 novembre 2012, all'altezza del ponte della Maddalena (Borgo a Mozzano)





domenica 11 novembre 2012

Si ai bio carburanti di seconda generazione.

Riprendo una nota copiata dal sito Attenti all'uomo. La scelta dell'Unione europea di porre dei limiti alla produzione di bio carburanti con alimenti vegetali e' una buona notizia.


Biocarburanti
Ricordate il nostro articolo sui biocarburanti? Quello nel quale mettevamo in evidenza l’ipocrisia che si cela dietro alla missione green di realizzare carburanti poco inquinanti ricavandoli da prodotti agricoli? In questi giorni è arrivata a riguardo una buona notizia dall’Unione Europea: a seguito di forti pressioni delle associazioni a tutela dell’ambiente e dei diritti umani e con il netto “no” espresso dalla società civile, Bruxelles ha lanciato un segnale forte all’industria di settore dei paesi comunitari annunciando che dovranno limitare la produzione di biocarburanti di prima generazione (derivati da culture alimentari) e incentivare quelli sostenibili (frutto delle ricerche più recenti, estratti da alghe, rifiuti, paglia e altri tipi di residui). Vediamo perché.

carburanti biologici sono un prodotto che deriva dalla lavorazione di frumento, grano, zucchero di canna e altri vegetali; per ottenerne quantità utili a soddisfare il fabbisogno attuale occorre disporre di enormi appezzamenti di terra da trattare con il criticato metodo delle colture estensive. L’Europa non dispone di tali appezzamenti, dunque ha partecipato assieme agli altri paesi del mondo al cosiddetto “scippo della terra” o land grabbing consumato ai danni del sud del mondo, diventando parte attiva di processi di deforestazione, usurpazione dei diritti umani dei popoli autoctoni e così via. Il fenomeno ha destato scalpore e creato forte mobilitazione, così, in barba a chi pensa che la voce del popolo non conti, oggi possiamo raccogliere i frutti della protesta globale ed essere soddisfatti: la nuova proposta della Commissione punta a intervenire sulla legislazione europea portando un deciso cambiamento di rotta tramite ben quattro interventi:
  • limitando fino al 202o al 5% la quantità di biocarburanti e bioliquidi derivati da colture alimentari;
  • offrendo incentivi di mercato per i biocarburanti, in particolare di seconda e di terza generazione derivati da materie prime che non implicano una domanda supplementare di utilizzo di terreni (alghe, paglia e vari tipi di rifiuti);
  • aumentando al 60% la soglia minima di riduzione dei gas a effetto serra per i nuovi impianti, in modo da migliorare l’efficienza dei processi di produzione dei biocarburanti e scoraggiare ulteriori investimenti in impianti che danno scarsi risultati nella riduzione delle emissioni;
  • calcolando (finalmente) l’impatto della conversione dei terreni a livello mondiale (il cosiddetto fattore Iluc), nella valutazione delle prestazioni dei biocarburanti in termini di riduzione delle emissioni.
Un risultato che ci fa tirare un sospiro di sollievo (sopratutto lo tireranno foreste e popoli del sud del mondo) e che traduce alla perfezione l’idea di un’economia realmente sostenibileche si fonda sul minimo dispendio di risorse e minimo impatto ambientale.
Redazione Attenti all’uomo
“I biocarburanti che affamano la Terra”leggi l’articolo.

martedì 6 novembre 2012

L'acciaio non fa bene ai bambini

La Figura mostra ventiquattro mesi di misure giornaliere di un potente cancerogeno (benzopirene) nell'aria raccolta sul tetto di una abitazione di Genova Cornigliano, con vista sulla acciaieria.

Nei primi 12 mesi del 2001 (a sinistra), la cokeria era in funzione e il benzopirene, in base alla direzione dei venti durante il campionamento, andava da pochi decimi di nanogrammi per metro cubo (con le abitazioni sempre sopravento alle acciaierie) ad un massimo  di circa 40 nanogrammi per metro cubo, quando le abitazioni si trovavano per molte ore, sottovento all'impianto.

Nei successivi 12 mesi, sono riportate le misure ottenute a partire dal 7 febbraio 2002, giorno in cui fu spento l'ultimo forno della cokeria.

Da quel giorno, qualunque fosse la direzione del vento, la concentrazione del benzopirene è rimasta sempre abbondantemente sotto l'obiettivo di qualità dell'aria, pari a 1 nanogrammo per metro cubo.

Case e altoforno acciaieria di Genova Cornigliano

E i bambini con camere con vista altoforno che respiravano quell'aria, come stavano?

L'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST) di Genova ha studiato l'andamento dei ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie dei bambini da 0 a 14 anni che abitavano nelle case più esposte all'inquinamento dell'acciaieria e li ha confrontati con quelli dei bambini che vivevano negli altri quartieri cittadini.

Dal 1997 al 2002, i bambini di Cornigliano, in particolare i maschietti,  erano più frequentemente ricoverati in ospedale: da 10 a 25 ricoveri annuali in più, ogni 1000 bambini, con punte di 70 ricoveri ogni 1000 bambini che abitavano a Cornigliano.

E sarà anche un caso, ma nel 2003, spenta la cokeria da un anno, i tassi di ricovero per malattie respiratorie dei bambini di Cornigliano sono stati simili a quelli degli altri loro coetanei genovesi:  bambini, 40 per mille; bambine, 30 per mille.

E a Taranto-Tamburi, ancora con i fumi acciaieria in casa e nelle scuole, come vanno le cose?

I bambini come stanno?