sabato 21 febbraio 2015

Stoccolma avanti tutta a biometano, a seguire Napoli e Genova.


I primi autobus a biogas, o meglio a metano rinnovabile, hanno cominciato a circolare per Stoccolma nel 2004.

La prima flotta ad energia rinnovabile era composta da 51 autobus, a servizio del centro di Stoccolma e il metano rinnovabile era fornito dalla locale società per la depurazione dell'acqua.

In questo modo, oltre a restituire al mar Baltico acqua pulita, si è pensato bene di trattare le migliaia di tonnellate di fanghi residuali al trattamento delle acque fognarie, prodotte dagli 800.000 abitanti di Stoccolma, con una speciale tecnica biologica (digestione anaerobica) che, grazie all'azione di particolari batteri, trasforma parte di questi fanghi in una miscela di anidride carbonica e metano, chiamata biogas.

Con tecniche opportune si riduce la concentrazione di anidride carbonica e di altri composti minori, quali i composti organici solforati che possono creare problemi nella fase di utilizzo e il metano fresco di giornata  (ci vogliono circa 30 giorni di trattamento biologico per trasformare i fanghi in metano) messo in pressione, viene fatto viaggiare per qualche chilometro fino a raggiungere la stazione degli autobus, dove viene immesso nei serbatoi degli automezzi.

Nel 2012 gli autobus alimentati a metano rinnovabile, a servizio della grande Stoccolma, erano 259 (il 14% dell'intero parco di trasporto pubblico di Stoccolma) tutti alimentati con il metano prodotto dai fanghi di tre impianti per il trattamento delle acque, in grado di produrre annualmente 9 milioni di metri cubi di metano, tutti utilizzati per il trasporto pubblico.

Poichè il metano ha sostituito il gasolio, le emissioni inquinanti prodotte dal trasporto pubblico si sono fortemente ridotte, a beneficio dei polmoni degli abitanti: nel 2011, grazie alla sostituzione del gasolio con il metano, nell'aria di Stoccolma ci sono state 450 tonnellate in meno di ossidi di azoto e 7 tonnellate in meno di polveri sottili.

Un altro vantaggio del metano rinnovabile è la silenziosità dei motori che lo utilizzano, un ulteriore fattore a favore del miglioramento della qualità della vita.

A distanza di un decennio dall'aviio di questa sperimentazione si possono tirare le somme, superati alcuni piccoli problemi tecnici all'avvio, il metano rinnovabile è stato promosso ai massimi voti, anche per quanto riguarda i costi e l'esperienza svedese sta suscitando grandi interessi , con numerose delegazioni di paesi stranieri (Cina, Giappone, Sud Corea) che vengono a vedere da vicino.

Un modello che presto anche Napoli e Genova, per le scelte fatte dalle loro amministrazione, potrebbero adottare.

Sullo stesso argomento in questo Blog

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- Il biometano ci potrebbe dare una mano 
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  Incenerimento. II parte. 

venerdì 20 febbraio 2015

I bio-caminetti inquinano. Dalla Germania arrivano finalmente le prove.



Il 30 novembre del 2007, dopo aver visto su La Repubblica la pubblicità di un caminetto senza canna fumaria, alimentato con bioetanolo ho scritto un post sul mio Blog, ipotizzando una pericolosa bio bufala.

Nel post avvertivo i potenziali acquirenti dei pericoli per la qualità dell'aria degli appartamenti che avrebbero ospitato questi caminetti.

Il post ha aperto un grande dibattito pubblico sull'argomento e ancora oggi riceve molte visite con 55.965 contatti.

A distanza di sette anni, le mie ipotesi sono state confermate: i biocaminetti inquinano e sono una fonte di rischio per la salute.

Queste affermazioni  derivano da una ricerca del Fraunhofer Institute per la ricerca sul legno.

La ricerca è stata pubblicata nel 2014 e per realizzarla è stata utilizzata una stanza di 48 metri cubi, con pareti, soffitto e pavimenti in acciaio.

L'uso di questo metallo è motivato dal fatto di non interferire con gli inquinanti emessi durante la combustione che pareti di altro materiale potrebbero assorbire e/o rilasciare.

In questa stanza sono stati accessi quattro diversi modelli di bio caminetti, utilizando bioetanolo di nove marche diverse, compreso un gel di questo composto.

Nel corso della combustione speciali sonde hanno effttuato prelievi dell'aria all'interno della stanza e misurata la concentrazione dei composti che si formano  durante ogni combustione, oltre all'anidride carbonica, il biossido di azoto, le polveri sottili e la formaldeide.

In questa prova tutti i quattro caminetti, una volta accesi hanno riempito la stanza di ossidi di azoto a concentrazioni maggiori dello standard di qualità ammesso all'interno delle abitazioni e pari a 0,35 milligrammi per metro cubo di aria. In un caso si sono raggiunti ben 2,7 milligrammi per metro cubo.

I fumi prodotta dai caminetti a bioetanolo hanno sforato anche il limite fissato per la formaldeide (0,1 parti per milione) con un valore massimo di 0,45 parti per milione.

Anche l'anidride carbonica, inevitabile prodotto di tutte le combustioni, è aumentato dopo che i caminetti erano stati accesi e in un caso si sono raggiunti 6.000 parti per milione, a fronte dei 1000 parti per milione, considerato accettabile all'interno delle abitazioni.

Le conclusioni dello studio sono che senza alcun dubbio i caminetti alimentati a bioetanolo sono un'importante fonte d'inquinamento  e una potenziale fonte di rischio per la salute.

Queste valutazioni si riferiscono ad un uso in ambiente domestici di piccole dimensioni, senza canna fumaria e con limitata ventilazione.

Ora anche i più scettici dei miei lettori sono ufficialmente avvertiti.

State lontani dalle bio-bufale!

mercoledì 11 febbraio 2015

Quanto si guadagna con la differenziata



Bogliasco, un paesino di cinquemila anime sulla riviera ligure, un discreto flusso di bagnanti genovesi in estate  e, dal 2012, un regime di raccolta porta a porta e di prossimità dei materiali post consumo (ex-rifiuti) prodotti dai suoi abitanti che, nel 2013, ha fatto registrare il 67,2% di raccolta differenziata.

Un buon risultato che l'amministrazione comunale, stranamente, sottovaluta.

Ancora molti bogliaschini ignorano che, grazie al senso civico dei più, il Comune ha ricevuto un premio in danaro dalla Regione Liguria, per aver raggiunto questo obiettivo, insieme a soli altri dieci comuni, su un totale di 231 in tutta la Liguria.

Gli stessi bogliaschini ignorano che il tempo da loro dedicato alla separazione di carta, vetro, organico ... ha fatto guadagnare al Comune un bel pò di soldi.

Per scoprire quanti, sono dovuto andare in Comune, insieme alla Consigliera di SEL che aveva presentato una apposita interrogazione.

Durante l'incontro, con la responsabile del settore e il vicesindaco, scopro che il Comune di Bogliasco ha la convenzione con il Consorzio Nazionale Imballaggi, grazie al quale riceve del danaro dalle piattaforme che recuperano i vari materiali che differenziamo a casa e inseriamo negli appositi sacchetti e contenitori.

E questi sono i denari (euro) che il Comune riceve per ogni tonnellata di materiale separato dai suoi abitanti, a fianco le tonnellate differenziate nel 2013 e il corrispondente ricavo.

                     €/ton              ton          ricavo €

carta               50                270            13.500
vetro                 7               183               1.283
metalli          220                 15               3.300
oli                 180               0,68                 122
batterie          550               0,60                 330

Conti alla mano, la differenziata ha portato nelle casse del Comune 18.535 € .

E' una cifra discreta, pari al 2,4% del costo dell'intero servizio di igiene urbana, comprensivo di spazzamento strade, diserbo, campagne di comunicazione...

Se poi il confronto si fa con il solo costo della raccolta e il trasporto dei Materiali Post Consumo, 254.000 euro, l'entità della voce in entrata, dovuta alla vendita dei materiali raccolti rafforza la novità della rivoluzione in atto.

Bogliasco, con il Porta a Porta, la realizzazione di un isola ecologica, la differenziazione di 15 diversi materiali di scarto e la vendita delle frazioni più pregiate, copre il 7,3% dei costi fissi di raccolta e trasporto.

Ma si può fare di più.

Forse avete notato che nell'elenco dei ricavi mancano gli imballaggi in plastica.

Il motivo è che non è stata trovata la piattaforma in grado di separare la plastica dalle lattine in alluminio e in ferro, che attualmente si raccolgono tutti insieme, nello stesso contenitore giallo.

Morale della favola, le 173 tonnellate di plastiche miste e metalli separate dai bogliaschini ci costano 60 €  a tonnellata (totale spesa 10.380 €) e probabilmente vanno ad alimentare qualche inceneritore del Nord.

In questa scelta c'è qualche cosa che non va, in quanto il contributo che il CONAI da alla plastica differenziata ammonta a 140 € a tonnellata.

Insomma se le cose fossero fatte al meglio, anche qui, grazie alla differenziazione di imballaggi in plastica e lattine, invece di un costo, ci sarebbe un buon ricavo.

Per evitare questo costo sarebbe opportuno verificare il bilancio economico che si avrebbe se questi nostri scarti di plastica e metalli differenziati venissero conferiti alla nuova  piattaforma che AMIU ha realizzato a Genova e che, dal contenitore giallo, separa alluminio, acciaio, plastiche miste.

Dalle informazioni ricevute, anche se la qualità della plastica, come probabilmente è, fosse molto bassa, il suo trattamento non ci costerebbe nulla. 

Inoltre, grazie a questa piattaforma di pretrattamento, anche alluminio ed acciaio potrebbero essere immessi sul mercato del riciclo, spuntando prezzi molto interessanti.

Dobbiamo pero riconoscere che la qualità della raccolta differenziata dei bogliaschini, a causa di errati conferimenti, non è elevatissima e i carichi di materiali differenziati gravemente fuori specifiche (con elevata presenza di rifiuti indifferenziati) che si sono dovuti portare in discarica ci sono costati, nel 2013, ben 30.000 euro.

E in questo caso, a bilancio bisogna mettere anche il corrispondente mancato ricavo.

Si può dire che questo è il costo del menefreghismo di pochi: chi per pigrizia fisica e mentale non fa la differenziata danneggia economicamente se stesso, e tutti quelli che la differenziata la fanno.

Analisi merceologiche sul contenuto dei cassonetti per verificare quali siano gli errori di conferimento più frequenti, adeguate campagne informative anche tramite la consegna dei bollettini per il pagamento della Tari, qualche controllo in più e anche qualche buona multa, ben pubblicizzata, dovrebbe ridurre questo grave spreco di denaro e di risorse.

Infine segnialiamo che i bogliaschini hanno consegnato all'isola ecologica 108 tonnellate di sfalci e potature che ci sono costate, per il loro smaltimento, 8.100 €. 

Gran parte di questo denaro potrebbe essere risparmiato se gli sfalci fossero compostati in un piccolo angolo del giardino o delle fasce che li hanno prodotti e se le potature, sminuzzate con una buona cippatrice, fossero rimaste nei giardini come pacciamatura e/o strutturante per il compostaggio.

E questo argomento ( gestione ottimale delle frazioni organiche) sarà oggetto dei mie prossimi interventi in materia, a cominciare da miei Corsi di compostaggio domestico in paese e nelle frazioni.

E, ovviamente il mio ruolo di docente sarà a titolo gratuito, nell'ambito delle attività di volontariato che il comune di Bogliasco ha promosso.

Vi terrò aggiornati.



giovedì 5 febbraio 2015

Green Peace mette sotto accusa le maglie della salute

Nei ricordi infantili dei nonni che leggono questa pagine c'è certamente la loro mamma che, prima di uscire a giocare a pallone sotto casa,  li invitava  a mettere la maglia e a non sudare.

Oggi questo mito salutista è minato da una indagine promossa da GreenPeace che ha acquisito i dati delle analisi effettuate, nel corso del 2011-2012, dai Nuclei Anti Sofisticazione e ASL su tessuti ed indumenti in vendita in Italia.

Circa il 4% dei prodotti analizzati risulta contaminato con metalli pesanti, coloranti allergenici, composti cancerogeni quali ammine aromatiche e formaldeide.

Il problema è che nella produzione di tessuti e indumenti, da sempre, la chimica entra prepotentemente, con circa 2.400 diversi composti usati per migliorare la qualità del filato e per venire incontro alle esigenze estetiche dell'utente.

E una parte di questi composti, loro residui o prodotti di degradazioni per un totale pari al 10% sono potenzialmente pericolosi e sempre più frequenti sono i casi di allergie che si sono scatenate dopo aver indossato un qualche indumento nuovo.

Il problema è all'attenzione delle aziende del settore e anche la ricerca si è messa in moto per inquadrare, limitare e normare il problema.

Ma se in Europa sono in vigore norme e auto-regolamentazioni a tutela della salute, oltre l'80 % degli abiti venduti in Europa sono importati da paesi, dove per mantenere i prezzi bassi, queste norme spesso sono eluse.

Che fare?

Intanto la stessa indagine di  Green Peace segnala che solo una piccola quantità degli abiti in vendita (4-6% ) presenta anomalie.

Anche in questo caso vale la regola che "chi più spende meno spende": i capi prodotti da aziende qualificate certamente forniscono maggiori garanzie sulla qualità delle lavorazioni

Una norma precauzionale può essere quella di indossare i vestiti dopo averli lavati. Questo trattamento allontana eventuali residui e un eccessivo rilascio di colore durante il lavaggio potrebbe mettervi sull'avviso in quanto certamente denuncia poca cura nella produzione del prodotto e il colore assorbito dalla pelle potrebbe scatenare gli effetti allergenici.

E infine, tutto sommato per ridurre ogni rischio può essere utile anche ridurre la nostra dipendenza dalla moda e riimparare ad usare il piu a lungo possibile il maglione di lana preferito e, perchè no, anche la maglietta della salute, stando ovviamente, sempre attenti a non sudare.


lunedì 2 febbraio 2015

Il compostaggio domestico, meglio dell'incenerimento: parola dei Danesi.

Compostiera fioriera per la raccolta di scarti organici nei parchi 

Mi sto accorgendo che molti dei nostri amministratori pensano che il compostaggio domestico sia una "belinata" (traduzione per i non liguri: schiocchezza).

Questa sensazione deriva dalla loro scarsa attenzione a questa tecnica: al massimo si distribuiscono un po di compostiere in comodato d'uso, poi se e come queste compostiere siano gestite, poco importa.

L'immagine e un facile consenso, al solito, prevale sui contenuti.

E, in questo caso, il contenuto è che oltre il 25 % delle famiglie italiane, in quanto dedite al giardinaggio, potrebbe riscoprire ed adottare il compostaggio dei propri scarti organici, sottraendo in questo modo oltre il 30% della loro produzione di scarti al ritiro differenziato e al trattamento.

Eppure, nel resto del mondo, Università e Centri di Ricerca non disdegnano di dedicare il loro tempo allo studio di questa biotecnologia e valutarne i pregi.

Ad esempio il Dipartimento di Ingegneria Ambientale dell'Università della Danimarca ha effettuato uno studio sull'Analisi del Ciclo di Vita (LCA) di sei diverse compostiere domestiche, ne ha valutato i diversi impatti ambientali e, udite, udite, le ha messo a confronto con metodi alternativi per la gestione delle frazioni organiche quali l'incenerimento con recupero energetico e la discarica.

Lo studio è stato pubblicato nel 2012, sulla rivista "Waste Management".

Lo studio ha evidenziato che il maggior impatto ambientale del compostaggio domestico potrebbe essere dovuto alle emissioni di gas clima-alteranti.

Questo dipende  dal fatto che oltre all'anidride carbonica dalle compostiere si libera anche metano, un potente clima-alterante, prodotto dai batteri anaerobi che si "ibernano" dentro spore molto resistenti quando fuori abbonda l'ossigeno, per loro un inquinante tossico, ma che approfittano di ogni anfratto dove, per scarsa ventilazione, l'ossigeno latiti.

E la presenza di queste "enclave" di batteri anaerobi dentro una compostiera è, di fatto, inevitabile.

In ogni caso, lo studio ha verificato che il metodo per ridurre le emissioni di gas serra è quello di non mescolare gli scarti, una volta che sono stati introdotti nella compostiera: buono a sapersi, così si fa meno fatica, ma, ovviamente è necessario che gli scarti di cucina e dell'orto siano subito mescolati con generose quantità di strutturante (cippato e trucioli di legno, pellet di legno...).

Un altro potenziale problema potrebbe essere la concentrazione di metalli pesanti nel compost, a loro volta presenti negli scarti da compostare.

Lo studio ha, ovviamente trovato dei metalli pesanti (sono ubiquitari) ma, in tutti i  casi, in quantità inferiori agli standard in vigore per uso agricolo del compost.

In questo caso, il segreto è comprare frutta ed ortaggi di qualità e fare l'orto su terreni di sicura origine, senza contaminazioni a causa di discariche incontrollate.

Nell'analisi del cicli di vita, il punteggio che maggiormente favorisce il compost è quello dell'evitato uso di fertilizzanti e di torba il quale comporta numerosi benefici ambientali anche in termini energetici (con il compost non si devono acquistare e produrre fertilizzanti, produzione che richiede alti consumi energetici e pesanti impatti ambientali).

E infine una sorpresa, anche in Danimarca, paese che spesso i nostri amici inceneritoristi portano ad esempio per il grande ricorso alla termovalorizzazione dei rifiuti, i suoi ricercatori hanno dovuto  ammettere che per il trattamento delle frazioni organiche il minore impatto ambientale, misurato come emissioni di composti tossici, si ottiene compostando in casa i propri scarti di cucina, piuttosto che mandarli in un inceneritore con recupero energetico o in una discarica controllata.

Ora, almeno voi, avete capito che il compostaggio domestico non è affatto una "belinata"?